Stefano Cappellini per “la Repubblica”
MATTEO SALVINI MARIO DRAGHI
Cinque giorni per evitare il crac. Cinque giorni, quelli che mancano a mercoledì, quando Mario Draghi si presenterà alle Camere, per convincerlo che possono riprodursi «le condizioni» che hanno dato vita al suo governo e che il presidente del Consiglio ha visto venire meno dopo la non fiducia del Movimento 5 Stelle in Senato.
Mario Draghi può ancora convincersi? Sì, è la risposta informale che filtra da Palazzo Chigi. A condizione che glielo chiedano tutti i partiti che componevano la sua maggioranza e che la ripartenza avvenga su basi chiare e convinte. In fondo, cambiato quel che c'è da cambiare, è una situazione che ricorda quella che ha portato al bis di Mattarella: pareva molto difficile, è successo.
I partiti della maggioranza potrebbero chiedere il "bis" anche al presidente del Consiglio? Possibile. Delle forze principali, due hanno già bussato alla sua porta per invitarlo a proseguire: Partito democratico e Italia viva. Forza Italia è orientata a fare altrettanto e il M5S, dopo aver scatenato la crisi, pure. La capogruppo M5S in Senato Maria Domenica Castellone, la stessa che ieri ha spiegato in aula la scelta dell'Aventino sul decreto Aiuti, ha dichiarato che il Movimento «è pronto a dare la fiducia a Draghi». Resta la Lega. Le Leghe.
salvini draghi
Matteo Salvini. Ma anche i governatori e Giancarlo Giorgetti, convinto che la crisi si possa risolvere «ai tempi supplementari». Salvini è stretto tra la spinta di Berlusconi ad andare avanti con Draghi e la convinzione di Meloni nel chiedere le urne. Lo spettro del voto, o il desiderio, a seconda dei punti di vista, è la chiave di questi giorni di trattative.
Salvini teme di restare isolato.
L'istinto lo spinge a chiedere elezioni. La prudenza gli suggerisce di non perdere l'asse con Berlusconi. Imbarcarsi ora in una campagna elettorale, e senza nemmeno potersi intestare il merito della caduta del governo, significa consegnarsi nel ruolo di vassallo alla cavalcata di Meloni verso Palazzo Chigi.
Magari andrà così anche tra otto mesi, ma anticipare le urne rende praticamente certo l'esito. Il leader della Lega teme però anche di finire stritolato in giochi più grandi di lui. Nei fitti colloqui degli ultimi due giorni con Berlusconi ha cercato di capire se fossero vere le voci su Daniele Franco, secondo le quali il nome del ministro dell'Economia era già stato proposto ai leader della maggioranza come traghettatore fino alla scadenza naturale della legislatura. Berlusconi ha solo confermato che il nome gira, pure nel Pd è circolata questa ipotesi.
SALVINI DRAGHI
Ma l'opzione Franco, se c'è, ed è lecito dubitarne, è debolissima. Come tutte quelle che portano a nuovi presidenti del Consiglio.
Il percorso costruito da Mattarella per parlamentarizzare la crisi ha un chiaro sottotesto: o si trova un accordo per riprendere da dove si è interrotto o si va al voto. Non si tratta solo di un messaggio implicito nella scelta del Quirinale di respingere le dimissioni e rimandare il premier alle Camere. È anche un invito ai partiti a guardare in faccia la realtà: in una legislatura che ha già sperimentato ogni possibile formula politica, non si vede come delle forze incapaci di riaggregarsi intorno a Draghi possano in pochi giorni trovare programmi e convinzione per farlo su una soluzione alternativa. I partiti sono spalle al muro. Chi si sfila deve sapere quali saranno le conseguenze.
SALVINI DRAGHI
Conte, di certo, non ha intenzione di tornare subito al voto. Da urne immediate il M5S ha solo da perdere, non avrebbe nemmeno da sfruttare l'effetto di un periodo di opposizione. Il tentativo del ministro D'Incà, stoppato da Draghi, di evitare all'ultimo il voto di fiducia sul decreto Aiuti ha confermato che quello dell'ex premier somiglia da vicino a uno strappo con dietrofront incorporato. Questo non significa che tutto sia appianato.
SALVINI MELONI BERLUSCONI
Da Conte, Draghi attende parole chiare sulla volontà di sospendere la guerriglia e trovare una composizione ordinata delle controversie.
Enrico Letta è già al lavoro per riportare dentro il M5S. Non a caso il leader del Pd ha evitato di attaccare frontalmente Conte, si è limitato a sottolineare che la divergenza di scelte è netta, usando toni morbidi, utili a favorire una ricucitura.
Più complicato è invece che l'alleanza politica ed elettorale, il cosiddetto "campo largo", resista agli eventi di questi giorni, anche in caso di ricomposizione. La fiducia reciproca è ai minimi, ieri Conte ha ha persino fatto sapere a Letta di non aver gradito la citazione dell'incidente di Sarajevo del 1914, episodio all'origine della prima guerra mondiale, che il leader dem ha usato come metafora degli effetti dello strappo grillino sul Paese.
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Ma in questi cinque giorni il dimissionario vuole vedere chiaro soprattutto nel centrodestra.
Lì si gioca la partita decisiva per capire se ci sono di nuovo «le condizioni» per restare a Palazzo Chigi e non solo per i giorni necessari a firmare, con la trasferta ad Algeri del 18 e 19 luglio, l'importante accordo sul gas.
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