Stefano Bucci per “La Lettura - Corriere della Sera”
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Ritrovarsi per la prima volta negli spazi del Museo Novecento è stata per Jenny Saville un'emozione grandissima. «Qualcosa di nuovo, di diverso - confessa a "la Lettura" -. Quando sono venuta qui la prima volta, alla fine di settembre per l'inaugurazione della mostra, ero stravolta, non avevo dormito più di quattro ore a notte per due anni.
Ho lavorato senza sosta per questa mostra: è stata una fatica fisica, ma soprattutto emozionale, Michelangelo era diventato la mia ossessione. Volevo imparare da lui, ma temevo che la sua reputazione sopraffacesse la mia capacità di fare il lavoro. In certi momenti mi dicevo: non posso stare accanto a lui, accanto al più grande artista mai vissuto. Questa tensione è durata a lungo, in pratica per tutti i due anni che hanno preceduto la mostra.
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Ne sono uscita esaurita, provata, cercando di fare il meglio che potevo. Ma il trauma è rimasto e per quasi due mesi ho continuato a svegliarmi nel mezzo della notte, sudata, in preda al panico, dicendomi: oh mio Dio, devo andare in studio a lavorare. Solo ora l'angoscia sta cominciando a passare».
Dunque, Saville vs Michelangelo. Il confronto classico-contemporaneo è d'altra parte una delle cifre che il direttore del museo, Sergio Risaliti, ha scelto di seguire per dare un futuro all'arte, «per avvicinarla alla realtà, per renderla più vicina e più comprensibile» .
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Tra i prossimi progetti del Museo c'è una mostra dedicata a Leoncillo (1915-1968) che proporrà, oltre a un consistente nucleo di sculture e ceramiche all'interno dell'ex Spedale di San Paolo, anche un'opera di Leoncillo all'Archeologico. Jenny Saville torna a Firenze da turista (o quasi). In una sorta di convalescenza dopo l'impegno lungo due anni che l'ha portata alla realizzazione di questa grande monografica divisa in cinque sedi (tutte museali). Una mostra che ha esaltato il lavoro di una delle punte di diamante del gruppo degli Young British Artist.
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Che, a differenza dei suoi coetanei Damien Hirst o Tracey Emin, che hanno preferito esplorare le possibilità offerte dalle tecniche multimediali e dalla cultura popolare, è sempre rimasta fedele alla pittura figurativa, meglio se monumentale, incentrata sul corpo, sulla carne, su soggetti femminili nudi, mutilati, schiacciati dalla maternità e dall'esistenza.
Un genere a lungo considerato il «punto più basso» del conservatorismo, ma che ha fatto di lei (nata il 7 maggio 1970 a Cambridge) l'artista donna vivente più cara al mondo: il suo Propped è stato battuto il 5 ottobre 2018 da Sotheby' s a Londra per 10.804.719 dollari. Trasformando Saville in una sorta di apripista eccellente per le più recenti esperienze di Lynette Yiadom-Boakye e Claudette Johnson.
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Come ha vissuto questa mostra?
«Come un intervento chirurgico. Sergio mi ha invitata a Firenze quando ci siamo incontrati a Venezia per l'ultima Biennale d'arte, nel 2019. In realtà, prima mi ha invitato a Firenze per rivedere Michelangelo e per mostrarmi il suo museo. È stato il mio amore per Michelangelo che mi ha fatto accettare: andiamo a dare un'occhiata, mi sono detta. A Firenze ho visto tutto il Michelangelo che potevo.
A quel punto Sergio mi ha chiesto: ti piacerebbe fare una mostra con noi e con la Pietà Bandini ? Ho risposto subito di sì, ma poi ogni volta che tornavo in studio mi dicevo: cos' hai fatto? L'idea di mettermi in competizione con Michelangelo mi dava angoscia; poi quando ho iniziato a lavorare mi sono sbloccata, anche se l'angoscia è rimasta».
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Non deve essere stato facile nemmeno confrontarsi con Firenze e con i suoi capolavori... «Firenze è una città incredibilmente figurativa, un sogno per ogni artista, fare una mostra qui è l'occasione della vita.
La conoscevo, certo, ma non l'avevo mai considerata con l'occhio di chi doveva farci una mostra, anche perché ogni volta che ci tornavo, c'erano progetti che mi impedivano di avere un'idea chiara del mio futuro. Inizialmente, pensavo comunque che dovesse essere un'esposizione molto più piccola e non così articolata da accogliere buona parte del mio lavoro più recente, mettendolo a colloquio con il resto della città, con Michelangelo, con Giotto, con Donatello».
Come ha scelto i disegni e i dipinti da esporre?
