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    “UNA CAMICIA COI BAFFI” – GIORGIO RIGHI, NIPOTE DEL FONDATORE DELLA CAMICERIA RIGHI, RACCONTA COME SONO NATI I MITICI SPOT DI MAURIZIO COSTANZO PER “DINO ERRE”: “IL NONNO LO SCELSE PERCHÉ PIPPO BAUDO COSTAVA TROPPO. LÌ FU LA SVOLTA. GIRAVAMO DAPPERTUTTO, ANCHE A CASA NOSTRA. INIZIÒ COME UN GIOCO” – FU IL REGISTA GUIDO DE MARIA, UN GIGANTE DELLA PUBBLICITÀ AI TEMPI DI “CAROSELLO”, A CREARE LE BATTUTE DIVENTATE UN CLASSICO: “E SE VA BENE A ME, BUONA CAMICIA A TUTTI” – VIDEO


     
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    Estratto dell’articolo di Fernando Pellerano per https://corrieredibologna.corriere.it

     

    maurizio costanzo pubblicità camicie dino erre maurizio costanzo pubblicità camicie dino erre

    «Maurizio Costanzo, spot dopo spot, diventò un amico di famiglia. Lo ricordo bene a tavola nella nostra casa di Carpi, quando era ancora nel complesso della fabbrica, col nonno Dino e la nonna Leda, tutti in attesa della mitica insalata "Dino Erre" condita con l’aceto balsamico», racconta Giorgio Righi, nipote del fondatore della Camiceria Righi, nata nel 1946.

     

    […] Soprattutto fu un formidabile testimonial per l’azienda di famiglia (in origine la nonna aveva un laboratorio di sartoria in piazza e i nipoti vendevano le camicie col carretto andando per mercati ndr), già nota a Carpi per i tanti posti di lavoro che offriva anche prima del boom pubblicitario.

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    Lo spot con Costanzo che reclamizzava «il collofit» della Dino Erre ebbe un incredibile successo. Il brevetto di quel colletto sempre in ordine lo fece Franco, il fratello di Dino: lui era il tecnico, l’altro era il commerciale. La svolta arrivò col volto di Costanzo. E con quelle tre battute rimaste nella memoria collettiva: «una camicia coi baffi», «se va bene a me va bene a tutti» e «buona camicia a tutti».

     

    Semplice semplice, ma ci voleva dello «sbuzzo». Le battute non sono sue, ma del regista e autore Guido De Maria, un gigante della pubblicità ai tempi di Carosello e poi con «Gulp!» e «Supergulp!» i fumetti in tv, che realizzò tutte le reclame con la camicia.

     

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    «Il nonno cercava un volto televisivo noto e la scelta cadde su Costanzo anche perché costava molto meno degli altri. Pippo Baudo chiedeva tanto e così gli altri che erano in voga. Dino stava molto attento alle spese», dice Giorgio. «L’idea nacque quasi per gioco. All’inizio si giravano gli spot un po’ ovunque: a casa dei miei, in salotto o in camera da letto, magari in strada all’aperto. Una volta anche io e il nonno entrammo in una réclame, c’era bisogno di movimentare la scena… Poi la cosa è cresciuta e sono arrivate altre location: lo studio di De Maria, il cinema Raffaello, la nostra fabbrica di Carpi».

     

    Fabbrica che non c’è più, così come quella di Este, aperta successivamente e dove si realizzavano i «collofit»: una gestita da Dino, con le camicie Dino Erre, e una da Franco, con le camicie Frarica. «All’epoca arrivammo ad avere fino a mille dipendenti».

     

    Maurizio Costanzo con Dino Righi, fondatore della camiceria righi, e la moglie Leda Tirelli Maurizio Costanzo con Dino Righi, fondatore della camiceria righi, e la moglie Leda Tirelli

    Con la chiusura delle linee produttive negli anni sono stati ceduti anche i brand, ora nel gruppo Alea. Giorgio però resiste, ha mantenuto lo storico marchio Camiceria Righi dal 1946 [...] Se n’è andato un amico di famiglia. «Sì, si era creato un bel rapporto, proseguito anche quando Costanzo non potè più fare il testimonial (negli anni ’90 uscì una legge che vietava ai giornalisti iscritti all’Ordine di fare pubblicità ndr), anche se di straforo ogni tanto faceva qualche riferimento alla Dino Erre, così, per puro piacere, per amicizia»

     

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    [...] Le battute, brevi e fulminanti, sono di De Maria e Costanzo stava al gioco. «Diciamo che aveva un collo importante, perciò lo slogan finale, ‘se va bene a me va bene a tutti’, fu efficacissimo». Non da meno ‘i baffi’ che Costanzo amava lisciare. «A tal punto che quando scegliemmo un nuovo testimonial, il bolognese Andrea Roncato, a un certo punto lui si metteva dei baffi finti». Va da sé che non fu la stessa cosa. E neppure dopo col successivo testimonial, Marco Tardelli.

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