Giorgio Gandola per La Verità
L' incubo è finito. C' è un giudice a Londra e la bimba cristiana di 5 anni, affidata per due volte con un certo sadismo dai servizi sociali a famiglie musulmane osservanti nel quartiere multietnico di Tower Hamlets, è stata dirottata con sentenza dalla nonna.
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Potrà rimettersi la collanina d' oro con il crocifisso; potrà tornare a gustare il suo piatto preferito, la pasta alla carbonara vietata sul desco islamico per via della pancetta; potrà guardare in volto i parenti mentre le sorridono o la rimbrottano senza dover intuire le fattezze della mamma temporanea dietro il niqab o il burqa; potrà ricominciare a parlare inglese, poiché nelle famiglie affidatarie era previsto solo l' arabo. Insomma, sarà di nuovo una bambina come la immaginiamo noi, come la immaginate voi pensando ai vostri figli piccoli o ai vostri nipotini. Non una bambina cristiana o musulmana da utilizzare come bandiera, semplicemente una bambina da rispettare.
L' incubo è finito e per una volta grazie a un giornale, il Times, che per primo aveva sollevato il caso affrontandolo con equilibrio e determinazione, illuminandone le clamorose contraddizioni e resistendo al penoso tentativo di bloccare la pubblicazione da parte delle autorità locali. Il più autorevole quotidiano britannico ha messo la municipalità con le spalle al muro con tre semplici domande.
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Perché una bambina destinata all' affido avrebbe dovuto diventare una cavia della sharia? Perché nessuno teneva conto del fatto che un primo rapporto degli esperti raccontava di una piccola molto provata «che piange continuamente e chiede di tornare a casa»? Perché la nuova famiglia, come primi insegnamenti, le aveva inculcato che «Pasqua e Natale sono feste stupide» e «Le donne europee sono alcolizzate e idiote?».
Non se lo è chiesto l' amministrazione londinese malata di politicamente corretto. Non se lo è chiesto la classe intellettuale (tantomeno quella progressista italiana) impegnata a cercare con il microscopio lati positivi in questo esperimento da laboratorio sulla pelle di un cucciolo. Non se lo è chiesto il sovrano mondo dei social network, che anzi sollevava dubbi sulla veridicità della notizia (in quel manicomio se una cosa non ti piace non è vera).
Se lo è chiesto - e qui sta il paradosso supremo - la signora Khatun Sapnara che di mestiere fa il giudice. Una giudice musulmana. Ha letto il reportage, si è immedesimata nella bimba e poiché l' intelligenza non ha religione, ha riaperto il caso. Ha spiegato che «il superiore interesse della bambina è crescere con una persona che le garantisca sicurezza, ne curi il benessere e rispetti le sue esigenze culturali, etniche e religiose».
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La giudice ha mostrato una sensibilità che dovrebbe risultare naturale in chi, arrivando da mondi distanti, negli anni ha fatto dell' integrazione un valore e ha colto l' essenza della civiltà occidentale. Così è andata in udienza, ha sconfessato gli assistenti sociali e ha spedito la piccola dalla nonna, dove potrà avere regolari incontri con la mamma (presumibilmente nei guai con la legge) sotto il controllo dei servizi sociali.
Gli assistenti avrebbero potuto adottare loro, nel marzo scorso, quel saggio provvedimento, ma sarebbe stato troppo facile e banale.
Vuoi mettere con l' eccitante esperimento multicult a Tower Hamlets, il quartiere a massima concentrazione musulmana, dove chi non è islamico non ha diritti, non ha voce, non entra, una specie di Molenbeek di Londra? Tutto ciò è oggetto di un' inchiesta del Tribunale londinese, ora la signora Sapnara vuole vedere chiaro dentro le «modalità che hanno portato all' affidamento».
Nell' assurdità della vicenda che ha come picco di crudeltà l' indifferenza delle autorità riguardo al destino della bambina, il comportamento della giudice islamica è da standing ovation. È arrivata ad allontanare la piccola dalla rieducazione islamica forzata e a definire per l' ennesima volta il perimetro di un diritto fondamentale: il superiore interesse del minore.
Quindi a impartire, lei musulmana, una lezione di civiltà nella terra della Magna Charta a molti intellettuali perfino cattolici che per mera subalternità già tentavano scalate himalaiane sugli specchi per giustificare quell' affido da incubo.
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Uno su tutti, lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, che su Repubblica ha considerato la vicenda in tutta la sua normalità ricordando in fondo «bambini ebrei salvati dai campi di sterminio e convertiti al cristianesimo o bimbi slavi e asiatici dati in adozione a genitori italiani, i quali non hanno rispettato la confessione religiosa della famiglia di origine».
Per l' esimio professore le situazioni sarebbero identiche e la forzatura non esiste. Diventato famoso per alcuni apprezzati volumi, fra gli altri, su Papa Giovanni che ai bambini aveva dedicato una delle sue carezze più emozionanti, il Melloni proprio non ce la fa a prendere le distanze e parla di generiche gabbie etniche.
Cammina sulla Luna. Fino a quando una giudice musulmana con un filo di buon senso non riporta lui, gli assistenti sociali e tutta la storia sulla Terra.