Dal profilo Facebook di Pierluigi Panza
PAOLO CONTE
E tu con chi stai? Chiedono nella Milano ztl: con Paolo Conte che va alla Scala grazie a Caterina Caselli che ha ottenuto di farlo esibire (da chi? Da Sala?) o con gli oppositori? È un problema grasso, di minoranza culturale trasversale che poco interessa alla politica. Non è un problema di genere, ma di qualità, sostiene chi difende la scelta della Scala. Per altri (come il direttore di Sky classica, Piero Marangh) il problema è il precedente: se va Conte alla Scala, perché non Branduardi?
E Bob Dylan? E così via cantando, con gli altri che replicano che ci sono stati balletti su musiche dei Pink Floyd e anche - nessuno lo ha detto – di Vasco Rossi (spettacolo pessimo). Il Postmoderno ha soppiantato i generi come vecchi arnesi e siamo tutti fluidi? La fruizione è libera, inclusiva, liquida? Uno vale uno e questo è il bello?
PIERLUIGI PANZA
La Scala non è un tempio, anche il melodramma è pop ecc. si sa; ma affermare che bisogna scegliere gli spettacoli sulla base della qualità (come scrivono Merlo e Mattioli) e non del genere ha una facile risposta: la qualità è un non-parametro oggettivo. Tre secoli di storia dell’Estetica (non solo musicale) hanno cercato di stabilire cosa sia il bello e no, la qualità e no. L’ha fatto mettendo a punto metodi critici e teorici. Ogni opera nata da Kunstwollen ha pretesa di qualità: ma sono poi spettatori, critici e una valutazione che, come scriveva Gadamer, si “distende lungo i tempi” a decretarne qualità e la sopravvivenza. Un direttore artistico non ha uno strumento di misurazione a priori, specie se estensivo a generi diversi. Conte è di qualità e Branduardi no? Non esistono forse ballate popolari di qualità: si possono portare alla Scala? E Jungle bells è priva di qualità? La storia dell’arte è piena di opere ritenute di qualità poi scomparse e di opere non rappresentate poi ritenute di qualità.
Umberto Eco, che come gran parte della postmodernità colta era fautore della compresenza di Cultura alta, Midcult e Masscult, in “Alto, medio, basso” del 2010 scriveva che “la distinzione dei livelli si è spostata dai loro contenuti o dalla loro forma artistica al modo di fruirli” e mi sembra che questa affermazione sia ancora valida. Io posso usare Beethoven come sveglia del telefonino, ma se la uso in questo modo la parifico a qualsiasi motivetto, mentre se la ascolto alla Scala diretta da un maestro mi “dispongo” in un’altra fruizione e non perché cambi la qualità della composizione (le note sono le stesse) ma perché cambia il contesto.
PIERO MARANGHI
La scelta delle modalità di fruizione è uno dei pochi atti critici selettivi ancora esperibili. Eccoci al punto: la Scala che fruizione intende proporre alle future generazioni? Pensa di difendere una storia che, dall’Umanesimo in poi, ha distinto progressivamente per generi (aperti), categorie, qualità (discutibili), modalità fruitive ecc. o pensa di entrare nel mainstream fluido?
Per rispondere a questa domanda bisogna fare molta attenzione a chi ci si rivolge. Umberto Eco, e direi tutti quelli che partecipano a questo dibattito, sono stati formati da una cultura strutturata. Quando la Postmodernità anni Novanta ci invitò a liberare i generi, la gaia scienza dell’alto e basso insieme fu per noi una giocosa liberazione: ma non eravamo e non siamo degli individui disintermediati, sappiamo che uno è Topolino e l’altro Kant. Oggi noi invecchiati dobbiamo mostrare responsabilità nei confronti di giovani generazioni nate e vissute nella più completa disintermediazione, spinta alla massima potenza dal mainstream: se non esistono più i generi sessuali, chi può pensare che, per un giovane, possano esistere i generi artistici? Se uno vale uno tra gli individui, può non esserlo per le opere d’arte? Con tanti saluti alla critica, è bello ciò mi piace e faccio quel che voglio e ascolto un medley dove mi capita e lo voto con un like.
alberto mattioli foto di bacco
Il risultato è che la poetessa più celebrata dell’anno è Amanda Gorman perché è nera, veste Prada e Biden la usa alla sua investitura o che Fedez è il maître à penser del Paese. Ma mentre noi postmodern invecchiati ridiamo degli esiti di questo divertissement disintermediato o pensiamo a come costruire consenso intorno ad altri personaggi che vengono del niente, come quelli del “Grande Fratello”, per i giovani non è un divertissement, non è consenso costruito: loro pensano che si la “verità”. Chi ha più like è più importante di Mattarella, Amanda Gorman è davvero una poetessa e Sanremo è più importante della Scala perché lo vedono 16 milioni a sera e non duemila.
Ecco, Conte alla Scala è un tardo adeguarsi Postmodern a questo fluido mainstream. Ma se anche la Scala entra in Sanremo (pure con la sua violinista influcencer) chi può mantenere viva una “opposizione” culturale? Chi può, pur in minoranza, ancora dire: sono l’erede di quella storia che, dall’Umanesimo a oggi, ha cercato di stabilire criteri, suddividere per generi le opere d’arte, distinguerle e presentarne gli esiti in sedi modificabili ma ritenute consone alla loro fruizione? Che per Beethoven non è la sveglia e per Paolo Conte non è la Scala.
PAOLO CONTE PAOLO CONTE PIERO MARANGHI PAOLO CONTE PIERLUIGI PANZA