mark lanegan
Andrea Andrei per "il Messaggero"
Non si esce vivi dal grunge. O perlomeno così verrebbe da dire, con amarezza, dopo aver appreso della scomparsa di Mark Lanegan, ex leader degli Screaming Trees, morto martedì a 57 anni, per cause ancora ignote, nella sua casa a Killarney, in Irlanda.
Voce inconfondibile, ruvida e profonda, Lanegan era una nobile espressione di quella branca del grunge che si ispira al blues, ma soprattutto è stato una delle espressioni più complete, nel bene e nel male, di quel movimento che partì dalla West Coast (non quella assolata della California, ma quella ombrosa di Seattle) alla fine degli Anni 80 per incendiare il mondo intero e poi esaurirsi nel giro di poco più di un lustro.
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La frase È meglio bruciare in un attimo che svanire lentamente, trovata scritta su un foglio accanto al corpo esanime di Kurt Cobain (morto suicida nel 1994), sembra descrivere così il destino del grunge, che con Lanegan perde uno dei suoi ultimi grandi protagonisti.
Andrew Wood dei Mother Love Bone (morto nel 1990), Kurt Cobain dei Nirvana (1994), Layne Staley degli Alice in Chains (2002), Scott Weiland degli Stone Temple Pilots (2015), Chris Cornell dei Soundgarden (2017): tutti i frontman delle band più rappresentative di quel periodo, nate ed esplose nello stato di Washington, hanno ceduto negli anni a tossicodipendenza e depressione, incubo distintivo della Generazione X.
mark lanegan
IL DISAGIO
Un incubo che Lanegan conosceva bene e che, come i suoi amici, provò a esorcizzare con la musica, vera arma di ribellione che permise a quei giovani problematici di emergere dall'isolamento cronico in cui erano cresciuti e diventare (spesso loro malgrado) icone di un rock maledetto ma remunerativo.
Quando, nel 1991, i Nirvana e i Pearl Jam entrarono di prepotenza nelle classifiche in tutto il mondo, Lanegan si era già conquistato un posto di rispetto nell'ambiente di Seattle, sia da solo (incise nell'87 The Winding Sheet per Sub Pop, l'etichetta che inventò il grunge) che insieme ai suoi Screaming Trees.
IL TRIBUTO
mark lanegan
Per la band però l'affermazione arrivò solo l'anno seguente con Sweet Oblivion, album che conteneva perle come More or Less e Nearly Lost You. Lanegan non ebbe mai il successo commerciale dei suoi colleghi, ma restò comunque una delle voci-simbolo del grunge, a cui i fan erano particolarmente affezionati, e non solo loro: ieri sui social decine di artisti, da Iggy Pop a Slash, gli hanno dedicato messaggi e ricordi sui social.
mark lanegan
Lo restò anche quando la sua carriera riprese quota con i Queens of The Stone Age (fu coautore della potentissima No One Knows) e con l'album solista Bubblegum del 2004, in cui univa all'hard rock la sua naturale vocazione alle sonorità blues. Un po' come ha fatto Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam che lo scorso 11 febbraio ha pubblicato il suo terzo album solista, Earthling. Lui però, per fortuna, sembra essere emerso incolume e anzi più forte dal periodo turbolento del grunge.
mark lanegan
Nell'ultimo anno, Lanegan aveva lottato contro una forma aggressiva di Covid, che lo aveva, diceva lui, «colpito lì dove c'è stato un trauma in passato. E io ho avuto un bel po' di incidenti nel corso della mia vita». Ora l'oscurità che aveva dentro e che la sua voce rendeva così struggente si è finalmente dissolta. Resta solo la musica, quella sì, davvero immortale.
layne stanley vancouver 1993 kurt cobain layne staley 1 kurt cobain kurt cobain 1 scott weiland a destra la notte prima di morire scott weiland nel 2003 scott weiland e slash kurt cobain scott weiland e gli stone temple pilots andrew wood 2 andrew wood 1 layne staley
andy wood kurt cobain layne staley chris cornell chris cornell chris cornell la piu bella voce del rock mark lanegan