ALBERTO MINGARDI ''CENSURATO EX POST'' DA MASSIMO GIANNINI
Alberto Mingardi per ''L'Economia - Corriere della Sera''
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Più che gli Stati generali, al centro della scena c'è sempre il Generale Stato. L'Italia del governo giallorosso sembra considerare il Covid la sua piccola guerra. Il presidente del Consiglio si è paragonato a Winston Churchill, ma dell'esperienza bellica la sua squadra è determinata ad apprendere la lezione che ne trasse Clement Attlee. I laburisti inglesi erano convinti che come lo Stato aveva gestito la produzione sotto le bombe, così avrebbe potuto organizzare l'attività economica in tempo di pace. L'Italia del 2020 non è l'Inghilterra del 1945.
Una spesa pubblica all'incirca di metà del Pil segnava l'eccezionalità della guerra, in Italia è invece da tempo la normalità. Due sono le questioni oggi: se serva «più Stato» per fronteggiare rischi simili a quello che abbiamo attraversato, e se serva più Stato per tornare a livelli di benessere paragonabili a quelli di prima della pandemia. La risposta al Covid19 è stata diversa, da Paese a Paese. Viste le immagini terribili di Wuhan, noi tutti abbiamo più o meno esplicitamente pensato che una situazione così complessa fosse meglio gestibile da uno Stato «forte». Ci vorrà del tempo per avere analisi affidabili circa l'andamento della mortalità in diversi Paesi.
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Sappiamo che in Italia la letalità è stata elevata, sia rispetto ai casi riscontrati sia rispetto alla popolazione in generale (56,76 morti ogni 100 mila abitanti). Su valori simili troviamo la Francia, la Spagna e il Regno Unito: in Francia la spesa pubblica rispetto al Pil è più elevata che da noi, in Inghilterra più contenuta, ma sono Paesi comparabili, anche per organizzazione della spesa sanitaria. Nessuno di essi ha uno «Stato leggero»: come non lo ha la Germania, che pure ha avuto solo 10 morti ogni 100 mila abitanti.
Fra gli Stati che hanno reagito meglio alla minaccia del virus ci sono le democrazie orientali di Corea del Sud (0,54 morti/100 mila abitanti) e Taiwan (0,03), dove la spesa pubblica è rispettivamente il 30 e il 20% del Pil (con un prodotto pro capite molto vicino a quello italiano). Per ora, sembrerebbe che una forte presenza dello Stato nell'economia non sia un anticorpo di per sé efficace. La differenza la fa allora una sanità pubblica e nazionale?
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A Taiwan la spesa sanitaria è il 6% del Pil e, per quanto Formosa abbia un sistema a pagatore unico, esso è composto da un mosaico di ospedali privati e medici che operano come liberi professionisti. In Inghilterra la sanità pesa per il 10% del Pil e il sistema è il prototipo del servizio sanitario nazionale, pubblico e con un'unica cabina di regia. In Germania (dove si spende per la sanità l'11% del Pil) solo il 28% degli ospedali è di proprietà dello Stato: gli altri sono erogatori di diritto privato, for profit e non profit. L'equilibrio fra Stato e mercato è forse la questione politica per eccellenza ma non può spiegare tutto.
La diversità nella risposta al Covid-19 è probabilmente dovuta ad altri fattori: l'esperienza con epidemie precedenti (come Sars e Mers nei Paesi asiatici), la diversa intensità dei primi focolai, la capacità di mobilitare risorse, pubbliche e private, per avviare un capillare sistema di test. Se Andrea Crisanti ha spiegato di avere cominciato a fare test con reagenti comprati coi suoi modesti fondi di ricerca dell'Imperial College, forse non sono ingenti risorse a fare la differenza. Attenzione. Se utilizzeremo il prestito del Mes per intervenire nel nostro Ssn, bisognerà pur mettere un complemento di fine al verbo «spendere».
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Guardarsi intorno è utile per definire le priorità. Soprattutto perché la prima lezione economica dei lockdown è che non ce ne possiamo permettere degli altri. Il governo sembra pensare che dalla crisi, provocata dalla chiusura dell'economia, usciremo solo se il Generale Stato disegna un efficace piano d'azione. Se uno Stato «massimo» non è necessariamente un buona assicurazione contro il rischio epidemico, non è detto che non sia l'unico modo per evitare la depressione. Però anche in questo caso è lecito avere qualche dubbio. Le stime di crescita per l'anno in corso sono così ballerine che non è chiara la correlazione fra l'entità dello sforzo di stimolo e la riduzione nella caduta del Pil.
Anche in questo caso, i quattrini non sono l'unico fattore in gioco: se davvero andiamo verso una «nuova normalità» post Covid, conterà quanto si riesce a favorire una grande riallocazione di risorse, e questo lo determinerà in buona misura il grado di flessibilità del mercato del lavoro. Di certo sappiamo che anche nelle settimane più problematiche non sono mai mancati sugli scaffali del supermercato i nostri cereali e le nostre scatolette di tonno preferiti.
Merkel, Macron Ursula
Sappiamo che ciò è avvenuto nonostante tutte le filiere dell'alimentare fossero sotto pressione, ovunque in mezzo mondo. Questa cosa misteriosa che chiamiamo «libero mercato» in qualche modo ha fatto il suo dovere. Negli stessi giorni, il Generale Stato si occupava dell'acquisto di reagenti, tamponi e mascherine. Ciascuno può giudicare con quanta efficacia.