Maurizio Porro per il “Corriere della Sera”
VITTORIO ELISABETTA SGARBI 3
«Per distrarmi dagli obbligatori festeggiamenti a Vittorio, ho inventato l’esigenza di un film che testimoniasse questa doppia festa di compleanno, portandomi fuori». Con molto affetto, Elisabetta Sgarbi spiega così la nascita del suo film Vittorio - In un tempo fuori dal tempo per i 70 anni del fratello che domani sarà al Torino Film Festival.
È il cinema che preferisce, quello antropologico, arte e uomo per sempre uniti, badanti rumene, sacerdoti del fiume o le opere e i giorni del fotografo Nino Migliori. Ecco la ripresa della doppia festa, iniziata l’8 maggio 2022 a bordo della motonave Stradivari lungo il Po e finita due giorni dopo sulla terraferma in casa di Francesco Micheli.
Divertimento da commediante, un cocktail di mondanità, malizia, intelligenza. Ma sempre molta gente e allegria non obbligatoria, con Elisabetta che volteggia col suo drappo fucsia, dando e togliendo la parola, insieme al direttore della fotografia Andrés Arce Maldonado e al suo assistente regista Eugenio Lio.
VITTORIO ELISABETTA SGARBI 3
Giusto quindi che le sia assegnato, sabato a Chiavari, il premio di Ambasciatore della Parola, considerando i 24 intensissimi anni della Milanesiana che spesso valica i confini: del resto Elisabetta ha i favori del potere temporale, e pure di quello spirituale, da quando il Papa l’ha fatta membro dell’Insigne Accademia di belle arti.
Il cast degli inviti è kolossal, rubrica da Guinness dei primati, ma la Sgarbi, mentre la nave va e procede sul Po, memento ancestrale alle radici, si muove sequestrando gli invitati via dalla pazza folla, fra Shammah e Colasanti, Colle e Morgan, Andreose e Dolce, Postiglione e Cairo, Valsecchi e Sallusti, Ovadia e Sacchi, Lio e Toscani, un infinito elenco di possibili relazioni e variazioni umane e culturali sul tema «Vittorio». Assenti giustificati in motonave Antonio Rezza e il figlio Giordano, gentilmente crocefisso dal padre nel film Cristo in gola, geniali presenze nel the end.
vittorio e elisabetta sgarbi
Elisabetta, mentre gli Extraliscio di «È bello perdersi» e «Romantic Robot» occupano la colonna sonora, si muove in fucsia come Ariel nella Tempesta, il che vuol dire che il festeggiato fratello, memorizzando Shakespeare, è il mago che, come Prospero, fa scoppiare uragani e incantamenti, con molte possibilità di metafora.
Tanti amici, inteneriti dalla vitalità di Vittorio, dice la sorella: giornalisti e editori, politici e ministri, autisti e artisti, figlie e parenti, medici, dentisti e galleristi, imprenditori, creditori ed ex amanti (Elisabetta dixit, equiparando debiti), dedicano al festeggiato una parola, una testimonianza, un ricordo: una madeleine in mille pezzi. Nel titolo Vittorio è del resto fuori dal tempo, come Proust nel libro di Piperno.
Sull’elasticità di spazio e tempo interviene anche Elisabetta, che ha fatto molti tipi di cinema, osservando e riprendendo l’arte, la natura, l’uomo, magari tutti assieme: «Vittorio, come nostra madre, non ha mai subìto il tempo, l’ha sempre moltiplicato, sovvertendo orari sociali e biologici: il furore di vita è terrore del vuoto. Col film volevo esprimere il mio esserci anche quando non ci sono, sdrammatizzando la celebrazione ma al contempo fissare questa ricorrenza dove non sapevo bene quanti fossero gli amici veri e quanti fossero venuti per esserci».
vittorio e elisabetta sgarbi alla fondazione cavallini sgarbi
Odi et ami le feste? «No, odio le feste e quindi dovevo starci a modo mio, creando una distanza tra me e gli ospiti, obbligandoli ad essere attivi e non passivi, pensando alle domande, tutto fatto con molto understatement e senza che nessuno lo percepisse. Tanto più che facevo dispetti con i miei veli color fucsia e arancione anche nella seconda festa. Commedia sofisticata? Non ci avrei pensato, ma la definizione mi piace molto. La adotto».
ELISABETTA SGARBI
Estratto da la Stampa
vittorio sgarbi con elisabetta sgarbi
(…) Come era il Vittorio ragazzino?
«Se giocavamo agli indiani, lui doveva essere il capo indiano, io l’indiano semplice. Mi ingannava portandomi sulla canna della bicicletta su montagne di ghiaia altissime. E mi portava - contro la mia volontà - al cimitero. Mi terrorizzava facendomi sentire i rumori più sinistri. Era dispettoso e autoritario come mio padre. Con una dose di sadismo. Se ho il carattere che ho, lo devo alla resistenza a lui e ai suoi modi».
Insomma, essere sua sorella è stato difficile?
«È stato formativo. A casa mia c’è sempre stata una certa ferocia. Sono cresciuta con la paura di sbagliare, cosa che credo molto utile. Sono felice di essere sua sorella, mi ha reso la vita più complicata, ma penso che le cose belle debbano esserlo».
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