Lagarde omaggia Draghi citando 'Anthem' di Leonard Cohen
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(AWE/LaPresse) - "Ring the bells that still can ring. Forget your perfect offering. There is a crack in everything. That's how the light gets in", in italiano "suona le campane che ancora possono suonare. Dimentica la tua offerta perfetta. C'è una breccia in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce". E' con le parole di 'Anthem' di Leonard Cohen, che Christine Lagarde ha omaggiato il suo predecessore alla presidenza della Bce, Mario Draghi.
Draghi, l’ex ministro Schäuble: «Avevamo pareri diversi, ma lui ha salvato l’euro»
Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
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«Mario Draghi è uno dei più stimati esperti di politica monetaria. Grazie a lui l’euro ha giocato un ruolo di primo piano nelle strutture monetarie internazionali. E in una fase critica, in cui gli Stati non ce l’avrebbero fatta da soli, ha fatto molto per stabilizzare la moneta unica».
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Wolfgang Schäuble è stato fino al 2017 il leader di fatto dell’opposizione politica e intellettuale a Mario Draghi. Da ministro delle Finanze della Germania, Schäuble non ha infatti mai nascosto le sue riserve sulla linea espansionistica perseguita dal presidente della Bce. Alla vigilia della cerimonia con cui oggi i leader europei ringrazieranno Draghi per il suo lavoro, l’attuale presidente del Bundestag ha reso l’onore delle armi al professore italiano, pur riproponendo in toto i temi del suo dissenso.
Lei è stato l’avversario di Mario Draghi e viceversa?
«No. Avevamo compiti diversi e non sempre eravamo dello stesso parere. Ma i nostri rapporti erano buoni e io ho sempre rispettato lui e l’indipendenza della Banca Centrale. Non ho l’esperienza che ha Draghi nella politica monetaria, ma ho molta esperienza in politica.
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Con lui siamo stati sempre d’accordo che molte difficoltà possono essere risolte solo con riforme economiche e del mercato del lavoro e tocca agli Stati membri dell’Ue realizzarle. Questo non può farlo la Bce, la responsabilità è dei singoli Stati. Mario Draghi lo ha sempre ribadito durante tutta la durata del suo incarico».
Ma il punto è che, a suo avviso, la politica monetaria di Draghi ha reso più facile per gli Stati evitare le riforme. È così?
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«Questa era e rimane la mia obiezione critica».
Perché?
«Perché la politica tende sempre a prendere le decisioni impopolari soltanto quando non c’è più un’alternativa più facile. E io considero questo comportamento dei governi un problema molto più grave di quanto non faccia Mario Draghi».
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Draghi ha salvato o no l’euro con la celebre frase del luglio 2012, che la Bce avrebbe fatto “whatever it takes” per sostenere la moneta unica?
«In quel momento fu decisivo per stabilizzare e tranquillizzare i mercati. Questo è incontestabile».
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Alcuni però dicono che Draghi ha salvato l’euro, ma ha fallito sull’inflazione. È d’accordo?
«Su questo non mi permetterei nessun giudizio, entrerei nell’ambito delle competenze della banca centrale. Nel dibattito tedesco ho sempre detto che essa deve muoversi nel quadro del suo mandato, cioè la stabilità dei prezzi. La banca non ha un mandato politico generale, non avendo legittimazione democratica.
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Ma su come essa assolve il suo mandato è del tutto indipendente e la politica deve rispettarla. Ripeto, è vero che io e Draghi sulla valutazione del moral hazard abbiamo opinioni divergenti. Ma perché no? Abbiamo discusso apertamente a quattr’occhi sulle riforme che gli Stati dovevano fare. Talvolta a questo scopo sarebbe stata necessaria una maggiore pressione: fin quando ci sono strade più facili, è forte la tentazione di non fare la cosa giusta.
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In tutti i Paesi dov’era necessario un programma di aiuti, sono cambiate le maggioranze politiche: Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro e Grecia. Un prezzo alto naturalmente. La Grecia che all’inizio voleva evitarle alla fine ha fatto riforme anche dolorose e oggi economicamente sta di nuovo meglio».
Isabel Schnabel, da poco nominata dal governo tedesco nel direttorio della Bce, dice che in Germania viene alimentata una narrazione pericolosa, secondo cui la Bce ruba i soldi dei risparmiatori tedeschi. Non pensa di aver contribuito anche lei, sia pure senza volerlo, a rafforzarla?
