Michela Tamburrino per la Stampa
azzedine alaia
Aveva i suoi ritmi, Azzedine Alaïa, e li seguiva con rispetto. È morto, sembra per un attacco di cuore, lo stilista tutto istinto e creatività. In lui un mix antico di fierezza e fantasia, mitigata dalla grande timidezza e da quel quid di purezza ancestrale che gli veniva dalla terra d' origine, la Tunisia.
«Il ritorno del Re», aveva titolato a settembre la mitica giornalista Suzy Menkes per celebrare il ritorno sulle passerelle del couturier, dopo sei anni di assenza. Un ritorno benedetto dalla presenza della sua musa, Naomi Campbell, che lui scoprì appena sedicenne e mise in passerella come mummia egizia. Un trionfo e da allora, per lei, fu «Papà» e basta.
Eccoli in una foto famosa fedele allo spirito di Azzedine Alaïa, che scolpiva vestiti su corpi femminili e così, al tempo stesso, scolpiva anche il corpo delle donne. A volte, persino con intenti sfacciatamente ironici. È il caso dell' abito disegnato per Lady Gaga nel 2015 per la cerimonia degli Oscar: due settimane per realizzarlo e 25 sarte a cucirlo.
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Il risultato fu una bomboniera nuziale che aveva in abbinamento un paio di guanti rossi da cucina. Portano la sua firma anche il vestito da sposa di Sofia Coppola e la collezione di costumi che Grace Jones sfoggiò in «Agente 007-Bersaglio mobile», come i tubini di Tina Turner che la resero fantastica nei suoi concerti. Kim Basinger gli deve la sua fortuna.
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Erano gli Anni 80, dell' edonismo reaganiano, e quel tessuto particolare che aderiva come una seconda pelle sembrava nato apposta per Kim e lei lo rese irresistibile. Erano gli 80 delle top model Linda Evangelista ed Elle McPherson che adoravano le sue creazioni. Poche resistevano a tanta femminilità esasperata, persino Greta Garbo ne fu conquistata.
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Era amato da Franca Sozzani e da Stephanie Seymour, dal 1957 aveva scelto Parigi come città d' elezione e, quando nel 2008 ottenne la Legion d' Onore, la più alta onorificenza concessa dalla Francia, tutti la considerarono un giusto tributo all' arte. Un bel successo per un ragazzo nato nella campagna tunisina, figlio di contadini e che deve alla sorella gemella la sua vocazione: fu lei ad introdurlo alla lettura di «Vogue», rivista chissà dove recuperata. Fu un colpo di fulmine, per Balenciaga, per Dior, per Guy Laroche, di cui diventò assistente nel 1961.
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Prima, però, gli studi all' Accademia di Belle Arti di Tunisi, fatti all' insaputa del padre e mentendo anche sull' età, foraggiati dalla sua mentore, madame Pineau. Tutto per raggiungere un fine, trasformare la scultura in moda.
Fu il coronamento del suo lavoro l' invito del 2015 ad esporre la «Soft Sculpture» a Roma presso la Galleria Borghese, a dialogare con la Venere del Canova. Un genio di piccola statura e di immenso carattere, lo ricorda «Le Figaro», un uomo che amava dire: «Ogni mattina chiedo a me stesso: che cosa posso imparare oggi? Non faccio piani, vivo alla giornata... Posso iniziare a progettare una giacca per una collezione e finire quella fase 10 anni dopo, opponendo al ritmo superficiale delle stagioni e delle sfilate il mio passo». Addio allo stilista coraggioso, capace di seguire le sue consuetudini e non il mercato.
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