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    E’ FINITA L’ERA DEL RINOCERONTE BIANCO – MORTO IN KENYA L’ULTIMO ESEMPLARE MASCHIO – LO SPERMA CONGELATO E IL PROBLEMA DELLA RIPRODUZIONE DELLA SPECIE - PER EVITARE LA NATURALE ESTINZIONE DI ALCUNI ANIMALI SI STA TRASFORMANDO LA TERRA IN UN GRANDE REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA. MA COSÌ SI FERMA IL PROCESSO EVOLUTIVO…


     
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    1 - SALVARE LE SPECIE A RISCHIO PUÒ UCCIDERE LE ALTRE

    Ilaria Pedrali per “Libero quotidiano”

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    L'ultimo esemplare di rinoceronte maschio bianco settentrionale è morto.

    Si chiamava Sudan, viveva in Kenya e aveva 45 anni. Hanno dovuto abbatterlo per via del progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute dovute a un' infezione alla schiena e alla zampa posteriore destra. Più che solcare la savana, ultimamente Sudan si trascinava sofferente nella riserva di Ol Pejeta Conservancy, sorvegliato a vista, protetto da guardie armate e nutrito.

     

    Insieme a lui vivevano la figlia e la nipote, Fatu e Najin, anche loro non più in giovane età. I sorveglianti hanno visto in questi anni degli accoppiamenti, ma nessun cucciolo è mai nato. Ora si apre il problema della riproduzione della specie. La riserva ha già comunicato che alcuni campioni di sperma di Sudan sono stati prelevati e conservati, al fine di tentare la fertilizzazione in vitro di una dei due esemplari femmina rimasti. Impresa difficile.

     

    Roberto Marchesini, etologo e direttore della Scuola di Interazione Uomo e Animale, è convinto che di fatto il rinoceronte sia già estinto. E le cause sono molteplici. «Non esiste più un numero minimo di esemplari riproduttori» spiega Marchesini. «Per garantire la continuità della specie è necessaria una variabilità genetica. Nel caso del rinoceronte, e non solo, se la popolazione diminuisce di un certo numero viene meno la varietà genetica e quindi è solo questione di tempo. Si può dire che si stanno solo allungando i tempi, l' epilogo è scritto».

     

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    Inoltre il professor Marchesini ricorda che essendo il rinoceronte un mammifero, il rischio di patologie ereditarie nella fertilizzazione di uno dei due esemplari femmina rimasti, figlia o nipote di Sudan, è assai concreto. C' è poi un altro problema: «Un animale va in via di estinzione perché gli distruggiamo il suo spazio vitale» prosegue Marchesini. «Non gli si permette un sufficiente sviluppo della popolazione o non si fanno corridoi ecologici che permettano alle popolazioni di avere una riproduzione con scambi genetici.

     

    Non c' è il ricambio genetico. E a lungo andare la specie diventa sterile». Proprio quello che è successo a Sudan e alle due femmine rimaste, condannate a vivere in una riserva senza altri esemplari.

    Del resto, in 50 anni il numero di rinoceronti bianchi settentrionali è crollato, passando dai 2mila esemplari del 1960 ai 7 censiti nel 2009. Ma il responsabile dell' estinzione non è solo lo spazio vitale. Questi animali sono stati vittime di un bracconaggio selvaggio.

     

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    2 - SALVARE LE SPECIE A RISCHIO PUO’ UCCIDERE LE ALTRE

    Costanza Cavalli per “Libero quotidiano”

     

    C' è una cattiva notizia per gli animalisti, ed è che l' unica specie da salvare potrebbe essere la loro. Il destino degli animali in pericolo di estinzione, infatti, potrebbe essere a un bivio: o scomparire, come la dura legge dell' evoluzione ha deciso (con la complicità dell' uomo); oppure che la Terra poco alla volta si trasformi in un unico ambiente artificiale, un po' parco zoologico e un po' cristalleria, in cui il sempre crescente numero di specie a rischio possano proliferare al riparo dai cambiamenti ambientali che li minacciano.

