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    PENSIONI ADDIO - MA QUANTO AVRA' SMADONNATO IL PAROLAIO RENZI PER L'USCITA DI TITO BOERI SUL DISASTRO PROSSIMO FUTURO DELL'INPS? I MILLENIALS LAVORERANNO FINO A 75 ANNI E AVRANNO PENSIONI DA FAME


     
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    Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”

    MILLENNIALS MILLENNIALS

     

    I millennials, ovvero la prima generazione di italiani che non avranno la pensione.

    A lanciare l' allarme è il presidente dell' Inps, Tito Boeri, che così ha procurato un nuovo dispiacere a Matteo Renzi, che probabilmente non vede l'ora che il bocconiano si stanchi di dipingere un quadro assai diverso dall' ottimismo di palazzo Chigi. L'ultimo allarme è arrivato ieri in occasione del convegno «Pensioni e povertà oggi e domani» dedicato al rapporto Ocse sul tema.

     

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    I nati negli Anni Ottanta, accusa Boeri, rischiano di lavorare fino a 75 anni di età e di prendere una pensione assai inferiori a quella dei loro padri. Anzi, molti tra i 35enni di oggi (che ne avranno 70 nel 2050), rischiano di non ricevere un bel niente o quasi, visto che il sistema contributivo penalizza chi è costretto a campare di lavori precari.

     

    Non è una novità per gli addetti ai lavori, che da anni si cimentano in analisi sempre più preoccupate mentre continua a non arrivare la famosa «busta arancione», quella che, come avviene in ogni Paese civile, dovrebbe informare i lavoratori sull' importo della pensione futura.

     

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    Ma i dati dell'Inps, frutto di una simulazione su un campione di circa 5mila lavoratori nel 1980, fanno davvero paura. Nel caso di un tasso di crescita del Pil nell' ordine dell' 1% annuo, secondo Boeri «molti dovranno lavorare anche fino a 75 anni, per andare in pensione». E l'importo medio, oggi 1.703 euro, si ridurrà a soli 1.593 euro. Insomma, si andrà in pensione più tardi e in condizioni peggiori-molto peggiori, perché i futuri pensionati, che riscuoteranno la pensione 10-15 anni dopo i loro padri, incasseranno in tutto un quarto di meno.

     

    TITO BOERI TITO BOERI

    Si può evitare il disastro? Sì, ma a determinate condizioni. Innanzitutto, ci vuole più crescita. Ma, ahimè, proprio ieri l'Istat ha abbassato le stime per il 2015: il Pil salirà a fine anno dello 0,6-0,7% per arrivare allo 0,9% previsto dal governo ci vorrebbe un colpo di reni nel quarto trimestre dell' 1% o più, cosa che verificata una volta sola negli ultimi 58 trimestri. Ma crescere da solo non basta.

     

    È necessario un nuovo patto tra generazioni, che vada al di là dei tentativi di far quadrare conti sempre più complicati ma favorisca l' ingresso nel mondo del lavoro e la crescita di periodi contributivi per i giovani, condannati al precariato, e per le donne, coloro che hanno con il lavoro un rapporto ondivago saltuario.

    matteo renzi pier carlo padoan matteo renzi pier carlo padoan

     

    La flessibilità in uscita è uno degli strumenti da utilizzare, con l' obiettivo di favorire l'ingresso di giovani contribuenti attivi. Ma nel frattempo è necessario neutralizzare la «bomba» ormai innescata: «Se non si metterà in campo uno strumento di sostegno contro la povertà come il reddito minimo - sintetizza Boeri - ci saranno problemi per chi perderà il lavoro sotto i 70 anni».

     

    Insomma siamo al punto di partenza o giù di lì. Le recenti riforme hanno migliorato la sostenibilità finanziaria del sistema, ma la spesa rimane elevata e «ulteriori sforzi» sono richiesti «negli anni a venire», anche se nel 2010-2015, le pensioni pubbliche in Italia hanno assorbito il 15,7% del Pil, il secondo livello più elevato tra i Paesi industrializzati.

     

    TRENTENNI E LA PENSIONE TRENTENNI E LA PENSIONE

    Tra i nodi, spicca anche la bassa età effettiva di uscita dal lavoro (61,4 anni), il modesto tasso di occupazione tra i 60-64 anni e il rischio povertà per le persone con carriere lavorative e quindi contributive interrotte o instabili. Per questo, «l'obiettivo finale da un punto di vista sociale ed economico deve essere quello di promuovere carriere complete e di maggiore durata».

     

    Certo, la riforma del 2011, con l'aumento dell'età pensionabile (67 anni dal 2019 contro 55 anni fino a un decennio fa) e il più stretto legame tra contributi e reddito da pensione ha prodotto qualche risultato: la spesa per le pensioni dovrebbe ridursi di 2 punti di Pil entro il 2060. Ma l' invecchiamento della popolazione, il contesto di bassa crescita economica e le persistenti difficoltà del mercato del lavoro rischiano di vanificare gli sforzi.

     

    PENSIONATI RITIRANO ALLA POSTA PENSIONATI RITIRANO ALLA POSTA

    Insomma, tagli ed economie rischiano di non bastare se non si introducono riforme in grado di riattivare la leva della nuova occupazione (e dei relativi contributi). Non è una partita facile. Anzi, sarà necessaria molta buona volontà ed un certo grado di fantasia. Ma ci vorrà soprattutto molta serietà ed il coraggio di raccontare le cose come stanno. Senza buttar via i (pochi) quattrini che ci sono dalla finestra. Pensiamo di garantire il pane ai millennial di domani prima che al bonus cultura di oggi.

     

     

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