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    “È GAY E HA UN COMPAGNO STABILE”: IL REFERTO CHOC DELL’OSPEDALE DI ALESSANDRIA CON L’ORIENTAMENTO SESSUALE SEGNALATO SULLA LETTERA DI DIMISSIONI DAL PRONTO SOCCORSO COME SE FOSSE UNA MALATTIA, COME SE AVESSE QUALCHE RILEVANZA CLINICA – LA CITTA’ PIEMONTESE A GIUGNO HA ORGANIZZATO IL PRIMO 'PRIDE' DELLA SUA STORIA


     
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    VALENTINA FREZZATO per corriere.it

     

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    «Fuma circa 15 sigarette al dì, beve saltuariamente alcolici. Nega allergie. Omosessuale, compagno stabile». L’omosessualità segnalata dopo le allergie, scritta nero su bianco nella lettera di dimissione dall’ospedale. Come se fosse una malattia, come se avesse qualche rilevanza clinica. Succede ad Alessandria, nel 2019. La città che a giugno ha organizzato il primo Pride della sua storia. Partecipatissimo, probabilmente non abbastanza.

     

    Qualche giorno fa l’arrivo al pronto soccorso per un grave mal di testa, una flebo che non risolve, il ricovero nel reparto di Malattie infettive, l’incontro con un medico che, da subito, mette distanza, imprime un marchio: «Ah, lei è gay». Da lì una serie di comportamenti che l’uomo non riesce a comprendere fino in fondo, fino all’ultimo giorno, fino a quando non ha tenuto in mano quei tre fogli. È entrato in ospedale per un forte mal di testa, è stato dimesso con una lettera che urla la sua omosessualità, dopo essere stato sottoposto al test dell’Hiv (negativo) ed essere stato ricoverato nel reparto Malattie Infettive.

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    «Da subito, il medico che mi ha visitato si è posto in una maniera strana. Il mio compagno era in camera con me e ha chiesto a lui direttamente chi fosse. Ha risposto. Gli ha detto non proprio gentilmente di uscire dalla stanza. La prima cosa che poi ha domandato a me è stata: “Conferma che è il suo fidanzato?”. Penso che a marito e moglie nessuno chiederebbe mai questo tipo di conferma». Piccole discriminazioni, continue, fino al consiglio di vaccinarsi contro l’epatite.

     

    «Ciò che mi ha più infastidito è stata la lettera di dimissione: alla terza riga è specificato che io sono omosessuale con compagno fisso. Cosa c’entra? Perché lo specifichi? È un dettaglio che posso decidere di tenere riservato, ma che adesso dovrò quantomeno condividere con il mio medico di base. E se lui non lo sapesse? E se io non volessi farlo sapere? Mi chiedo: ci sarà mai una anamnesi con scritto “eterossessuale con compagno stabile”?».

     

     

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    L’uomo e il compagno stanno valutando di inviare un reclamo formale all’azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio di Alessandria. Se fossero andati direttamente nell’ufficio dell’avvocato Michele Potè, dell’associazione Avvocatura per i diritti Lgbti-Rete Lenford, li avrebbe consigliati così: «Quello che farei è una diffida all’ospedale dove si chiede quantomeno la rettifica del referto. Eventualmente penserei anche a una richiesta di risarcimento danni». L’avvocato sostiene che questo comportamento è «chiaramente discriminatorio». «C’è anche una violazione della privacy perché è un dato sensibile. In generale, mi sembra un comportamento medievale. L’omosessualità non è una malattia dal 1990. Lo trovo molto stigmatizzante. Aver chiesto di sostenere il test per l’Hiv è anche peggio».

     

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    Norma De Piccoli del Cirsde, il «Centro interdisciplinare di ricerche e studi delle donne e di genere», pensa a una denuncia: «Quello che l’uomo racconta ha il sapore di una discriminazione e lo denuncerei al tribunale del malato, oltre che pubblicamente alle associazioni che si occupano di parità dei diritti. L’omosessualità non è una patologia fisica né psicologica né psichiatrica. Perché deve essere indicata?».

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