Pio D'Emilia per ''Il Messaggero''
gli evaporati in giappone
Nessuno sa bene quanti siano. Diecimila, ventimila.
Qualcuno dice addirittura centomila. È l' esercito dei johatsusha, coloro che evaporano. Mentre diminuisce il numero dei suicidi che resta comunque uno dei più alti al mondo, circa 20 mila l' anno, uno ogni mezz' ora, con preoccupante incremento della fascia dei minori tra i 6 e i 14 anni, tra i quali è la causa di morte più diffusa) ed irrompe il triste fenomeno della kodokushi (morte in solitudine, persone, soprattutto anziani, che si lasciano morire di fame in casa, pur di non disturbare familiari oramai lontani e disinteressati) in Giappone aumenta quello delle persone che, ogni anno, spariscono.
gli evaporati in giappone
Come avviene nel resto del mondo, Italia compresa, si può decidere di sparire per tanti motivi. Quello che è difficile è riapparire, magari a centinaia di km di distanza, e riuscire a condurre una vita (quasi) normale. Senza documenti, e con una, o più, identità inventate.
Niente di più facile, in Giappone. Paese in genere percepito come uno stato di polizia, con le autorità che controllano in modo rigoroso ed efficace la popolazione. In parte è vero, ma si tratta di un controllo soft, reso possibile dal consenso sociale e dalla disponibilità dei cittadini a collaborare. Ma in realtà, non è così.
gli evaporati in giappone
Intanto, in Giappone non esiste l' obbligo di possedere e tanto meno di circolare con un documento di identità. Per espatriare, certo, ci vuole il passaporto, per guidare devi avere una patente, e per farsi curare una tessera sanitaria. Ma nessuno di questi documenti è obbligatorio e nessun cittadino può essere fermato come succede da noi per un normale controllo e portato in questura perché non ha documenti. La propria identità, generalmente, viene semplicemente dichiarata, e spesso, ma non indispensabilmente, confermata dalla presentazione di un biglietto da visita. Sul quale, volendo, ci si può scrivere qualsiasi cosa.
Stesso discorso per trovare un lavoro. A meno che non si tratti di concorsi pubblici dove occorre allegare una serie di documenti, compreso il cosiddetto koseki - equivalente del nostro stato di famiglia per essere assunti anche a tempo indeterminato basta inviare un semplicissimo curriculum vitae (rirekisho) con una foto.
Certo, le aziende possono chiedere ulteriori informazioni, ma in genere non lo fanno. Ancora più facile è accedere al mercato del lavoro precario, vero punto di forza dell' economia giapponese, capace di assorbire ed espellere a seconda della contingenza, milioni di persone.
Per lavorare part time, a ore, presso un benzinaio, un conbini (piccoli supermarket aperti 24 ore su 24), un bar o ristorante, basta presentarsi, dare un nome qualsiasi, fare un bell' inchino e darsi da fare. A fine giornata, o settimana, si verrà pagati, in contanti (non è quindi necessario possedere un conto in banca). Insomma, un vero e proprio paradiso per chiunque voglia evaporare, quale che sia il motivo, e in qualche modo riprovarci.
gli evaporati in giappone
Ho conosciuto un ricercato che è riuscito a girovagare per tutto l' arcipelago per 15 anni, periodo dopo il quale in Giappone scatta la prescrizione, per qualsiasi tipo di reato.
Diverso tuttavia è l' impatto ed il giudizio, sociale. Che mentre per chi si suicida è improntato al rispetto, per chi evapora è invece molto negativo.
Questo sia per motivi etico-culturali – il suicidio in Giappone ha una lunga e condivisa tradizione positiva: la vita appartiene all' individuo, e chi si suicida mostra coraggio e capacità di assunzione di responsabilità – che pratici. Soprattutto per quanto riguarda le famiglie.
Che, mentre nel caso di evaporazione debbono aspettare almeno 7 anni per ottenere una dichiarazione di morte presunta, e sono dunque costrette a subire tutte le conseguenze economiche e sociali del fallimento e della fuga del loro congiunto, in caso di suicidio hanno la possibilità di mantenere il loro status e le loro condizioni di vita grazie ai più che cospicui risarcimenti delle assicurazioni. Che nonostante negli ultimi tempi impongano alcune condizioni (tipo aver stipulato il contratto almeno da un anno) sono tra le poche al mondo a pagare anche in caso di suicidio.
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