     

    L' allarme viene dagli Stati Uniti, dove la legislazione in materia di salvaguardia delle specie è particolarmente rigida, ma il problema è di portata globale: molti studiosi hanno osservato che anche quando un animale in via di estinzione sopravvive in cattività, spesso non può essere reintrodotto in natura senza cadere vittima degli stessi fattori che lo hanno spinto all' estinzione. Il nostro ruolo di custodi della terra sta diventando «sempre più simile a quello dei medici in un' unità di terapia intensiva globale», dice al New York Times Michael Scott, biologo della fauna selvatica dell' Università dell' Idaho.

     

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    Molti scienziati operano in uno stato di costante manutenzione e lavorano solo in habitat meticolosamente costruiti. «Queste specie sono come pazienti che non saranno mai dimessi dall' ospedale», ha detto la scrittrice ambientalista Emma Marris. Tra tutte le specie a rischio elencate dal 1973 negli Stati Uniti, il 99% è ancora in circolazione. Il rovescio della medaglia, però, è che solo l' 1% di quelle specie è stato sufficientemente riabilitato per lasciare la lista.

     

    IMPRESA IMPOSSIBILE

     In pratica, salvaguardare tutte le specie a rischio vorrebbe dire non aiutarne nessuna per davvero. Paul Ferraro, economista della Johns Hopkins University, sostiene che alcuni compromessi siano pressoché inevitabili: «Quando spendi risorse su una specie, per definizione non le spendi su un' altra». Allo stesso tempo, però, assegnare dei valori alle specie diventa un' impresa praticamente impossibile: come decidere se salvare il lupo oppure il leopardo delle nevi? Difficile mettersi d' accordo: qualche associazione sostiene che si dovrebbero salvare le specie geneticamente più diversificate, con l' obiettivo di aumentare la nostra «resilienza ecologica» a lungo termine, altre invece suggeriscono di dare priorità alla "diversità funzionale": la conservazione di specie chiave, come predatori e impollinatori, la cui presenza o assenza può influenzare radicalmente un ecosistema.

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    SPECIE INVASIVE

    Ma il fatto è che la storia del pianeta è piena di estinzioni. Com' è noto, circa 250 milioni di anni fa, un' eruzione provocò un cataclisma che distrusse oltre il 95 per cento della vita negli oceani e il 70 per cento degli animali che vivevano sulla terra, spazzando via 10 milioni di anni di evoluzione. Negli ultimi cinque secoli le estinzioni sono diventate meno drammatiche, ma più costanti: gli umani sono come una goccia che batte perennemente su una roccia, disboscando foreste, piantando colture, costruendo metropoli, ponti e strade ad alto scorrimento.

     

    CATASTROFI?

    Ma le estinzioni sono davvero delle catastrofi, o sono semplicemente un passo evolutivo? Chris D. Thomas, biologo evoluzionista dell' Università di York, sostiene che solo le specie veramente invasive (quelle cioè che trasformano il paesaggio) debbano essere contenute. «Se gli uomini hanno accelerato questo processo piantando erba di pampa argentina nei loro giardini o scaricando pesci d' acquario tropicale nel loro lago locale, è una versione più veloce e più libera di ciò che sta accadendo sul pianeta: Starbucks che apre a Parigi e McDonald' s a Soweto, serpenti australiani che vivono sull' isola di Guam e carpa asiatica nei Grandi Laghi».

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    E la biodiversità, allora, è importante o no?

    C' è chi la butta sull' aspetto economico, e che cioè preservarla ci fa risparmiare denaro (le mangrovie, per esempio, prevengono l' erosione costiera che altrimenti dovremmo gestire con un progetto di ingegneria) e ci aiuta nelle scoperte (un farmaco antitumorale potrebbe trovarsi nel muschio dell' Amazzonia). C' è chi punta sulla salute: gli ecosistemi svolgono funzioni vitali, come mantenere fertile il terreno, prevenire la desertificazione e assorbire l' anidride carbonica. Ma tutto questo si scontra con la realtà che è impossibile mettere sotto vetro tutti gli ecosistemi del mondo.

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