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«Pezzo per pezzo come se si trattasse di una protesi per un intervento chirurgico (tra le esperienze che Saville considera fondamentali c'è anche la frequentazione di interventi di chirurgia estetica e liposuzione presso lo studio newyorkese di Barry Martin Weintramb, ndr).
Fulcrum (1998-1999), con quei suoi corpi esuberanti e ammassati, mi è sembrata ad esempio perfetta per il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, per confrontarsi con i corpi affrescati da Vasari nelle sue battaglie o scolpiti da Vincenzo de' Rossi nelle Fatiche d'Ercole. Quando sono entrata nella Cappella del Museo Novecento, mi sono invece subito detta: so già cosa voglio mettere qui, Rosetta» .
A proposito di «Rosetta»...
«Ho sempre voluto dipingere una persona non-vedente. Nel 2005, qualcuno mi ha fatto sapere che c'erano alcuni modelli disposti a posare per me alla Scuola per ciechi di Napoli. È stato così che ho incontrato Rosetta, l'unica modella che mi ha intervistato, che mi ha fatto tante domande, che mi messo sotto esame per vedere se ero abbastanza degna per lavorare con lei. Un'esperienza per me incredibilmente potente».
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Il confronto con i maestri non la intimorisce?
«No, perché li considero colleghi più che maestri, miei contemporanei con i quali trasmettersi reciproche emozioni, con i quali gareggiare. Perché un taccuino di disegni del XVI secolo mi trasmette molto più di ogni tecnologia visiva di ultima generazione».
Seguendo questo mood Saville aveva già realizzato nel 2015 una serie di disegni a carboncino di grandi dimensioni che fanno riferimento diretto alla storia dell'arte, commissionati dall'Ashmolean Museum all'Università di Oxford e ispirati alla mostra Titian to Canaletto: Drawing in Venice (2015 ), un confronto che «mi ha permesso di scoprire il movimento».
Lo stesso anno Saville curò anche una sala per la grande rassegna alla Royal Academy ( Rubens and his Legacy: Van Dyck to Cézanne ) in cui assemblò molti suoi riferimenti: Cecily Brown e Sarah Lucas, Pablo Picasso, Willem de Kooning, Francis Bacon. C'è chi avvicina il suo stile a Rubens...
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«Lo so. Ma io preferisco Tiziano. Penso che abbia una profondità maggiore rispetto a Rubens. Adoro i suoi schizzi a olio e la sua capacità di comporre corpi e figure. Confesso che le mie passioni per i classici possono anche cambiare a seconda dei momenti, ma posso contare sempre su un equipaggio fisso: Tiziano e Michelangelo.
Con Michelangelo è come se avessi in comune il senso estetico per i muscoli e per la forza che trasuda dai corpi. Tiziano e Rubens hanno plasmato la mia idea del corpo come strumento-espressivo; Bacon, Picasso, de Kooning mi hanno fatto capire che lavorare e dipingere corpi è un modo fantastico per rappresentare quello che oggi significa vivere. Una passione che ho sempre avuto, da quando ho memoria, da quando avevo otto anni e ho iniziato a disegnare.
Piuttosto che dipingere un paesaggio o una stanza, ho sempre preferito mostrare quello che c'è dentro i paesaggio o dentro la stanza, magari mio padre che legge il giornale. Un paesaggio e una stanza contano solo per le figure che contengono».
La maternità è uno dei temi che ricorre più spesso nella sua opera. Il confronto con la «Pietà Bandini» lo ha evidenziato con forza...
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«Sono una madre e un'artista. Non so cosa viene prima, in realtà: non posso dire di essere prima una madre e poi un'artista, perché sono due universi per me profondamente collegati, che mi aiutano a stare meglio.
Sono una madre migliore perché sono un'artista e sono un'artista migliore perché sono una madre. Spesso la condizione delle donne, quando sono madri, è ancora oggi vista come qualcosa "in meno" in termini di carriera. La mia è stata una sfida.
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Con la maternità sono diventata carne, ho potuto vivere il "mio essere corpo". Scoprendo di essere in una posizione incredibilmente potente ed eccitante per il mio lavoro. Avere figli ha radicalmente trasformato in meglio il mio modo di lavorare, mentre i miei figli con il loro approccio disinibito alla pittura e al disegno mi hanno aperto ulteriori orizzonti, permettendomi di essere sempre più libera nella scelta dei soggetti e dei metodi».
Perché così pochi uomini nelle sue opere?
«Non è vero. È una leggenda. Ce ne sono. Solo che nei miei dipinti e nei miei disegni le donne sono sempre molto più forti degli uomini».
nudi di jenny saville dopo jenny saville e glen luchford
jenny saville jenny saville jenny saville propped 1 reproduction 1 odalisque plan hybrid’ jenny saville