Carlo Bastasin per “la Repubblica - Affari & Finanza”
MARIO DRAGHI
Con il 2021 finiscono gli anni dell'indulgenza. Il biennio cioè in cui in Europa era possibile commettere errori politici senza portarne immediate conseguenze economiche. Dal 2020, la politica monetaria molto concessiva della Bce, gli acquisti di titoli e i fondi europei sono venuti a soccorso di tutti e sono stati prevalenti rispetto a ogni scelta nazionale. Questa sospensione della realtà si chiuderà nei prossimi mesi, quando torneremo probabilmente ad affiancare ai tragici numeri quotidiani della pandemia quelli più prosaici dello spread.
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L'Italia nel 2021 ha dimostrato di disporre ancora di energie e di una sua istintiva elasticità. Non è purtroppo una garanzia sufficiente e ci sono vari eventi che possono accelerare in Italia l'uscita dal periodo della benevolenza.
Una svolta elettorale che consegni il governo a partiti euroscettici; un cattivo impiego delle risorse europee che faccia rivedere al ribasso l'impatto di lungo termine sulla crescita dell'economia; una sorpresa dal lato dell'inflazione europea che costringa la Bce a inseguire le altre banche centrali nell'aumento del costo del denaro; un evento geopolitico che modifichi le prospettive dell'economia o interrompa le forniture delle catene del valore o, ovviamente, un peggioramento della situazione sanitaria. Ogni evento negativo ha un impatto speciale sull'Italia a causa del suo alto debito.
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Nell'ultimo trimestre del 2021, il differenziale dei tassi italiani su quelli tedeschi è già tornato ad allargarsi. Con qualche approssimazione, si può stimare che il fattore principale dietro l'aumento dello spread sia stato il calo della crescita attesa nel mondo. Sta cioè peggiorando il rapporto tra crescita e tasso d'interesse, quel semplice "indicatore dinamico" che usiamo come sintesi della sostenibilità dei debiti e che vede l'Italia unico grande Paese ad avere tassi d'interesse maggiori della crescita nelle stime del prossimo decennio, secondo il Fondo monetario.
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In pratica, ogni volta che gli investitori vedono peggiorare la crescita o aumentare i tassi, anche se non solo in Italia, riequilibrano i loro portafogli vendendo i titoli italiani prima di ogni altro. Infatti, nell'ultimo trimestre del 2021, benché la crescita dell'Italia fosse maggiore di quella tedesca, lo spread è aumentato di 30 punti base.
Da marzo finirà inoltre il programma della Bce di acquisto di titoli in risposta all'emergenza pandemica. Si è trattato di un programma che beneficiava l'Italia più degli altri Paesi. La sua integrazione con altri programmi non compenserebbe gli acquisti più che proporzionali di titoli italiani.
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Il reinvestimento da parte della Bce dei titoli in scadenza (nel 2022-23 stimati in circa 150 miliardi annui) offre uno spiraglio di impiego discrezionale che potrebbe contenere lo spread italiano. Ma questo vale in teoria. In pratica, la Bce non potrà fare interventi troppo squilibrati a favore dell'Italia senza basi giuridiche solide, cioè senza condizioni eccezionali (un reale rischio di frammentazione dell'euro-area) o senza un programma di assistenza per il Paese beneficiario.
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Quest' ultimo requisito, tuttavia, non è immaginabile visto che è già in corso il Piano di riforma e resilienza con un dettagliato programma di riforme e verifiche. Il sostegno informale che la Bce riceve dalle autorità politiche in Europa sarà anche rilevante. Il nuovo governo tedesco non farà mancare il supporto in caso di necessità, ma l'opposizione cristiano-democratica ha già manifestato intenzioni bellicose.
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Gli obiettivi italiani e tedeschi, d'altronde, se si considera il mix delle politiche fiscali e monetarie, non sono esattamente allineati. In Germania si può accettare più larghezza fiscale a fronte di maggiore restrizione monetaria, per l'Italia invece - potendo disporre dei fondi europei - sarebbe meglio il cocktail opposto: tassi d'interesse più bassi e una politica di rientro dei debiti.
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Lo scenario del 2022 dovrebbe suscitare considerazioni a Roma in vista sia dell'elezione del Presidente della Repubblica - con ripercussioni per la guida del governo - sia della discussione sulle nuove regole di governance europea. La futura presidenza della Repubblica deve garantire il vincolo più importante per la stabilità del Paese: l'impegno dei prossimi governi a convergere con gli altri Paesi europei.
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Quanto alla prossima discussione sulle norme europee di governance, anziché domandare un allentamento dei vincoli di finanza pubblica, il governo italiano dovrebbe accettare che le regole - almeno quelle non irragionevoli - mantengano la loro credibilità. Dovrebbe inoltre proporre che le verifiche del Pnrr diventino pratica comune del "semestre europeo". Questo renderà più facile, a una Banca centrale comunque ben disposta, proseguire sia gli acquisti di titoli, sia politiche di basso costo del denaro, giustificati dalla coerenza della politica di bilancio del Paese più critico.
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