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    È TEATRO? È CINEMA? È L'OPERA AUMENTATA DI MARTONE (E DI MICHIELETTO) - "LA TRAVIATA" DIRETTA DA DANIELE GATTI PER IL TEATRO DELL'OPERA DI ROMA PREMIATA DIECI GIORNI FA DAL PUBBLICO DI RAI 3 APRE IL DIBATTITO SUL RAPPORTO TRA TELECAMERE E SPETTACOLO DAL VIVO - GIÀ CON LA REGIA DEL BARBIERE DI SIVIGLIA, MARTONE AVEVA CERCATO DI TRASFORMARE IL LIMITE DEL TEATRO A PORTE CHIUSE IN UN'OCCASIONE DI SPERIMENTAZIONE – IL CASO MICHIELETTO E IL SUO RIGOLETTO AL CIRCO MASSIMO CHE… - VIDEO


     
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    Paolo Di Paolo per "la Repubblica"

     

    martone la traviata martone la traviata

    Quando Alfredo, in carrozza, sospira "Oh mio rimorso! Oh infamia!", dal finestrino si vedono le rovine di Roma. E così quando è sfidato a duello dal Barone. Non è un fondale: è la città in un giorno qualunque. Il teatro esce dal teatro. Siamo a metà Ottocento e allo stesso tempo siamo nel 2021.

     

    Quando Violetta prega il padre di Alfredo - "Qual figlia m' abbracciate" - si vede il teatro nudo, il cosiddetto dietro le quinte: cavi, funi, casse. Quando scorrono i titoli di coda, un grande lampadario, che troneggiava al centro della platea deserta, ascende lentamente - nel silenzio, si sente il tintinnio dei cristalli - fino a sparire.

     

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    La Traviata firmata da Mario Martone e diretta da Daniele Gatti per il Teatro dell' Opera di Roma - premiata dieci giorni fa dal pubblico di Rai 3 e perfino dai social («magnifica », «godibilissima», «scomoda », con hashtag #traviata in tendenza) - ha aperto un dibattito non solo fra i melomani. E diverso da quello canonico, nervosamente centrato sulle scelte, più o meno azzardate, delle messe in scena attualizzanti. La posta in gioco, in questo caso, è meno prevedibile - e riguarda, per esempio, il presente (e il futuro) del rapporto fra telecamere e spettacolo dal vivo.

     

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    Corrispondenza, com' è noto, non sempre d' amorosi sensi: già con la regia del Barbiere di Siviglia , appena insignito del Premio Abbiati della critica musicale come miglior spettacolo del 2020, Martone aveva cercato di trasformare il limite del teatro a porte chiuse in un' occasione di sperimentazione. Rendendo la platea sgombra una metafora, e insieme guadagnando profondità spaziale.

     

    Così accade pure nella Traviata : quando per il fatale brindisi del "Libiamo, libiamo ne' lieti calici", si salta giù dal palco, si guadagna un salone delle feste immenso, rompendo la quarta parete, e anche parecchi schemi.

     

    la traviata di mario martone la traviata di mario martone

    La sfida maggiore è proprio questa: superare qualche tabù e qualche confine, spaccare il guscio dell' Opera lasciando che si estenda liberamente. "Extended reality", quasi alla lettera. È l' Opera aumentata di Martone, o di Damiano Michieletto, che con il suo Rigoletto al Circo Massimo nella scorsa estate si è lasciato platealmente alle spalle la logora dicotomia reale-virtuale. Lo osservava Michela Murgia su queste pagine: partito dal limite del distanziamento in scena, ha adoperato il monumentale palco per attivare un "cortocircuito perfetto quanto disorientante" tra i corpi reali dei performer, minuscoli, e le loro azioni ingigantite sugli schermi. È teatro? È cinema? E se fosse arrivato il momento di non chiederselo più?

    TRAVIATA MARTONE TRAVIATA MARTONE

     

    Fuori dal contesto del melodramma, una star del pop come Billie Eilish, classe 2001, immagino non si sia domandata che cosa fosse di preciso la sua performance dell' ottobre 2020: non un surrogato dell' evento dal vivo, ma una sua estensione creativa. Ambienti digitali immersivi, interazione ludica con il pubblico.

     

    Non una diretta Instagram, né una ripresa piatta, inadatta perfino per la vecchia tv. "Senso visivo", dimensione artistica dell' impresa, unicità dell' evento. Lo sforzo di ripensare completamente i contenuti in base alle forme. E alle piattaforme.

     

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    Funzionando in qualche caso come un piano inclinato, la crisi sanitaria ha dettato improvvise accelerazioni nei linguaggi degli oggetti culturali e nelle possibilità di fruizione. Una scrittrice americana di origini taiwanesi, Esmé Weijun Waang, ha raccontato di recente sul New York Times la strana sensazione di riuscire a vivere l' esperienza teatrale come non aveva mai avuto occasione di viverla.

     

    Avendo una disabilità e non avendo mai abitato a Londra o a New York, ha spiegato come siano state rare le occasioni di contatto con i grandi «focolai del teatro in lingua inglese». Durante la pandemia, grazie ad alcuni esperimenti di compagnie e produzioni, «sono stata in grado di vedere il palco da diverse prospettive grazie alle telecamere », di individuare dettagli che in qualche modo lo streaming ha illuminato, conquistando - così scrive - un' intimità con i personaggi e gli attori che di solito non spetta nemmeno ai «possessori di biglietti in prima fila normodotati».

     

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    Guardare spettacoli su uno schermo non è un' esperienza tradizionale, insiste Weijun Waang. E ha ragione. Ma aggiungerei: il bello è che non lo sia. Vedi l' esperimento di Martone. No, non è paragonabile a ciò che si sente - e si condivide - dal vivo; e tuttavia, converrebbe riconoscere che l' integrazione "coatta" fra presenza e remoto, purché sia creativa, può aprire piste poco battute, attivare connessioni ampie e imprevedibili.

     

    E forse perfino allargare il pubblico: non si tratta - come eternamente temono i puristi del libretto - di mettere la minigonna a Violetta o i jeans a Mimì. Non è questo il punto. Si può fare "Verdi come lo voleva Verdi", ma farlo nel 2021. Avvolgente, immersivo, e soprattutto - in senso pieno - popolare.

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