Tommy Cappellini per "Il Giornale"
Renato Soru - Copyright PizziNon tutti i capitalisti di sinistra ce la fanno a essere Berlusconi. Eh, le aziende. Chiedono più lacrime e sangue di un governo tecnico. E così Renato Soru, editore del l'Unità dal 2008, è sempre più tentato dal gettare la spugna: «Sono azionista con grandissimo sacrificio economico» ha detto intervenendo, l'altroieri, al seminario di formazione per giornalisti di Redattore Sociale a Capodarco di Fermo (ha riportato tutto la testata on line Affaritaliani.it ).
Concita De Gregorio«Fare l'editore è un mestiere difficile. Quando ho comprato l'Unità era un giornale che in un solo anno perdeva oltre 7 milioni di euro e non vendeva neanche tante copie». Per inciso, era l'epoca della campagna elettorale di Veltroni: il quotidiano era a un passo dal portare i libri in tribunale. E Soru, da buon compagno, si offrì. Faceva conto sui soldi che avrebbe incamerato dalla vendita di Tiscali, di cui era fondatore, poi mai avvenuta causa crisi economica. «E così mi è rimasto questo impegno ha raccontato Soru, si presume con mestizia - e ho provato a rilanciare la testata: Concita De Gregorio ha fatto un lavoro importante, ma...».
PRIMA PAGINA UNITA'Ma l'Unità, ancora oggi, non ce la fa a galleggiare solo con il finanziamento pubblico e con il magrissimo supporto della pubblicità. Era dunque inevitabile che durante l'incontro a Capodarco qualcuno si alzasse con domande scomode: come quella sui collaboratori non pagati. «Domanda fantastica» ha risposto Soru, «perché vorrei sapere se si riferisce a Tiscali o a l'Unità . Mi risulta che siano tutti pagati».
Apriti cielo. Si alza pure il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino: «Signor Soru, c'è qualcuno che non le dice tutto...». L'editore si toglie allora la maschera: «Se ci sono collaboratori che non percepiscono lo stipendio me ne scuso come azionista. Questo le dà il segno di un giornale che soffre. La chiusura potrebbe anche essere una cosa da prendere in considerazione, per evitare una domanda come questa». Ah, i giornalisti...