Monica Guerzoni e Francesco Verderami per il Corriere della Sera
mario draghi al forum verso sud 1
«Il provvedimento sulla Concorrenza non può slittare dopo le Amministrative. Non è accettabile ritardare ancora la sua approvazione per esigenze elettorali. Perciò o si chiude subito un accordo oppure chiederò al Senato di votare il testo attuale e voi deciderete come comportarvi. C’è in gioco il Pnrr».
È Draghi che parla. Il premier sta lasciando l’Aula di Montecitorio dopo il dibattito sulla crisi ucraina e il modo inusuale in cui gesticola mentre si rivolge al capogruppo di Forza Italia Barelli, segnala un momento di forte tensione. E quando a stretto giro Palazzo Chigi annuncia la convocazione urgente del Consiglio dei ministri senza ordine del giorno, si diffonde il panico persino tra i membri del governo. Figurarsi in Transatlantico.
L’effetto drammatizzazione riesce. Alla riunione Draghi si presenta con un breve testo, spiega che «sulla base degli impegni assunti» con l’Europa è necessario approvare entro dicembre di quest’anno «non solo la legge delega» sul ddl Concorrenza «ma anche i relativi decreti delegati». Ricorda che il provvedimento è fermo in commissione al Senato dallo scorso dicembre, malgrado «numerose riunioni svolte con le forze parlamentari».
CONTE SALVINI
Perciò è intenzionato a ottenere il voto dell’Aula «entro fine maggio» . E chiede di porre la questione di fiducia, siccome «il mancato rispetto della tempistica metterebbe a rischio, insostenibilmente, il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr, punto principale del programma di governo».
Così nella stessa giornata il premier regola Conte sulla politica estera e Salvini sulla politica interna, ponendoli entrambi davanti a una scelta. E se il leader grillino vive l’isolamento in Parlamento sulla richiesta di un nuovo voto sulle armi all’Ucraina, il segretario della Lega insieme al capo di Forza Italia devono subire la frattura tra i loro gruppi parlamentari e le loro delegazioni ministeriali.
draghi
Perché la mossa di Draghi di chiedere la fiducia «entro maggio» — appoggiata in Consiglio da Giorgetti e Garavaglia come da Gelmini e Brunetta — sconfessa la nota con la quale i capigruppo del Senato Romeo e Bernini avevano chiesto in mattinata «ulteriori approfondimenti sul tema delle concessioni balneari».
Una dichiarazione maturata dopo la riunione che si era svolta a Palazzo Chigi tra i relatori del ddl e gli uomini di Palazzo Chigi, e che si era conclusa con una fumata nera. La Lega aveva chiesto di spostare al 31 dicembre del 2025 l’entrata in vigore delle nuove norme, mentre il governo voleva rispettare la scadenza del 2023 imposta dal Consiglio di Stato. Agli occhi del premier questo ennesimo nulla di fatto — ribadito con formali proposte di stralcio — era la «sconfessione» degli accordi stretti con Salvini lunedì scorso. E aveva anticipato per telefono ai dirigenti dei due partiti che non sarebbe rimasto a guardare. Così è stato.
salvini conte
D’altronde era stato chiaro con le forze di maggioranza: se qualcuno pensa di usare il finale di legislatura come una lunga campagna elettorale, «mi farò sentire con segnali inequivocabili». Il primo segnale è arrivato. In serata i capigruppo al Senato di Lega e Forza Italia hanno rettificato il tiro, sostenendo di essere «ottimisti sulla possibilità di arrivare a un accordo». La tensione però resta, perché Romeo e Bernini contestano le affermazioni di Draghi, sottolineando che il tema delle concessioni balneari «non rientra negli accordi economici del Pnrr».
SALVINI MELONI BERLUSCONI
Oltre però non possono andare, a meno di non entrare in rotta di collisione con i loro rappresentanti al governo. Il modo in cui Brunetta rivendica «la piena adesione» alle richieste del premier e la tesi di Gelmini che invita a «correre per rispettare gli impegni», rappresentano plasticamente la spaccatura. Che non attraversa solo il centrodestra. Perché è vero che il ministro dem Orlando si schiera con Draghi ribadendo che «siamo al governo per il Pnrr», ma è altrettanto vero che fonti di Palazzo Chigi evidenziano come «l’ostruzionismo verso il ddl non è di un solo colore».
mario draghi
E per quanto non sia realistico che in tempi di guerra il governo possa cadere sui balneari, c’è un motivo se il leghista Giorgetti dice che «dipende da tutti» se una trattativa «in fase avanzata può chiudersi presto». Sul provvedimento si scontrano interessi consolidati che richiamano a pezzi di elettorato, a loro volta collegati a partiti diversi. Ci sono le Amministrative.
E poi ci saranno le Politiche. Il rischio è di perdere consensi. Draghi ritiene di aver concesso molto tempo per giungere a un compromesso e non deve aver gradito le parole abrasive pronunciate ieri al Senato da Monti, quel «siamo in ritardo sulle riforme strutturali». Oltre la Concorrenza, c’è ancora la delega fiscale da varare, e la riforma tributaria. E il «segnale inequivocabile» lanciato ieri dal premier è un avviso: il programma va portato a compimento, se qualcuno non è d’accordo si assuma la responsabilità di staccare la spina.
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