Giusy Franzese per “il Messaggero”
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Ci speravano un po' tutti. Ma con l'improvvisa virata di Cgil e Uil verso la protesta di piazza sulla manovra, un accordo adesso sullo smart working nel settore privato non era poi così scontato. È andata bene: l'intesa è arrivata. Tutte le 26 parti sociali, tra rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti dei datori di lavoro, convocate in videoconferenza dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, hanno dato il via libera al Protocollo sul lavoro agile.
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Un risultato importante per il contenuto stesso dell'accordo, ma anche per «il metodo del dialogo sociale», come ha sottolineato Orlando. «Un metodo - continua il ministro - da proseguire e riutilizzare perché di fronte alle sfide che abbiamo davanti è davvero importante creare il massimo della coesione, dell'unità, della convergenza degli interessi in vista di un punto di equilibrio che corrisponde agli interessi di carattere generale».
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E non è un caso che - nel contesto di una soddisfazione generale da parte di tutte le parti sociali - sul metodo si concentri anche il commento di Confindustria, da mesi promotrice di un patto sociale di cui per adesso si sono perse le tracce: l'accordo sul lavoro agile - dice Maurizio Stirpe vice presidente di Confindustria con la delega a lavoro e relazioni industriali - «è la prova che, quando le parti sociali esercitano il proprio ruolo, e il governo si rende disponibile a costruire con loro una adeguata sintesi, i risultati si ottengono in tempi brevi e senza inutili polemiche. Mi auguro che sia una esperienza replicabile, l'inizio di una stagione feconda, pragmatica. Focalizzata sulle cose da fare».
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E veniamo ai contenuti dell'intesa, tenendo ben presente che non si tratta di una legge, ma di un accordo tra le parti sociali che deve poi essere recepito nella contrattazione nazionale di primo o secondo livello. È una cornice di riferimento, sono linee guida. Significa che se un'azienda non vuole aderire non è obbligata per legge. Un rischio che esiste, anche se, essendo stato firmato da ben 26 organizzazioni, è remoto. A ogni modo per schivarlo nello stesso accordo si prevedono incentivi per le imprese che adotteranno il Protocollo nella contrattazione di secondo livello.
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LE NUOVE REGOLE Le nuove regole sono contenute in otto pagine e sedici articoli. E partono dal presupposto che il lavoro agile, esploso durante la pandemia per far fronte alle tante restrizioni, sia «diventato un tassello sempre più strutturale dell'organizzazione del lavoro» ed è capace di «migliorare il benessere della persona e l'organizzazione aziendale».
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Il Protocollo fissa una serie di principi importanti. Primo tra tutti: l'adesione allo smart working deve avvenire su base volontaria e serve un accordo scritto tra datore di lavoro e azienda. L'eventuale rifiuto del lavoratore non potrà essere motivo di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, né rileva sul piano disciplinare. Il patto tra azienda e lavoratore deve prevedere la durata dello stesso accordo sul lavoro agile (a termine o a tempo indeterminato) e l'alternanza tra i periodi di lavoro all'interno e all'esterno dei locali aziendali.
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L'azienda potrebbe anche chiedere - per motivi di sicurezza dei dati aziendali - l'esclusione di alcuni luoghi di lavoro frequentati da pubblico estraneo (tavolino di un bar, ad esempio). A chi lavora da remoto l'azienda non può tagliare lo stipendio: «Lo svolgimento della prestazione in modalità agile - si legge nel Protocollo - non deve incidere sugli elementi contrattuali in essere quali livello, mansioni, inquadramento professionale e retribuzione del lavoratore». Il principio vale per i «premi di risultato riconosciuti dalla contrattazione collettiva di secondo livello» e per «le forme di welfare aziendale e di benefit previste dalla contrattazione collettiva e dalla bilateralità».
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Non ci deve essere nessuna discriminazione tra lavoratore in presenza e lavoratore in smart working nemmeno relativamente alle «opportunità rispetto ai percorsi di carriera, di iniziative formative e di ogni altra opportunità di specializzazione e progressione della propria professionalità».
NIENTE MAIL IN FERIE Per principio il lavoro smart «si caratterizza per l'assenza di un preciso orario di lavoro e per l'autonomia nello svolgimento della prestazione nell'ambito degli obiettivi prefissati». Ovviamente il lavoratore in smart dovrà coordinarsi con il suo responsabile che potrà comunque prevedere delle fasce orarie. Non è previsto lavoro straordinario.
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Un punto dolente emerso durante la sperimentazione di massa dello smart working è quello relativo alla richiesta di disponibilità continua da parte dei capi verso i propri collaboratori in smart. Non sarà più possibile. Il protocollo prevede esplicitamente che nell'accordo tra azienda e lavoratore siano individuate fasce di disconnessione, durante le quali il lavoratore può ignorare telefonate, messaggi, mail e richieste varie del proprio capoufficio. Il diritto alla disconnessione vale sempre nei periodi di assenza legittima dal lavoro (malattia, ferie, permessi, ecc.).
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A proposito di permessi: anche il lavoratore in smart working può richiedere «ove ne ricorrano i relativi presupposti», la fruizione dei permessi orari previsti dai contratti collettivi o dalle norme di legge quali, a titolo esemplificativo, i permessi per particolari motivi personali o familiari, come quelli della legge 104 del 1992. È inoltre garantita la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Protocollo istituisce anche un Osservatorio nazionale bilaterale di monitoraggio.