Luca Cifoni per “il Messaggero”
HANS WERNER SINN
Una porta chiusa in faccia al presidente Macron e ai suoi progetti di riforma della governance dell'area dell' euro. Ma anche un colpo sparato contro la Bce guidata da Mario Draghi e un avvertimento contro le possibili scelte della politica italiana.
Il documento scritto da 154 economisti tedeschi e pubblicato alcuni giorni fa sul sito del giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung rappresenta tutte queste cose insieme e come tale irrompe nel dibattito politico sulla riforma della governance dell'area dell'euro. Un dibattito che sul piano istituzionale seguirebbe i tempi lunghi delle procedure europee, ma che deve anche fare i conti con le improvvise accelerazioni, come quella che è balenata nel nostro Paese.
CHRISTOPH SCHMIDT E ANGELA MERKEL
IL DOSSIER
Insomma, anche se non è previsto che nel vertice europeo di giugno il dossier possa fare significativi progressi, tutti i temi sono sul tavolo, compreso quello posto già in un altro documento di economisti - in parte gli stessi - nel mese di aprile: l'opportunità di una procedura di uscita ordinata dall'euro. La Germania insomma, o meglio una parte della sua intelligencija (che riflette a sua volta una quota consistente di opinione pubblica), si pone il problema di cosa dovrebbe accadere nel caso in cui un Paese, per scelta più o meno volontaria, non appaia più in grado di restare all' interno della moneta unica.
draghi merkel
O non voglia. Attualmente infatti esiste solo la possibilità di lasciare l'Unione europea e questo passaggio, come dimostra il caso della Gran Bretagna, è già di per sé abbastanza complicato; ma i Trattati non dicono nulla a proposito dell'abbandono della moneta unica.
Si presume che un Paese dovrebbe passare comunque per l'uscita dalla Ue: gli accademici tedeschi vogliono invece che sia prevista esplicitamente e direttamente questa opzione, in modo che possa essere applicata a Paesi in difficoltà, ma anche alla stessa Germania qualora si prospetti un assetto europeo troppo basato sulla condivisione dei rischi degli altri. Insomma qualcosa che somiglia, dalla prospettiva tedesca, a quello stesso piano B che in questi giorni è entrato nell' attualità politica italiana.
Macron May Merkel
Non è solo un tema politico, ma anche e forse soprattutto finanziario. Tutto ruota intorno a Target 2, la piattaforma dell'Eurosistema sulla quale passano i flussi di pagamento tra le banche europee. Il numero due della Bce Constancio ha confermato recentemente quanto aveva già detto lo stesso Mario Draghi all'inizio dello scorso anno: in caso di uscita dall'Unione monetaria, un Paese dovrebbe regolare i conti. L'Italia ha uno sbilancio di circa 400 miliardi, mentre Berlino al contrario ha una posizione positiva per circa 900: questi squilibri dovrebbero essere saldati, con evidente vantaggio per i Paesi forti.
I FIRMATARI
I firmatari del documento più recente (che richiama il tema dell'uscita ordinata dall' euro) includono Jürgen Stark, già membro del board della Bce e Hans-Werner Sinn, già a capo del think tank Ifo. Nel mirino ci sono soprattutto le recenti proposte del presidente francese Marcon e del numero uno della commissione europea Juncker.
Jurgen Stark
Non piace tutto ciò che può andare in direzione di una condivisione dei rischi all'interno di Eurolandia. Dal punto di vista dei firmatari avrebbe l'effetto di deresponsabilizzare ulteriormente i Paesi meno attenti all'equilibrio dei conti e di fermare il processo di eliminazione dei crediti inesigibili delle banche.
Dunque no al Fondo monetario europeo, no al ministro delle Finanze e no ad un sistema comune di garanzia dei depositi. Ma ce n'è anche per Mario Draghi, la cui politica monetaria rappresenterebbe già una forma di monetizzazione del debito, ben al di là di quanto prevede lo statuto della Bce. E la monetizzazione del debito per molti in Germania è il peccato mortale della politica economica.