Andrea Malaguti per “la Stampa”
urbano cairo
Alla cena con Barack Obama dell' 8 maggio c' è tutta la Milano che conta. Ma il vero circolo degli eletti, il club del potere, si dà appuntamento poco più tardi nella foresteria di Diego Della Valle. Sorprendentemente, a tavola c' è un posto riservato a Urbano Cairo, numero uno del Toro, de La7, della Cairo Communication. Soprattutto, da meno di un anno, presidente e ad di Rcs Mediagroup.
Il segnale non è trascurabile. Nell' estenuante corsa al Corriere, lo scontro tra Della Valle, Mediobanca, Unipolsai e Pirelli da una parte e Urbano Cairo e Intesa Sanpaolo dall' altra, è stato violento al punto da rendere inimmaginabile un riavvicinamento.
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L' invito nella foresteria è il segno di un ribaltamento. Se appena nove mesi prima il presidente del Torino, re dei settimanali popolari, era una spalla sul palcoscenico della Scala dell'imprenditoria, oggi è l'attore protagonista. O anche, per usare le parole di Melania Rizzoli, influente professionista vicina sia a Cairo sia a Berlusconi, «è diventato una stella». I gioielli in vetrina sono i suoi. Lo cercano tutti. Imprenditori, giornalisti, attrici e politici.
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Gli inviti a tavola arrivano anche da chi lo considerava un intruso. «Io e Della Valle avevamo un ottimo rapporto. Poi siamo diventati concorrenti e la relazione si è raffreddata. Ma i problemi sono alle spalle. Certo, non ho apprezzato che alla conclusione della Opas, Della Valle e soci abbiano fatto ricorso al tribunale», dice Cairo apparentemente pacificato. Perché il potere, come la religione, perdona. Ma non dimentica.
«Lo sa quanto valeva un'azione Rcs quando sono arrivato?». No. «Zero virgola 42 euro. Oggi quasi un euro di più. Gli azionisti ci hanno guadagnato tutti, me compreso. Di certo a Della Valle non ho fatto un dispetto». Ora, un uomo con questa forza, è perfetto solo per contare soldi e rilanciare aziende o anche per entrare in politica? E il sondaggio su di sé, appena commissionato, soddisfa la voglia di un imprenditore della comunicazione di misurare la propria popolarità o è l'indagine di chi aspira a un ruolo nella guida del Paese?
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Suggestioni che hanno come sfondo l'eterna ricerca di un Berlusconi con vent'anni di meno. E comunque di un papa straniero capace di cambiare le carte in tavola. Domande che ritornano nei giorni in cui si rincorrono voci e articoli su una campagna elettorale con il presidente di Rcs candidato premier dei Cinque Stelle.
Ma Cairo è grillino? «Assolutamente no», dice lui. È l'impressione di tanti. «Un'impressione sbagliata. Non ho riferimenti politici specifici. E ai miei direttori lascio libertà totale. Da loro mi aspetto cose interessanti per telespettatori e lettori. Sarebbe assurdo ignorare una parte della nazione».
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Gianni De Biasi, il primo allenatore chiamato da Cairo al Torino, racconta che il presidente è sempre stato attratto dalla politica. Un discorso gli è rimasto in testa. «Mi disse: "Adesso che sono il presidente del Toro mi riconoscono tutti. Prima no. Eppure sono un imprenditore di successo da anni". Anche per questo entrò nel calcio, un po' come Berlusconi. Perciò gli chiesi se fosse tentato dalla politica. Lui mi disse vago: "Magari un giorno"».
È adesso il giorno? Forse no. Ma non è sbagliato pensare che arriverà. Quando risponde al cellulare, Urbano Cairo, che il 21 maggio ha compiuto 60 anni, è in auto verso il Mortirolo. La voce arriva a scatti. «Sto seguendo il Giro d'Italia. È un ottimo modo per osservare il Paese. Famiglie, mamme, bambini. L'entusiasmo è contagioso. Un'Italia in marcia». Macronianamente "En Marche". Eccola la suggestione. «No, la citazione è casuale». Ma per i sondaggi una discesa in campo non sarebbe un azzardo, il profilo perfetto per gli europeisti moderati.
