1. LA MAPPA: CHI RIUSCIRÀ A SOPRAVVIVERE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
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Il cambiamento climatico è reale, e sta arrivando. I leader di 150 nazioni, insieme a migliaia di rappresentanti di quasi 200 paesi, si incontrano a Parigi per la ventesima volta per cercare di elaborare un piano per prevenire la catastrofe globale. Ma quali di questi Paesi è già pronto ad affrontare un’eventuale emergenza climatica?
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Per rispondere a questa domanda, Eco Experts ha messo insieme un’infografica sulla base dei dati forniti da Notre Dame Global Adaptation (ND-Gain) Index, una classifica annuale dei paesi che sono più pronti ad adattarsi all’annunciato riscaldamento globale.
Mentre le mappe forniscono una prospettiva ingrandita di ciò che accadrà a livello mondiale in conseguenza al riscaldamento della terra, ci sono alcune avvertenze da tenere a mente al momento della verifica.
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Innanzitutto, la mappa si basa su classifiche e non su valutazioni complete di ogni paese. Inoltre bisogna sottolineare che la mappa si limita ad un’analisi a livello nazionale. Tutti i dati, specifici per regione, o addirittura per determinate città, si perdono in una più ampia prospettiva. Tuttavia, per quanto riguarda gli Stati Uniti, dall’infografica si evince che specifiche parti del paese sono molto meno in grado di gestire il cambiamento climatico, tra cui Miami e New York City.
In generale, i paesi sviluppati hanno molte più infrastrutture per adattarsi ad un riscaldamento del pianeta.
2. I NEGOZIATI DI PARIGI ENTRANO NEL VIVO MA IL CARBONE NON SI RIESCE A FERMARE
Roberto Giovannini per “la Stampa”
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Dopo i messaggi dei capi di Stato, si può dire che ieri è iniziata davvero la Cop21 di Parigi. La parte «emersa» della conferenza si svolge alla luce del sole, ed è accompagnata dal turbine di conferenze stampa e di annunci di sempre più ambiziosi progetti per la decarbonizzazione.
Certamente però quella più significativa e determinante è la parte «sommersa», con i mille incontri riservati in cui gli sherpa delle varie delegazioni affrontano i nodi reali che si frappongono ancora sulla strada del possibile accordo.
Uno di questi nodi - l' efficacia dell' intesa - lo ha affrontato apertamente ieri Barack Obama. Parlando con i giornalisti, il leader Usa ha affermato che l' eventuale accordo sul clima «deve essere vincolante, almeno per quanto riguarda la trasparenza e le revisioni periodiche degli obiettivi di diminuzione delle emissioni di gas serra».
un impianto a carbone nel regno unito
Si tratta di due punti fondamentali dal punto di vista del merito. Per «trasparenza», in gergo diplomatico/ambientale, si intende la possibilità di verificare in modo indubbio e incontestabile che ogni singolo Paese applichi realmente le varie misure di riduzione delle emissioni di gas serra.
Per «revisioni periodiche», invece, si allude alla palese inadeguatezza di molte delle promesse di riduzione delle emissioni formulate dagli Stati: senza un meccanismo di verifica almeno quinquennale dei cosiddetti «Indc», è impossibile sperare nel contenimento dell' aumento della temperatura globale. Solo questi due aspetti, dice Obama, devono essere vincolanti per gli Stati che aderiranno all' accordo sul clima: sono i soli due aspetti che il presidente democratico si sente in grado di far digerire (e non è detto ce la faccia) a un Congresso a maggioranza repubblicana, e con molti «negazionisti».
obama e xi jinping brindano a vino rosso
Traguardo irraggiungibile
Intanto però il tempo scorre, e non a vantaggio dell' umanità.
Secondo i conti degli autorevolissimi esperti di Climate Action Tracker, se venissero davvero costruite tutte le centrali a carbone già programmate di qui al 2030, sarebbe assolutamente impossibile sperare di limitare l' aumento della temperatura a 2 gradi.
Bisognerebbe chiudere, dicono gli scienziati, immediatamente anche tutte le centrali a carbone in funzione. Cosa difficile, realisticamente; anche perché se si va a vedere bene, gli stessi Stati i cui leader domenica a Parigi hanno proferito commoventi allocuzioni al fine di salvare il mondo e i nostri discendenti, in realtà sovvenzionano con un fiume di aiuti economici quelle stesse fonti energetiche fossili che rischiano di affogare mondo e discendenti.
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Il paradosso
I dati dello studio del gruppo Oil Change International, basati su numeri rilasciati dalle organizzazioni internazionali e dai singoli Stati, rivelano così che i 20 Paesi più ricchi e industrializzati del G20 nel 2013 e nel 2014 hanno erogato sussidi alle fonti fossili per la bellezza di 452 miliardi di dollari, considerando diversi strumenti, come aiuti diretti, agevolazioni fiscali, compartecipazioni azionarie in imprese energetiche pubbliche, e aiuti finanziari da parte di banche e istituzioni finanziarie pubbliche.
Si tratta di una somma quattro volte superiore agli incentivi concessi alle fonti rinnovabili, sempre su base annua, conferma l' Agenzia Internazionale per l' Energia. E se in Europa l' unico Paese che ha ridotto i sussidi al fossile è la Germania, l' Italia eroga circa 3,5 miliardi di dollari. Più della Francia.
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