Massimo Gramellini per corriere.it
alex schwazer
A farmi propendere per l’innocenza di Alex Schwazer nel suo secondo pasticciaccio di doping è che nessun colpevole serio si sarebbe comportato come lui. Se fosse stato minimamente astuto — come noi ci si immagina che siano i veri colpevoli — quest’uomo dal cognome ingorgato di consonanti si sarebbe limitato, fin dalla prima volta in cui fu colto in castagna, ad ammettere le sue colpe e a chiedere perdono al sistema, come hanno fatto decine di altri atleti, bombati e pentiti, e oggi regolarmente riabilitati.
alex schwazer
Invece Alex, da vera testa dispari, ammise di essersi dopato una prima volta, ma estese la confessione alla sporcizia circostante, rompendo l’omertà che governa lo sport come ogni altro genere di consesso umano, dove vige la regola che i panni sporchi si lavano in famiglia e il capro espiatorio, sottoposto alla gogna per arginare lo scandalo, deve accettare in silenzio il proprio destino.
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Alex Chisciotte si difese rovesciando le parti in commedia, cioè trasformandosi in un paladino della lotta al doping: proprio lui, e proprio alla vigilia di un’altra Olimpiade, quella di Rio, dove evidentemente non faceva comodo a molti che andasse.
Game over
E adesso, anziché confidare nella prescrizione della memoria di cui godono tutti gli scandali nel nostro Paese, insiste nel rievocare, a suo rischio e pericolo, quelle antiche vicende. Certo, la bizzarria della provetta che girò mezza Europa prima di essere esaminata — rivelando un contenuto di testosterone troppo basso per migliorare davvero le prestazioni e adesso, pare, una dose eccessiva di Dna — ci fa dubitare anche dell’intelligenza dei suoi eventuali nemici.
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Se avessero davvero voluto tendergli una trappola, perché la organizzarono in modo tanto approssimativo? Questa storia si trascina da anni e minaccia di durare almeno fino a quando un regista non si deciderà a farne un film. Ma che Alex risulti vittima oppure colpevole, la sua epopea è la prova che ormai neppure nel male esiste un briciolo di professionalità.
SCHWAZER
Giuseppe Toti per corriere.it
Sono più di quattro anni di battaglia legale, quasi tre di udienze preliminari al Tribunale di Bolzano e tre perizie ad avere spalancato le porte all’ipotesi del complotto contro il marciatore Alex Schwazer (oro olimpico ai Giochi di Pechino 2008e attualmente squalificato a 8 anni per la positività al doping nel 2016) e il suo allenatore Sandro Donati.
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Il lunghissimo lavoro di analisi compiuto su atleti in attività e popolazione comune dal colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma e genetista incaricato dal Gip di Bolzano Walter Pelino di fare luce sul «giallo» più clamoroso nella storia dello sport degli ultimi anni, ha condotto a due risultati. Il primo: ha escluso che il valore anomalo e abnorme di Dna presente in uno dei due campioni di urina (1200 picogrammi per microlitro nella provetta B) prelevata a Schwazer durante il controllo a Racines dalla Iaaf, l’1 gennaio 2016, possa essere giustificato dalla fisiologia umana.
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Né è spiegabile con il super allenamento, tantomeno con patologie di vario genere (mai accusate da Schwazer in nessuno dei tantissimi controlli antidoping subiti). Il secondo risultato, in pratica, è una diretta conseguenza del primo. Ossia: quel valore anomalo del Dna può essere stato determinato dalla manomissione delle provette.
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L’epilogo della storia è atteso nelle prossime settimane e arriverà al termine di un percorso tortuoso e tormentato, che vide la sua genesi in tempi non sospetti, quasi cinque anni fa. È il 16 dicembre quando Schwazer si presenta in aula a Bolzano e testimonia contro il gigante Russia e due medici della Iaaf (Fischetto e Fiorella, condannati in primo grado e assolti in appello: in un’intercettazione telefonica del 2016 Fischetto dirà, a proposito di Schwazer:
«Sto crucco deve mori’ ammazzato»). Immediatamente dopo la conclusione dell’udienza parte l’ordine della Iaaf di controllare Schwazer il giorno di Capodanno. E questo accade. Con un «piccolo» particolare: sul foglio del prelievo destinato al laboratorio antidoping di Colonia c’è scritto Racines, il luogo dove è stato effettuato il prelievo.
Ma le regole antidoping in materia sono altre: nessuna indicazione deve essere riportata che possa far risalire all’identità dell’atleta oggetto del test. L’ispettore del controllo, dipendente della ditta privata Gqs di Stoccarda, riporta sul verbale di avere consegnato lui i campioni, a mano, il 2 gennaio, al laboratorio di Colonia. Sei mesi più tardi, però, a Rio de Janeiro, davanti ai giudici del Tas, salta fuori la verità: l’ispettore ammette infatti di avere lasciato le provette presso la ditta Gqs intorno alle 15.30 dell’1 gennaio.
Dunque i campioni sono rimasti incustoditi per ben 15 ore negli uffici in cui almeno 6 persone hanno libero accesso, prima di partire per Colonia il 2 mattina. E così la catena di custodia è già saltata. Il primo esame sulle urine dà esito negativo ma la Iaaf richiede al laboratorio una seconda analisi da svolgere con un metodo diverso e più meticoloso al termine del quale il laboratorio trova una piccola quantità di testosterone. Il 13 maggio informa la Iaaf che mette il risultato in un cassetto per più di un mese e lo comunica a Schwazer solo il 21 giugno, quando i Giochi sono ormai alle porte.
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Il 17 gennaio 2017 si apre il processo penale a Bolzano: il pm Giancarlo Bramante e il Gip Walter Pelino richiedono alla Iaaf l’urina, ottenendo un rifiuto. Dopodiché si rivolgono al giudice tedesco per opporsi. Quando il giudice di Colonia accoglie la richiesta, i magistrati italiani si sentono raccontare che possono dare solo l’urina A perché di urina B sono rimasti solo 6 millilitri e per l’esame del Dna ne occorrerebbero 10.
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Il perito del tribunale italiano, il colonnello Lago, scoprirà che di urina B ce n’era il triplo di quanto dichiarato e che per cercare il Dna bastava un solo millilitro. Il 7 febbraio 2018 Lago va a Colonia per prendere l’urina e il direttore del laboratorio, spalleggiato dall’avvocato della Iaaf, tenta di rifilargli non l’urina B sigillata ma un’anonima urina contenuta in una fialetta di plastica. Dietro la prospettiva di una denuncia penale, il direttore consegna la vera urina B, quella sulla quale si troverà la principale anomalia.
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Ora il giudice Pelino invierà il fascicolo al pubblico ministero Giancarlo Bramante, titolare dell’inchiesta e il pm dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio di Schwazer oppure l’archiviazione. In quest’ultimo caso, l’atleta avrebbe in minima parte giustizia, giacché non ci sarebbe comunque la possibilità di un nuovo processo in sede sportiva. Una decisione di archiviazione, accompagnata da adeguate motivazioni, potrebbe però aprire per Schwazer e per il suo allenatore Donati la strada a un procedimento risarcitorio.
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