DAGOREPORT
Ilario Lombardo per “La Stampa”
MARIO DRAGHI
È sul fattore tempo che Mario Draghi vorrebbe giocarsi le proprie chance per il Quirinale e, contemporaneamente, costruire il percorso che porterà i partiti a definire il governo che sarà. La scommessa sarebbe stata la prima votazione. Lunedì. Cioè tra poco più di 48 ore. Un traguardo ideale che a Palazzo Chigi sognavano di tagliare come prova dell'unità del Parlamento attorno al nome del premier. Ma il rischio di far finire l'ex banchiere incenerito dai franchi tiratori è troppo alto: faticare a raggiungere i 673 grandi elettori vorrebbe dire mettere la parola fine anche al governo. Tanto più che per chiudere presto sul nome di Draghi serve il via libera del centrodestra. E, ancora prima, quello di Silvio Berlusconi.
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L'attesa di cosa farà e cosa dirà il presidente di Fi rende il clima a Palazzo Chigi un po' meno sereno del solito. Il fedelissimo del leader azzurro Gianni Letta ancora ieri ha provato a convincerlo a convergere su Draghi. L'ira funesta del presidente di FI è tutta nella categoricità sospetta con la quale il cerchio magico fino a tarda sera bocciava l'ipotesi Draghi. Siamo nei preamboli della tattica, nulla di preoccupante, ma potrebbe essere abbastanza per far evaporare il progetto di elezione immediata. Ancora manca la mano che indicherà per prima il nome dell'attuale premier. Per questo serve qualche giorno in più. Anche solo uno, martedì. Per far maturare le trattative, curare le ferite all'ego di Berlusconi e convincere gli scettici, i tanti, troppi deputati e senatori che in cambio del sì a Draghi vogliono una chiara prospettiva di governo, che scacci l'incubo delle elezioni anticipate.
draghi
A Palazzo Chigi, però, avvertono anche un altro rischio. Quello di andare troppo in là. Secondo le regole di prevenzione anti-Covid, infatti, è previsto un solo voto al giorno. E più sono i giorni che passano più è probabile che risentimento e ripensamenti riprendano a lievitare. Bisogna chiudere entro la quarta, cioè giovedì, ragionano nell'entourage del presidente del Consiglio, quando i numeri diverranno più favorevoli e la maggioranza necessaria scenderà a 505 grandi elettori. Ancora meglio, sperano, sarebbe entro la terza, mercoledì: vorrebbe dire aver strappato simbolicamente il traguardo della scelta più condivisa possibile dai partiti. Draghi tace e aspetta.
Ma dà segnali precisi, che i leader cercano di interpretare. Le rassicurazioni arrivano dagli sherpa del premier, che raccolgono i timori, propongono schemi, si mostrano attenti. Ai ministri del Pd, come Andrea Orlando e Lorenzo Guerini, al segretario Enrico Letta e a Luigi Di Maio, che invece ha avuto occasione di confrontarsi con il presidente del Consiglio, è arrivata chiara l'impressione che i ritocchi alla squadra dovrebbero essere pochi.
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Anche perché «servirà un governo immediatamente operativo», spiegano gli uomini di fiducia del premier, che dovrà pianificare i progetti sul Piano nazionale di ripresa e resilienza che l'Europa attende entro giugno. Orlando ha espresso lo stesso auspicio, ieri, durante la cabina di regia e il Consiglio dei ministri, aggiungendo la preoccupazione sui dati del lavoro ancora più precario prodotto dalla pandemia. Nei capannelli a margine del Cdm, Orlando e Giancarlo Giorgetti si sono confrontati con Draghi, a quanto pare solo sugli impegni dei prossimi mesi, e senza far riferimento esplicito al Quirinale. Draghi ha già detto e ripetuto che non si intesterà il nuovo governo prima di salire al Colle.
Per ragioni di forma, costituzionali, ma anche per non dare a Matteo Salvini l'occasione di rivendicare un rimpasto, vista l'insistenza con cui il leghista rivendica un posto per sé o con cui sta cercando di piazzare un fedelissimo al ministero dell'Interno. Tutto dovrà seguire il percorso previsto dalla Carta.
mario draghi cammina sulle acque
I partiti si accorderanno sulla maggioranza e stabiliranno chi sarà più adatto a prendere il posto di Draghi, nella convinzione che il governo che può essere fatto il prima possibile è il governo che c'è già, guidato da uno che ne ha fatto parte in questi 11 mesi. I nomi, a sentire i ministri si riducono sempre agli stessi: Vittorio Colao, perché è il preferito dai consiglieri economici del premier e Marta Cartabia, perché sarebbe la prima donna, anche se convince meno. Nelle ultime ore si è aggiunto Filippo Patroni Griffi, ex presidente del Consiglio di Stato. Il leader del M5S Giuseppe Conte lo ha inserito nella lista dei papabili per il Quirinale, e d'accordo con il Pd potrebbe anche proporlo per Palazzo Chigi.
PIER FERDINANDO CASINI PALOMBARO - MEME BY DEMARCO
Nel tracollo di ogni certezza sui numeri, ogni ora si rivela un distillato di negoziazioni, in un falò di candidati falsi o presunti, scelte di bandiera o carte utili solo a stanare gli avversari. Ieri, per esempio, dal fronte del Pd e di Italia Viva circolavano i nomi dell'ex presidente della Camera Luciano Violante e dell'ex ministro della Giustizia Paola Severino. Mentre per tutto il giorno sono cresciute fino a sgonfiarsi le quotazioni di Pier Ferdinando Casini. Ed è ritornato a circolare come alternativa a Draghi l'ex premier Giuliano Amato. Sono nomi che servono soprattutto a controbattere a Salvini, che, agli occhi del Pd, si sarebbe intestardito su nomi considerati «inaccettabili», come Marcello Pera. «Se continua così - sostiene Orlando - proponendo candidature con scarse probabilità di farcela, ci farà solo perdere tempo e terrà bloccato il Paese per nulla».
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