Giulia Zonca per "la Stampa"
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La partita che qualifica l'Iran ai Mondiali è anche quella che avrebbe dovuto aprire alle donne e infatti c'erano: poche, selezionate, separate dagli altri. E non è mai stato messo in vendita un solo biglietto. Iran-Iraq ha cambiato decisioni sul pubblico infinite volte. A Teheran le donne sono bandite dagli stadi dall'inizio degli Anni Ottanta, ma le gare della nazionale hanno avuto due deroghe: la prima nel 2019 e la seconda ieri, spacciata come un grande passo e vissuta come una grande bugia. Foto di rito e nulla più.
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Nel 2019, la federazione aveva ottenuto il permesso di fare degli inviti: le donne erano una novità, un obbligo richiesto dalla Fifa che dovrebbe proibire le discriminazioni. Ci prova. Allora l'integralista Iran se l'era cavata così, con un inizio controllato e la promessa di una trasformazione graduale. Poi è arrivato il Covid e gli ha tolto il problema: zero spettatori.
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Alla fine del lockdown sono ripartiti da capo e hanno provato a evitare la questione, ma per queste qualificazioni gli è stato di nuovo chiesto di essere più inclusivi. Fino alla settimana scorsa la sfida non aveva limiti di ingressi, nei giorni la capienza non ha fatto che scendere, ufficialmente per la pandemia.
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In contemporanea l'assemblea generale degli insegnanti ha scritto una lunga lettera al presidente della repubblica islamica, una serie di ringraziamenti per aver «riavvicinato il Paese alla regola religiosa» e dopo righe e righe di applausi una nota a margine: «Ci sono piccole decisioni secondarie che non aiutano a difendere i nostri valori, come le donne negli stadi».
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Nella lettera, la responsabilità viene data al ministro dello sport e l'assemblea si dichiara «sicura che una guida forte come la sua non appoggerà questa strada». Una delle tante voci istituzionali che si oppone a qualsiasi tentativo di parità. Nel settembre del 2019 la morte di «Blue girl» ha obbligato l'Iran a scendere a compromessi. Lei si è data fuoco davanti a un tribunale: condannata per aver tentato di entrare in uno stadio e diventata un simbolo.
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Il suo suicidio ha crepato il rifiuto e alzato la protesta. Purtroppo il virus ha bloccato il movimento «Open Stadium» che dal 2005 spinge per ricostituire un diritto, tifare. Quando sul sito ufficiale si è aperta la possibilità di acquistare i biglietti di Iran-Iraq il settore ipoteticamente dedicato alle donne non si è mai attivato. In molte hanno postato la foto della scritta «disponibilità 0». Colpa delle limitazioni, in teoria, a 48 ore dal fischio d'inizio è pure circolata l'ipotesi delle porte chiuse. Una scusa per sospendere la finta prevendita.
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Ieri i cancelli hanno aperto per 12 mila persone, 1. 500 donne presenti, irachene comprese. Loro hanno potuto vedere la partite con famiglie e amici, le iraniane avevano un ingresso esclusivo, seggiolini lontani dagli altri e nessuna è riuscita ad arrivare lì senza invito. Fuori si è creata la coda di chi ha provato a procurarsi un ingresso sul posto: tutto esaurito.
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Anche se on line non era mai circolato nulla. Le donne in attesa sono state rispedite indietro, le prescelte sono state scordate dentro. E si sono viste. La federazione ha bisogno di mostrarle, con uno stadio di soli uomini rischiano la squalifica dalle competizioni internazionali. Le hanno esibite, non considerate e non dovrebbe essere abbastanza.
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