DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Gianluca Di Feo per repubblica.it - Estratti
Nel giro di poche ore due droni russi hanno superato le frontiere dell’Ucraina e sono precipitati all’interno dei Paesi della Nato. Sono caduti uno in Romania e uno in Lettonia, senza – a quanto risulta finora – provocare danni.
Le autorità di Bucarest e di Riga hanno condannato gli episodi, cercando però di non inasprire i toni e sottolineando come lo sconfinamento non è stato “un atto deliberato” di Mosca. Ma – come ha dichiarato Mircea Geoana, vicesegretario generale dell’Alleanza ed ex ministro degli Esteri romeno – “si tratta comunque di azioni irresponsabili e potenzialmente pericolose”.
Non ci sono conferme ufficiali, ma i velivoli senza pilota protagonisti degli incidenti dovrebbero essere due Geran, la versione migliorata degli Shahed iraniani prodotta massicciamente delle fabbriche russe: ognuno trasporta circa cinquanta chili di esplosivo.
In Lettonia l’ordigno si è schiantato non lontano da Rezekne, che ha 25 mila abitanti, e si trova a cinquanta chilometri dalla Russia e a settanta dalla Bielorussia. Allarmi e segnalazioni di ordigni teleguidati in volo verso Polonia, Romania e Paesi Baltici sono notevolmente aumentati negli ultimi mesi facendo crescere il timore che un drone killer finito nel territorio dell’Alleanza possa innescare una reazione a catena tale da causare un’escalation.
Si tratta di una provocazione del Cremlino? I pochi elementi disponibili fanno ritenere che la situazione sia frutto di diversi fattori, tutti però potenzialmente pericolosi.
Anzitutto, le traiettorie dei droni e dei missili cruise vengono programmate dai tecnici di Mosca per cercare di ingannare la contraerea e nascondere l’obiettivo finale dell’attacco. Volano verso la Bielorussia o entrano nello spazio aereo polacco, poi cambiano all’improvviso rotta e puntano sull’obiettivo. Le batterie difensive ucraine in genere tengono i radar spenti per occultare la loro posizione e li attivano solo quando c’è una minaccia imminente: l’incertezza sulla direzione del raid può far scattare l’allerta all’ultimo minuto e ridurre quindi il tempo disponibile per reagire. Più è veloce l’ordigno russo, meno possibilità ci sono di intercettarlo: nel caso di armi ipersoniche che toccano i seimila chilometri orari, può accadere che colpiscano prima che le sirene dell’allarme aereo inizino a suonare.
(…)
Queste “battaglie elettromagnetiche” aumentano esponenzialmente il rischio di riempire i cieli ucraini di missili cruise e droni erranti, deliberatamente scagliati a ridosso dei confini Nato o all’interno degli spazi aerei polacchi e romeni, che possono piovere a caso sui Paesi confinanti.
I caccia di Varsavia e Bucarest devono decollare sempre più spesso per intervenire sugli sconfinamenti di droni e missili. Sabato notte due coppie di F16 romene sono partite per sorvegliare la pattuglia di Shahed arrivati dal Mar Nero, che poi si sono gettati contro i porti ucraini sul Danubio. I polacchi sono sempre più preoccupati e hanno ipotizzato di abbattere missili e droni russi diretti verso il loro spazio aereo mentre sono ancora sul territorio ucraino.
Una “difesa preventiva” che non è stata appoggiata dagli altri Alleati, ma venerdì il ministro il ministro degli Esteri, Radoslaw Sikorski, ha ribadito “a titolo personale” questa linea: “La Russia non può più imporci come dobbiamo difendere il nostro Paese. Abbiamo il diritto, riconosciuto dalla costituzione e dalle leggi internazionali, di proteggere il nostro spazio aereo”. E Sikorski ha poi posto l’accento su una delle questioni più inquietanti di tutto il conflitto: “Credo che dobbiamo aiutare l’Ucraina a difendere le sue centrali nucleari dai missili erranti”.
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