Estratto dell'articolo di Alessia Candito per “la Repubblica”
ocean viking
Scafo rosso, bassa sull'acqua, sulle murate una dichiarazione d'intenti e una promessa: rescue zone . Quando scende la sera sul porto di Marsiglia, la Ocean Viking ondeggia quieta. Il ruggito di trapani, argani, attrezzi che ha scandito il tempo per l'intera giornata si è spento, sul ponte c'è solo silenzio, interrotto a volte solo dal gracchiare delle radio. I lavori sono finiti da poco, l'equipaggio tira il fiato.
La partenza è fissata a ore. La nave finita al centro della crisi diplomatica fra Italia e Francia, approdata a Tolone dopo un braccio di ferro silenzioso con il governo Meloni, torna in missione. Tappa tecnica a Barcellona per rifornimento carburante e ultimi test, poi rotta come sempre verso il Mediterraneo centrale. A terra, sarà Natale. […]
OCEAN VIKINGS - MEME BY CARLI
Oltre ai nove dell'equipaggio tecnico, sono ventitré. Per il governo Meloni sono pirati, su di loro incombe l'ombra di nuove e non meglio precisate sanzioni, ma hanno scelto di tornare in mare comunque. E da settimane si preparano.
Non è semplice pianificare una missione. Ancor meno se da mettere in conto c'è anche una possibile lunga attesa prima di tornare in porto. Una nave è un ecosistema a parte. Tutto dev'essere pensato, pianificato, programmato, imprevisti inclusi. Tutti quelli che ci stanno sopra devono essere pronti. Margine di errore non ce n'è. In mezzo al mare, non ti puoi fermare, riparare quello che non va, comprare provviste che ti mancano. E non ci si può permettere di crollare. Ci sono vite umane di mezzo. Quelle dei naufraghi, cui non deve mancare nulla. Come quelle dell'equipaggio. […]
ocean viking al largo di catania
L'attesa rischia di consumare. Quando i tempi si dilatano, anche di più. Fra le persone oggi a bordo, c'è chi ne ha memoria precisa. Alcuni erano su anche a novembre, quando la Ocean Viking è riuscita ad attraccare solo dopo 21 giorni di missione. «Si è trattato di un caso eccezionale e di una decisione dettata da elementi molto precisi - dice Alessandro Porro, presidente di Sos Mediterranée adesso a bordo di Ocean Viking - Quarantasei richieste di porto sicuro senza risposta, notizie su assurde procedure di sbarco selettivo, naufraghi bloccati a bordo per giorni. Una situazione che non deve più ripetersi».
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Il rischio c'è, si sa. «Ma lì in mezzo al mare - aggiunge - ci sono persone che muoiono senza neanche testimoni. Siamo in un contesto di guerra, benché non dichiarata». E se ci sono pirati, dice, più che sulle navi Ong, vanno cercati fra chi rallenta le operazioni in mare, «perché impedire un soccorso sì che è un atto di pirateria».
Quindi si torna nel Mediterraneo, quale che sia il prezzo. L'opzione di sospendere le missioni non è inclusa. «Aiuta sapere che fuori non c'è solo chi ti blocca, ma anche chi ti sostiene», dice Mouhal, siriano d'origine da tempo espatriato in Nord Europa. «Non resta - spiega Lisa - che prepararsi a dare quel che si ha, in termini fisici e mentali, e curarsi di chi non ne ha, siano profughi o parte della crew ».
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In nave, la solidarietà è una cosa semplice. Nasce con una vita comune in spazi ristretti che diventano casa per quella sorta di strana famiglia che si crea a bordo, si cementa nella quotidianità che vede tutti impegnati nei lavori per la nave e sulla nave, che sia il ponte da pulire o un camion da quattro tonnellate di cibo da scaricare. Oltre ai naufraghi, per i quali c'è una fornitura a parte, ci sono trentadue persone che per un periodo impossibile da definire dovranno mangiare e bere.
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Sulla Ocean Viking, la vita comincia che ancora è buio e a Marsiglia fa freddo. Tira il mistral e ti gela. Quando smette, dal cielo viene giù il diluvio. Si segue il ritmo che il meteo impone, anche se da fare c'è tanto. I rhib , le lance veloci che servono per i soccorsi, da revisionare, preparare, testare. Lo stesso vale i gonfiabili, le zattere di supporto, centinaia di giubbotti di salvataggio. E poi chilometri di cime da revisionare e mettere in ordine. Qualche settimana fa, sulla Ocean Viking è arrivato Easy1: amichevolmente c'è già chi lo chiama "la bestia".
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È un gommone di salvataggio più grande e stabile del suo predecessore, relegato al rango di rhib di supporto, pronto a essere calato in mare insieme a una terza barca d'appoggio. Ognuno in acqua ha una funzione, una posizione da tenere, un preciso compito. Ecco perché prima delle esercitazioni in mare si studia: i possibili scenari, le manovre, le diverse imbarcazioni - gommoni, barche di legno, motopesca - che ci si può trovare a soccorrere. Quando l'allarme scatta, non c'è spazio per l'improvvisazione, come non ce n'è sul ponte. Anche lì nulla può essere lasciato al caso: i pasti che sarà necessario fornire, l'acqua, i farmaci.
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O ancora, i kit per i naufraghi, tutti uguali per evitare che qualcuno si senta discriminato o meno curato, il numero di vestitini, coperte e pannolini per i bambini. Nel container clinica se ne immagazzinano centinaia, mentre si fa l'inventario dei farmaci. Chi sopravvive al mare è fragile, da tutti i punti di vista. Una lavagna appesa nello shelter degli uomini lo racconta. C'è qualche disegno, un cuore abbozzato, due grandi, malinconiche scritte "Syria". E poi, proprio al centro, un calendario su cui campeggia un grande venti. Era il 10 novembre scorso, quel giorno Ocean Viking è stata autorizzata a entrare in porto a Tolone ed è finito un incubo. «Adesso speriamo solo di poterlo cancellare e che nessuno sia obbligato a riscriverlo».
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