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Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”
Le premesse non erano delle migliori. I numeri di denunce e sanzioni del Nas, già nel 2019, sporte a dirigenti e personale di Rsa e case di riposo, erano il preludio alla catastrofe che si sarebbe poi abbattuta sugli anziani in piena emergenza Coronavirus.
Appena un anno fa veniva fotografato dai carabinieri un sistema fragile, le cui contraddizioni sarebbero scoppiate durante la prima tempesta. Ed ecco che alla prima pioggia di contagi l'ombrello protettivo, aperto sugli anziani nelle case di riposo, ha mostrato tutti i suoi buchi. Il risultato è un numero sproporzionato di morti all'interno di queste strutture dove il virus è entrato e si è diffuso con troppa facilità. Una serie a catena di decessi, sparsi in tutta Italia, la cui drammatica conta ancora oggi non è terminata.
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Un pericolo che rischia di allargarsi anche alle Residenze sanitarie per disabili. Si tratta di un «nuovo fronte dimenticato di diffusione del SarsCov2», accusa il presidente della Associazione nazionale famiglie di disabili intellettivi (Anffas) Roberto Speziale: «In 17 delle Rsd che fanno capo all'Anffas (su un totale di 156) ci sono importanti focolai, con 57 soggetti disabili e 52 operatori contagiati, e 5 decessi tra gli ospiti». È «grave che ad oggi non sia stato fatto un censimento - afferma Speziale - come per le Rsa per anziani». E proprio il 31 marzo carabinieri e l'Asl, dopo aver riscontrato carenze igienico sanitarie e strutturali, hanno disposto la chiusura di una struttura Rsd a Giugliano, in provincia di Napoli.
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Ma è soprattutto sulle Rsa, le case di riposo, i centri ad orientamento sanitario-riabilitativo e di lungodegenza che si è concentrata l'attenzione del Nas. Si scopre dai dati presentati dall'Arma che quasi un terzo delle strutture controllate l'anno scorso, in totale 2.716, presentava irregolarità.
I primi mesi del 2020 non hanno certo rappresentato una svolta. Su 918 centri per anziani controllati 183 presentavano le più disparate irregolarità: la mancanza di figure professionali adeguate alle necessità degli ospiti, la presenza di un numero superiore di anziani rispetto al limite previsto, l'uso di spazi e stanze inferiori a quelle minime da utilizzare, la mancata assistenza e custodia dei pazienti, l'esercizio abusivo della professione sanitaria, l'uso di false attestazioni di possesso di autorizzazione all'esercizio e di titoli professionali validi.
Tradotto in numeri: 172 persone denunciate. Ma il dato che fa più riflettere è il numero di case di riposo per cui è stata imposta la chiusura, 25. I motivi per i quali si è deciso di apporre i sigilli sono sostanzialmente due: ambienti deficitari in materia sanitaria ed edilizia oppure strutture abusive.
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È il caso di una casa di riposo a Fonte Nuova, ad est della Capitale, senza uno straccio di autorizzazione. Quattordici anziani divisi in due palazzine. Una accanto all'altra. Un potenziale focolaio per il Coronavirus. Ad accertare le irregolarità gestionali delle strutture socio-assistenziali per la terza età e provvedere alla chiusura e al ricollocamento dei pazienti, lo scorso tre marzo, sono stati i carabinieri del Nas di Roma guidati dal comandante Maurizio Santori. A Reggio Calabria il 15 febbraio è stata chiusa una struttura illegale che ospitava 14 anziani.
A Taranto sono stati messi i sigilli a una casa di riposo che ospitava pazienti affetti da patologie psico fisiche, ma non aveva né personale né impianti qualificati per quel tipo di assistenza. Un copione simile è andato in scena a Campobasso. In Umbria gli investigatori hanno scoperto che in 5 diverse case di riposo erano ospitati anziani invalidi. Nella documentazione medica si sosteneva il contrario. Un modo per aggirare le autorizzazioni regionali e ridurre così il personale qualificato per l'assistenza ed infine incassare più soldi. I Nas di Udine sono invece intervenuti in una struttura in cui i 21 ospiti erano tutti positivi al Covid-19. La casa di riposo presentava gravi carenze organizzative, per questo è stata chiusa. I pazienti sono stati tutti trasferiti.
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