MARCHEL DUCHAMP
Pablo Echaurren per Il Sole 24 Ore
Una volta l'artista più influente era Picasso, ora il posto spetta a Duchamp. Di Marcel Duchamp si tende ad analizzare ogni dettaglio dell'opera interpretandolo, decrittandolo, piegandolo alle proprie necessità. Come diceva Marinetti a proposito della Divina Commedia potresti affermare che «Duchamp è un verminaio di glossatori». Lo si imita, lo si prende a pietra di paragone di ogni provocazione, lo si usa come padre nobile di ogni nuovo genio compreso.
pablo echaurren.
È il lasciare passare per legittimare fragilità e ripetitività dell'arte contemporanea. Hanno capovolto il rifiuto dell'estetica in “estetica dell'antiestetica”, trasformato l'autoironia e il gioco in noia, la complessità linguistica in declinazione della «Settimana Enigmistica», il silenzio in rumore mediatico. Hanno innalzato un monumento-gabbia. Così facendo di Duchamp viene ignorato il dato esistenziale.
DUCHAMP
E se è vero, come ripeteva, che la cosa che gli riusciva meglio era «respirare», allora si deve prendere atto del fatto che Duchamp viene tradito e mistificato dai suoi stessi esegeti. Parsimonioso, non inseguiva il successo, evitava il superfluo, si contentava. In lui c'era il francescano che riduce all'osso la visione del mondo per raggiungere il nucleo del problema e non farsi distrarre dalle cose terrene.
La sua ricerca dell'assoluto lo ha tenuto lontano dalle tentazioni del mercato. Non ha mai venduto una sua opera, regalava ciò che faceva. A volte dimenticava negli studi dismessi quelli che poi sarebbero stati considerati capolavori come la ruota di bicicletta, con indifferenza, con distacco, con leggerezza.
duchamp la gioconda con i baffi
Secondo lui si sarebbero potute acquistare copie altrettanto valide dal robivecchi sotto casa. Non attribuiva troppa importanza agli oggetti in sé, alla loro unicità. Non ha perseguito l'affermazione di uno stile, riconoscibile e dunque appetibile. Era esente da qualunque forma di tentazione consumistica. Così come non fu succube del danaro e della sua ubiquità.
Non intendo certo sostenere l'immagine di un comunista Duchamp, voglio invece sottolineare la sua appartenenza ad una certa linea di pensiero anti borghese derivante da figure come Léon Bloy o Charles Péguy. Ci sono dei punti di contatto e delle coincidenze che non possono essere ignorate ma che continuano ad esserlo.
PABLO ECHAURREN
A Bloy lo collega direttamente l'opera del 1961 (Rebus. Tout-a-l'égout sont dans la nature) che si rifà senza mezzi termini alla ripulsa verso la prospettiva borghese del guadagno per il guadagno che rende insensibile la classe dominante al fetore escrementizio del danaro (Léon Bloy, Exégèse del lieux communs al paragrafo #32 «Tout les gouts sont dans la nature») in ambedue le prove pare essere centrale il tema della fogna, della cloaca, come emblema del mondo moderno in cui tutto si vende e tutto si compra.
BABITZ DUCHAMP 11
Così come sappiamo che Péguy era irriducibilmente contro l'artista commerciante, l'artista falso che ama e insegue la gloria, o che si aspetta una ricompensa per la sua arte. Secondo Péguy, come per Duchamp, l'artista deve lavorare gratuitamente senza aspettarsi nulla da nessuno. Solo nella gratuità e nel dono c'è libertà. Marcel… Mauss e Serge Latouche hanno condiviso.
Nessuno ancora si è inoltrato nella lettura di un Duchamp pre-moderno, nostalgico di un'eleganza non contaminata dalla pervasività dei soldi e per questo intimamente anticapitalista.
MARCEL DUCHAMP
Un Duchamp quasi medievalista: un Medioevo dominato dalla trasparenza delle vetrate policrome dell'abate Sugier di cui era senza dubbio un ammiratore, un'era che rifiuta l'estinzione a cui vorrebbe costringerla l'avvento del denaro come misura di tutte le cose.
Duchamp pare dislocarsi in un altrove non contaminato dalla rozzezza e dalla trivialità dei rapporti commerciali tipici dell'irruzione sulla scena della borghesia, dei suoi metodi di produzione e della rivoluzione industriale. Un altrove da cui combattere una guerra silenziosa contro il lavoro come costrizione, come sfruttamento, come alienazione.
Marcel Duchamp
Nell'universo duchampiano non c'è spazio per la competizione, per la sopraffazione, per la creatività da catena di montaggio. Malgrado tutti i riconoscimenti tardivi egli resta l'artista outsider per eccellenza, l'artista underground, l'anartista che con tutte le sue forze si sottrae a quel sistema dell'arte che invece, falsandone il messaggio, cerca di recuperarlo e farlo suo.
Solo seguendo la sua l-ezione di vita gli si può rendere omaggio.
Solo accettando l'idea che il readymade non è un capolavoro da mettere sul piedistallo e ammirare in un museo ma un oggetto da impugnare e da scagliare contro le convenzioni. Soprattutto contro il conformismo di un'arte, un'avanguardia perfino, che si ferma alla superficie e ha paura di scavare nel profondo per ritrovare le origini e le ragioni di una radicalità diventata moda, marchio di fabbrica, brand da piazzare sul mercato.
Marcel Duchamp
Duchamp si è schierato contro questa deriva, lo ha fatto praticamente e lo ha dichiarato nelle sue interviste. Non si è mai né concesso al sistema, non ha ceduto alla monotonia della ripetizione per compiacere la committenza.
Non si è mai abbassato, come la maggioranza dei suoi colleghi, a farsi ridurre in automa che sforma quadri per soddisfare le richieste di una rete economica sempre più esigente e capillare.
Le sue repliche spesso estemporanee sono il sintomo di quanto poco considerasse la preziosità dei suoi gesti e come invece li consegnasse a una circolazione orizzontale, amicale.
ultra violet e marchel duchamp
Antimilitarista, antimaschilista, anticapitalista, antistakanovista, anticonsumista, antinazionalista, Duchamp può essere considerato il campione di una pratica e di un comportamento libertario e rivoluzionario, politico, di cui si è persa la memoria.
Ma tale posizione estrema non ha influito minimamente sulle scelte dei suoi esegeti che l'hanno derubricata etichettandola come qualcosa di eccentrico, quasi fosse la posa di uno snob, il vezzo di un aristocratico.
Ebbene è giunto il momento di riconsiderare Duchamp maestro di vita ancor più che autore di opere da piedistallo.
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