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    EMILIA SOTT’ACQUA - IL FIUME ENZA STRARIPA, OLTRE 500 SFOLLATI A BRESCELLO: "SIAMO SCAPPATI SUI TETTI" - IN 36 ORE È CADUTA LA METÀ DELLA PIOGGIA DI UN ANNO - LAVORI IN RITARDO PER GLI ARGINI: SPESO SOLO IL 20% DEI FONDI - VIDEO


     
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    Franco Giubilei per la Stampa

     

    I familiari di chi è ancora bloccato dall' acqua nella propria abitazione non possono che aspettare, qui sulla strada che da Brescello porta a Lentigione, un pugno di case nella Bassa reggiana che prima dell' alba di ieri mattina sono state investite dall' Enza.

     

    L' affluente del Po ha rotto l' argine e ha riversato tutta la forza della piena sulla frazione, mille abitanti sparsi fra il centro e le case di campagna.

     

    Aspettano che i mezzi anfibi dei Vigili del fuoco fatti confluire qui da tutto il Nord Italia, - la corrente era troppo pericolosa per permettere l' impiego dei gommoni -, tornino al punto raccolta coi loro cari, ma sono quasi le otto di sera, l' opera dei soccorritori è sempre più difficile e le persone laggiù sono al buio e senza riscaldamento da ore, mentre il freddo morde e l' umidità è a livelli che solo la Pianura Padana può garantire.

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    Ieri sera ne mancavano ancora all' appello fra i 150 e i 200, dicono i vigili, che in tutta la giornata ne hanno prelevati oltre 200, prima con gli elicotteri e poi con gli anfibi. Fra questi, i due figli di 15 e 23 anni di Gennaro Amabile, Riccardo e Francesco, che intorno alle quattro di ieri pomeriggio sono saliti sul tetto della loro casa allagata da un metro d' acqua e sono stati tirati su col verricello di un elicottero: «Io ero al lavoro quand' è successo, sono tornato subito ma qui intorno c' era già l' acqua. Ora stiamo aspettando che vadano a prendere mia moglie e il cane, che sono ancora lì». Un disastro di cui nessuno, neanche i vecchi del paese, ricordano un precedente di questa gravità, anche se questa è zona a rischio e la confluenza col Po è a pochi chilometri da qui, a Brescello. Ci sarà tempo per accertare eventuali responsabilità, ma già qualcuno fa presente che l' alveo dell' Enza era ingombro di rami e tronchi.

     

    Arriva il mezzo speciale dei vigili del fuoco e il gruppo di familiari si avvicina, sperando che a bordo ci siano le persone che stanno aspettando, ma la speranza resta delusa, perché il mezzo fa manovra e riparte verso Lentigione. Alessandro vive a Parma ma la madre ottantenne è rimasta qui ed è sola nella casa invasa dall' acqua, col cellulare che si sta scaricando: «Non vorrebbe muoversi da lì, ma fa freddo ed è anziana, spero solo che me la riportino».

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    Gli sfollati li hanno trasportati in un centro d' accoglienza allestito nella vicina Poviglio.

    C' è chi aspetta un genitore e chi, nella fretta di allontanarsi mentre l' onda di piena saliva, ha dimenticato il suo cane e ora attende che glielo riportino, dopo aver dato il nome dell' animale ai soccorritori, in modo che possano chiamarlo e calmarlo, come Ivan Trebbino: «Alle sei si è spenta la luce e siamo scappati - racconta Ivan Trebbino -. Ci siamo spaventati quando abbiamo visto l' acqua venire su dal tombino».

     

    Rosy attende notizie del fratello disabile: «E' da stamattina che sono qui, è malato, ha problemi psichici, è a casa con la badante».

     

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    Intanto i soccorritori continuano a solcare le strade allagate, ma l' intervento è tutt' altro che semplice: «L' acqua è turbolenta, una condizione che ci ha obbligati a servirci dei mezzi anfibi per non mettere in pericolo gli operatori - spiega l' ingegner Salvatore Concolino, dei vigili del fuoco di Reggio Emilia -. La nostra stima è che gli sfollati siano in tutto fra i cinque e i seicento, rispetto ai mille che erano stati ipotizzati all' inizio». Il freddo morde, i vigili hanno l' espressione tirata di chi lavora senza soste da ore. Nelle scorse ore le ricerche sono proseguite alla luce dei fari, a volte dovendo anche convincere chi proprio non vuole andarsene da casa sua, anche se si gela ed è notte.