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«No».
Ma è stato lei ad accusare la Bce di aver favorito il successo dell’AfD, il partito di estrema destra.
«Non ho detto così. Ma naturalmente bisogna notare che questa politica monetaria ha anche conseguenze di politica interna».
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Nella sua ultima conferenza stampa, Draghi ha ripetuto che ciò che manca in Europa è la politica fiscale, o meglio “una capacità fiscale centrale” che “è possibile senza moral hazard”. È d’accordo? E perché non ci siamo ancora?
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«Ero per un sistema monetario europeo già nel 2010 insieme a Christine Lagarde e Jean Claude Juncker. Una moneta comune implica anche una politica finanziaria, economica e sociale comuni. Ma così come la Bce è legata al suo mandato, così noi lo siamo al Trattato di Lisbona, che al riguardo non prevede una politica finanziaria comune.
È dentro questa cornice che dobbiamo cercare di agire e provare a risolvere i problemi nel miglior modo possibile. Per trasferire più competenze all’Unione ci vorrebbe una decisione unanime di tutti i Paesi membri».
È d’accordo alla creazione di un bilancio dell’eurozona?
«Ho mai detto nulla in contrario? Naturalmente sono a favore. E anche di un ministro delle Finanze con le competenze del ruolo».
Anche qui bisognerebbe cambiare i Trattati?
«Ho fatto molte proposte in passato, ma non sono più ministro delle Finanze».
Draghi ha raccontato in una intervista che, al culmine della crisi greca, disse a un ministro europeo: “Se volete mettere la Grecia fuori dall’Euro, fatelo, ma non usate la Bce”. Era lei quel ministro?
«Non commento. I nostri incontri erano intensi e confidenziali e non ho mai raccontato nulla del loro contenuto».
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Ma lei non ha mai fatto mistero di essere stato per l’uscita della Grecia dall’Euro.
«In quella situazione, la Grecia aveva solo due opzioni: riforme o uscita. Sotto la pressione degli europei, nel 2015 Atene ha fatto molto di più di quanto lei stessa pensasse possibile. E oggi sta di nuovo meglio».
La Germania non avrebbe dovuto anche fare qualcosa per i suoi surplus di bilancio?
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«Ho sempre detto ai miei colleghi in Europa e nel mondo che conosco l’argomento, ma che la realtà in Germania è un’altra. Il denaro non viene usato. Abbiamo risorse per gli investimenti, ma non vengono impiegate. Che Berlino non abbia ancora un nuovo aeroporto non ha nulla a che fare con la mancanza di mezzi. E credo che anche in Italia la mancanza di investimenti non dipenda dalla mancanza di liquidità. È una comoda scusa.
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La realtà è che occorre creare delle strutture che orientino in modo più forte la politica verso gli investimenti. Da ministro delle Finanze ho sempre segnalato che nel nostro bilancio abbiamo una quota crescente di spese per i consumi. Non può durare. In altri Paesi è ancora più forte. Perché nei Paesi che hanno i maggiori problemi di sviluppo, molti nel Sud Europa, questi strumenti vengono trascurati rispetto a quanto avviene altrove? Perché sotto la presidenza di Pier Carlo Padoan in un consiglio informale a Milano abbiamo discusso di come insieme alla Bei, potessimo individuare creare spazio per investimenti redditizi? Progetti senza redditività non hanno senso, non producono crescita. Ecco il vero problema, la realtà della politica».
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Ma sotto la guida di Draghi la Bce si è mossa sempre nei limiti del suo mandato, come egli ha sottolineato più volte nella conferenza stampa finale?
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«Posso giudicare solo per il periodo in cui sono stato ministro delle Finanze. Se la Bce non si fosse mantenuta nei limiti del mandato, mi sarei dovuto rivolgere alla Corte di Giustizia europea. Non l’ho mai fatto».
Quanto gravi sono oggi i rischi che pesano sul sistema finanziario internazionale?
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«Non è solo il Fondo Monetario Internazionale a esprimere crescente preoccupazione che il volume globale del debito pubblico, privato e delle imprese è a livelli di allarme. A questo non ho nulla da aggiungere».
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