Enrico Sisti per “la Repubblica”
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DUE anni senza tennis. “Masha” potrà riprendere, se vorrà, non prima del 26 gennaio 2018. Perderà i Giochi di Rio, ai quali la Russia l’aveva spedita in piena tormenta doping. E perderà anche molto altro. «Il tribunale indipendente nominato ai sensi dell’articolo 8.1 del programma Tennis Anti- Doping 2016 ha scoperto che Maria Sharapova ha commesso una violazione delle norme antidoping ». Ed è scattata la squalifica.
La 29enne vincitrice di 5 Slam aveva assunto meldonium senza accorgersi che la Wada l’aveva da poco incluso tra le molecole vietate e per questo la federtennis mondiale aveva spedito una mail per informare i suoi affiliati che sul “menu del demonio” c’erano delle novità. «Ricorrerò al Tas, non merito questa lunga squalifica, il tribunale ha riconosciuto la non intenzionalità della mia condotta, ossia che non volevo doparmi per barare, ma due anni sono comunque pesanti e farò di tutti per ridurli».
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Le carte si rimescolano. Non c’è grande chiarezza. La Wada aveva annunciato di monitorare la sostanza da qualche mese: eppure il meldonium circolava da almeno 30 anni.
Era stato creato dal farmacologo lettone Ivar Kalvins a metà anni Ottanta. Kalvins continua a difendere la propria creatura: «E’ assurdo includerla tra i farmaci dopanti». Il meldonium nasce come stimolante e vasodilatatore, nel tempo viene usato come anti-ischemico, aiuta a recuperare dalla fatica fisica e mentale. Compare sul mercato nero negli Stati Uniti. Serve alle truppe russe in Afghanistan.
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La Wada scopre che molti sportivi, russi in particolare, ne fanno largo uso. Non ci capisce molto ma comunque decide di proibirlo, come ha ammesso lo stesso direttore del reparto scientifico Oliver Rabin: «Facciamo riferimento al parere di alcuni esperti».
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La federtennis si è battuta per ottenere per la Sharapova il massimo della pena (4 anni) impaurita forse dalle debolezze ereditate da un sistema di controllo assai fragile e basato su scelte spesso discrezionali (parola usata da Rabin). Un’altra tennista russa, la Makarova, ha ammesso: «Io quella mail non l’ho mai ricevuta». Rimane il conto salato che Maria dovrà pagare nonostante l’amnistia annunciata dalla Wada per tutti i casi di positività al meldonium anteriori al 1 marzo 2016. Altro contrasto.
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Come tutti i campioni da vetrina, Maria Sharapova è una macchina. Viaggia (o viaggiava) intorno ai 30 milioni di dollari all’anno (dati del 2015). Poche ore dopo l’ammissione di colpa, avvenuta il 7 marzo, già si percepiva l’effetto della leggerezza commessa grazie anche all’ausilio di un team poco avveduto. Con formidabile tempestività, in poche ore, la Tag Heuer le toglie il proprio appoggio economico. Poi si aggiunge la Nike. Soldi che volano via in un attimo. Se la squalifica non sarà ridotta o cancellata dal Tas parliamo di un danno, inclusi i montepremi, di 60 milioni. A rischio la credibilità di “Sugarpova”, il brand dei dolciumi.
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A rischio la carriera. Dopo la positività agli Australian Open, Maria aveva riconosciuto: «Uso il meldonium dal 2006». La prima giustificazione, debole e confusa, non l’ha aiutata: «Ho familiarità col diabete, era per proteggere il mio organismo in carenza di magnesio e non sapevo fosse diventato una sostanza vietata ».
Russia e altri paesi sotto evidente scacco chimico. Si è sottratta l’altista Chicherova, riabilitata dalla negativà del campione “B”. E mentre la Wada sospende il laboratorio anti-doping di Madrid, il 17 giugno la Iaaf deciderà sull’eventuale riammissione dei russi nell’atletica mondiale (attualmente sono interdetti) e soprattutto ai Giochi di Rio.
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