     

    IN 36 ORE È CADUTA LA METÀ DELLA PIOGGIA DI UN ANNO

    Agostino Gramigna e Paolo Virtuani per il Corriere della Sera

     

    Sull' Appennino emiliano domenica e lunedì ha piovuto come non avveniva da decenni. In alcuni punti, come alla stazione meteo di Cabanne, in val d' Aveto al confine con la Liguria, in 36 ore sono caduti 507,4 millimetri di pioggia (dati Allerta meteo Regione Emilia-Romagna). In quella zona la piovosità media annua è di circa 900 millimetri. Sui crinali più alti dove era nevicato, la neve si è poi sciolta rapidamente portando a valle un' imponente ondata di piena. Questo dato eccezionale si è trasformato in emergenza nella bassa pianura delle province di Parma, Reggio e Modena per problemi idrogeologici noti da tempo.

     

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    «Certo, ha piovuto tantissimo», conferma Paride Antolini, presidente dell' Ordine dei geologi dell' Emilia-Romagna.

     

    «Le situazioni di pericolo però sono conosciute e si possono riassumere in tre punti: il forte consumo di suolo negli ultimi 2o anni che fa arrivare nei fiumi più acqua di un tempo, territori fortemente antropizzati, pochi soldi per la manutenzione e per i controlli capillari sugli argini e l' intera rete fluviale».

     

    L' Emilia-Romagna è attraversata da 56 mila chilometri di corsi d' acqua naturali ai quali vanno aggiunti 19 mila chilometri di canali di bonifica, la lunghezza totale degli argini è di 3 mila chilometri. «È chiaro che di fronte a questi numeri servono investimenti e manutenzione continua per mettere in sicurezza il territorio», prosegue Antolini. «La realtà, e questo è giusto dirlo alla popolazione, è che in zone come queste il rischio zero non esiste, è un' utopia».

     

    Vero è che la pioggia scesa dal cielo in questi due giorni sul Nord Italia è stata davvero tanta. E che i cambiamenti climatici riportano in primo piano l' azione della natura. Ma nell' esondazione dei fiumi che ieri hanno provocato l' allerta in diversi Comuni dell' Emilia un po' di responsabilità l' uomo ce l' ha pure. Un dato: è la quarta volta in otto anni che il Secchia fuoriesce dagli argini: era già successo nel 2009, nel 2014 e nel 2015.

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    Proprio per ovviare al problema, l' allora presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, nel 2014 aveva stanziato 100 milioni per lavori definiti «strutturali». Ma dopo quattro anni, appena il 20-30 per cento di quei soldi è stato speso. Eloquente la spiegazione data da un ingegnere dell' Aipo, l' Agenzia interregionale per il fiume Po, cui tocca il compito della gestione degli appalti e degli interventi sui fiumi emiliani. Gianluca Zanichelli, sintetizza così: «Purtroppo in Italia i tempi di approvazione dei progetti sono molto più lunghi di quelli di esecuzione». Tradotto: colpa della burocrazia. I progetti sono stati realizzati e finanziati.

     

    Il problema è che dopo 4 anni non sono stati né approvati né avviati. «Si deve fare i conti con mille sfaccettature che bloccano i lavori - aggiunge Zanichelli -. Espropriazioni, pareri delle Sovraintendenze al territorio, Comuni».

     

    L' ingegnere Ivano Galvani, sempre di Aipo, fornisce un' ulteriore spiegazione: «In questi quattro anni abbiano dovuto riformulare i progetti alla luce dei cambiamenti climatici e della morfologia del territorio».

     

    Fare lavori strutturali significa intervenire sugli argini sia in altezza che in larghezza. Se tutto va bene, dovrebbero partire nel 2018.

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