URBANO CAIRO CON CORRIERE DELLA SERA
«Ho una grande passione per la politica, ma non ho tempo. Le mie aziende hanno 4500 dipendenti diretti e altrettanti indiretti. Ho un impegno con loro. Rcs poi ha dimensioni importantissime, e aveva accumulato oltre un miliardo di debiti. Ora le cose stanno andando bene, per la prima volta produciamo cassa». Racconta che la sfida gli porta via cento ore di lavoro a settimana: dorme quattro ore per notte e già due volte, mentre nel palazzo della Gazzetta controllava conti, fatture e note spese, i guardiani hanno spento la luce.
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«Era passata mezzanotte. Credevano non ci fosse più nessuno». Ottimizzazione e risparmio sono la sua maniacale prima forma di investimento. «Tendo a controllare ogni cosa. È un modo per conoscere le persone con cui lavoro, capirne le abitudini. A parte qualche eccezione, in Rcs ho trovato un impianto sano. Vedo dettagli e faccio domande, per invitare tutti a dare il giusto peso alle cose. Andrebbe fatto anche a livello Paese. Sa quanto spendiamo solo per beni e servizi?».
Quanto? «Centosettantacinque miliardi. Basterebbe risparmiarne il 20-30% per trovare 40 miliardi con cui ridurre il cuneo fiscale. Il costo unitario dei prodotti calerebbe. Le aziende sarebbero più competitive ed esporterebbero più facilmente. Come fanno i tedeschi. Il mercato interno non offre molti spazi, quello estero sì. Ma bisogna abbassare le tasse». Il 20-30% è tanto. «Nei ministeri ci sono quantità di soldi bloccati o usati male». Sembra un manifesto politico.
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«È un ragionamento che applico alle mie aziende. Compresa Rcs, dove abbiamo chiuso il primo bilancio in attivo. Senza gli oneri del passato, in quattro anni ripianeremmo i debiti». Spending review radicale. Che in passato non è riuscita a nessuno. Nel 2014, a Forte dei Marmi fece un discorso identico a Matteo Renzi. Si videro per un caffè. Renzi ascoltò. Poi fece a modo suo. «Gli dissi di non concentrarsi solo sulle riforme. Che sui singoli piccoli costi si fanno grandi risparmi, puntare sugli 80 euro non serviva a niente, abbassare le tasse e mettere le aziende in condizioni di assumere, soprattutto i giovani, invece sì».
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La popolarità non lo ha messo al riparo dai veleni dei salotti milanesi. Dove ci si balocca con una domanda: Rcs è di Cairo o delle banche? «Ho comprato il 60% di Rcs con le risorse della Cairo Communication e la cassa non l'ho ancora usata tutta. Oggi non solo non perdiamo soldi, ma ne guadagniamo. Le banche ci corteggiano perché siamo solvibili e le istituzioni ci propongono bond. Potremmo emettere obbligazioni per avere un debito allungato. Siamo diventati interessanti».
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Melania Rizzoli dice che andare in via Montenapoleone con Cairo è come passeggiare con Mara Venier. «Lo fermano ogni quindici metri, gli chiedono di Belotti, il centravanti del Toro, e della tv. Questo è potere». Succedeva anche a Berlusconi. Ma Cairo, che per Belotti ha detto no a un'offerta di quasi 70 milioni più tre giocatori, dice che sono cose diverse. Che il tempo per la politica «ancora non ce l'ha». E la parola chiave è «ancora». Il presente è fatto di aziende e di equilibri da risistemare. Ci è poi andato alla cena di Della Valle? «No. Ma solo perché avevo altri impegni». E la sedia è rimasta vuota.
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