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    PIÙ CHE UN MOTORE DI RICERCA, UN MOTORE DI CENSURA E PROPAGANDA – ELON MUSK CONTINUA A TWITTARE GLI SCREENSHOT DELLE RICERCHE GOOGLE CHE SVANTAGGIANO DONALD TRUMP: CERCANDO IL TYCOON NEGLI STATI UNITI APPARIREBBERO PRATICMANETE SOLO NOTIZIE SU KAMALA HARRIS. SE UNO SCRIVE “PRESIDENT DONALD” IL COMPLETAMENTO AUTOMATICO SUGGERISCE REAGAN O “DONALD DUCK” (PAPERINO) – “BIG G” RISPONDE: “NESSUNA AZIONE MANUALE SULLE RICERCHE”. ALLORA È AUTOMATICA…


     
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    MUSK ACCUSA GOOGLE DI INTERFERIRE NEL VOTO A SVANTAGGIO DI TRUMP

     (ANSA) - Elon Musk accusa Google di "interferenza elettorale" boicottando le ricerche su Donald Trump sul motore di ricerca. Su X, il magnate ha pubblicato uno screenshot di quella che sembra essere una ricerca su Google dove scrivendo le parole 'President Donald' il completamento automatico suggerirebbe come primi risultati 'President Donald Duck' (Presidente Paperino) e 'President Donald Regan'.

     

    All'immagine Musk ha accompagnato un messaggio: "Wow, Google ha vietato la ricerca del presidente Donald Trump! Interferenza elettorale?", scrive il miliardario, aggiungendo in un altro messaggio che "si metteranno nei guai se interferiranno con le elezioni".

     

     

    ELON MUSK CONTRO GOOGLE SULLA RICERCA PRESIDENT DONALD ELON MUSK CONTRO GOOGLE SULLA RICERCA PRESIDENT DONALD

    GOOGLE, 'NESSUNA AZIONE MANUALE SU RICERCHE TRUMP'

     (ANSA) - "Non è stata intrapresa alcuna azione manuale su queste previsioni. Stiamo lavorando a miglioramenti per garantire che i nostri sistemi siano più aggiornati. Naturalmente, il completamento automatico è solo uno strumento per aiutare le persone a risparmiare tempo, e possono ancora cercare qualsiasi cosa vogliano": così un portavoce di Google commenta le accuse di Elon Musk riguardo i suggerimenti delle ricerche online su Donald Trump.

     

     

     

     

     

     

     

     

    COSA C'È DIETRO L'ATTACCO DI ELON MUSK A GOOGLE

    Estratto da www.adnkronos.com

     

    Google ha davvero “oscurato” il candidato nonché ex presidente Donald Trump? Questa è l’accusa di Elon Musk, ceo di Tesla, SpaceX e di X.com, l’ex Twitter che ha acquistato per 44 miliardi di dollari e che è diventata la piattaforma dei suoi attacchi e delle sue campagne politiche.

     

    […] L’Adnkronos ha chiesto a Matteo Flora, imprenditore e docente di Sicurezza delle AI all’ESE se davvero il motore di ricerca stia compiendo una ‘interferenza elettorale’ (così l’ha definita Musk).

     

    “Ho fatto una prova usando un VPN, cioè fingendo di collegarmi da Austin, Texas, e il primo risultato è quello ‘istituzionale’, dunque Donald Trump. Ma credo che sicuramente qualcuno sia intervenuto, dopo l’accusa di Musk, a ripristinare un primo risultato corretto.

     

    Quello che è più strano è vedere il secondo risultato: anche a me suggerisce Ronald Reagan, come se la categoria di chi cerca il defunto presidente repubblicano e sbaglia il suo nome di battesimo sia più ampia di chi cerca “President Trump shooting” (sparatoria) o “President Trump indictment” (incriminazione). L’attentato e i suoi processi penali sono decisamente più recenti e rilevanti, bizzarro che Google restituisca un errore di battitura così in alto”.

     

    […] Ci sono segnali che le grandi aziende tecnologiche stanno orientando i loro algoritmi a favore di un candidato o di un altro? “No, al momento non ho registrato nessun movimento in questo senso”, spiega Flora, “anche perché sarebbe un grosso rischio per loro. Al momento sono protette dalla Section 230, la norma che ha quasi 30 anni e che permette alle piattaforme di non essere considerate responsabili per i contenuti che ospitano.

     

    Se dovessero agire come editori, con mosse politiche ‘pesanti’ come oscurare un candidato, perderebbero questa tutela e si esporrebbero a contenziosi miliardari. Non è un caso se alla fine hanno tutte sbloccato Donald Trump, che era stato bandito dopo i fatti del 6 gennaio 2021”.

     

    […] Flora legge le battaglie anti-woke di Elon Musk, che nell’ultima settimana si è scagliato contro la sua stessa figlia transgender, con una chiave decisamente […] prosaica. “Il ceo di Tesla dà di sé l’immagine di un paladino libertario, ma in realtà il grosso dei suoi affari dipendono dai sussidi del governo federale americano, o dagli sgravi fiscali promessi dai singoli Stati.

     

    Sta spostando la sede delle sue aziende in Texas, ma mica per ragioni ideologiche, è solo convenienza. SpaceX vive di contratti con la Nasa, Tesla s’impenna o crolla in borsa in base agli investimenti green del governo, o in funzione dei dazi sui veicoli elettrici cinesi. Il suo obiettivo […] è di condizionare il dibattito politico, perché dalla politica deriva buona parte del suo fatturato.

     

    I ricavi pubblicitari di X sono sprofondati, ma lui non l’ha comprata mica per gli utili (che erano scarsi pure prima), è il suo strumento di pressione, vuole diventare imprescindibile per il sistema di potere americano. Non si è inventato lui questa strategia, è la stessa di Murdoch, Bezos o di Berlusconi prima della discesa in campo”.

     

     

    Dietro all'attacco potrebbero esserci anche le ruggini tra Elon Musk e Larry Page, co-fondatore di Google e un tempo suo grande amico. "In generale, a Musk brucia ancora per quanto è successo con OpenAI, di cui era uno dei fondatori e da cui è uscito sbattendo la porta prima del successo planetario.

     

    Page è stato richiamato in Google per gestire lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale, ed è dunque un ennesimo rivale di Musk in questo campo, in cui si è buttato con Grok, un'alternativa a ChatGpt e Gemini. Più indebolisce i concorrenti, più spazio può guadagnare con il suo prodotto. Difficile trovare oggettività in questi attacchi".

     

    Le critiche a “X” non mancano: chi la considera un megafono dei trumpiani, chi rimpiange quella capacità di far scoprire voci fuori dalle rispettive bolle, chi si lamenta di avere un feed pieno di contenuti discutibili. Eppure resta ancora centrale […]. “Non c’è niente da fare, resta la piattaforma più letta da giornalisti, politici e lobbisti, anche perché garantisce piena disintermediazione. Un post lo controlli completamente, un’intervista a un grande media subirà sempre una qualche forma di intervento editoriale”. […]

     

     

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