Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Per gentile concessione dell' editore Mondadori pubblichiamo la prefazione scritta dal direttore Feltri per il libro «Emilio Riva, l' ultimo uomo d' acciaio» di Giovanna du Lac Capet.
EMILIO RIVA
Emilio Riva. Imparerete alla fine di questo libro a ripetere questo nome e a pensare alla persona che lo portava con infinito rispetto. Anche i più duri e convinti denigratori delle opere di questo signore, proprietario e gestore delle acciaierie di Taranto, dovranno - se hanno un minimo di onestà intellettuale - picconare le loro convinzioni di granito, e lasciarsi invadere almeno da un dubbio. Io non ne ho più.
Era una brava persona, imperfetta come tutti, ma aveva il genio dell' imprenditore lombardo, partito dal niente, ha corso il rischio d' impresa, dove si può perdere tutto, sbagliando un prodotto o una strategia. Ad ucciderlo però non è stata la concorrenza, o un abbaglio ingegneristico. Ma ciò che non aveva considerato: il combinato disposto - come dicono quelli che sanno le cose - di ignoranza e di invidia.
La moda ecologista un tanto al chilo e l' odio per i ricchi tipica di un cattocomunismo tutto italiano, hanno fatto scattare la sindrome del capro espiatorio. Lui con il suo orgoglioso silenzio ci ha messo del suo: ha lasciato che preparassero la pira su cui bruciarlo senza protestare, lasciando che lo accusassero e lo dipingessero come Erode vestendosi di silenzio scambiato per menefreghismo.
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RIAPRIRE LA PRATICA Ma dopo queste pagine, bisognerà riaprire la pratica. Forse non è come la raccontano.
Forse non era un assassino e nemmeno un distruttore cinico della natura. Forse siamo davanti a qualcosa di più e di peggio di un errore giudiziario.
In fondo l' errore non si è ancora consumato. Non c' è stato alcun giudizio né di primo né di secondo né di terzo grado, su Emilio Riva. Né ci sarà più. «Triste, solitario y final», come il titolo del romanzo di Osvaldo Soriano, è morto nel carcere della sua casa prima che ci fosse alcun giudizio di merito.
EMILIO RIVA Giovanna du Lac Capet
Eppure la sentenza è tutta scritta. La sua colpevolezza è stata decisa, nell' istante stesso in cui pm e gip hanno spiccato i mandati d' arresto di Emilio, di un suo figlio e di altri dirigenti, da quel clima di "dagli all' untore" che vede gli imprenditori come propagatori consapevoli della peste. Governo, partiti, sindacati, Chiesa cattolica; tutti invocano investimenti, chiamano capitali americani e il rientro di quelli italiani, per rimettere in piedi l' industria.
Ma appena uno riesce a far funzionare una fabbrica, dà lavoro e ricava utili, diventa un assassino potenziale e nel caso di Riva un criminale seriale. Con che prove? Nessuna. Tutti si improvvisano esperti in epidemiologia, e bevono come oro colato relazioni senza forza scientifica. Non serve che le tesi accusatorie siano sbugiardate da periti di Tribunale. La furia da linciaggio è innescata dalla semplice ipotesi di reato.
EMILIO RIVA Giovanna du Lac Capet cover
Ci si convince della volontà di far del male. Non si prende atto che il presunto assassino, ahimè o forse per fortuna morto, ha vissuto insieme a quegli operai e impiegati, dividendo con loro polveri e fumi, oltre che il lavoro.
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Emilio Riva... Ditelo tutti con rispetto questo nome. Altro che mostro. Ho imparato tutto questo non dai giornali. Ho dovuto accorgermi di questo scempio - anche se qualche cronista coraggioso aveva provato ad alzare timide barriere di buon senso contro la bufera oscurantista - leggendo le bozze di questo volume che ora avete in mano. Fidatevi, è prezioso.
Ci sono dei libri che hanno un valore privato, sono destinati a piccola circolazione, sono lettere ad amici o ai figli, perché ricordino qualcosa di noi.
Oppure esistono le denunce pubbliche di un torto subito, e si danno alle stampe confidando che scuotano il potere dalle fondamenta. Questo libro è un' altra cosa. È una lettera intima, che più intima non si può, perché è un lungo biglietto d' amore al proprio uomo. Ed insieme è un testimonianza pubblica di potenza civica dirompente. Questo rende l' opera di Giovanna du Lac una rarità, una perla e insieme una bomba. Vedrete: cercheranno di nascondere la perla e di togliere la miccia alla dinamite.
Eventualmente diranno alcune parole comprensive per il dolore della vedova, le perdoneranno per questo le accuse puntuali e chiare come il sole, dicendo: poveretta, bisogna capirla, è la moglie di Emilio Riva, morto a 88 anni, mentre era privato della libertà, malato, chiuso in casa, senza poter vedere nessuno, salvo gli avvocati, non vuole capire la signora che quell' uomo ha distribuito tumori come caramelle.
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Proprio a questa immagine terribile, e da cui Emilio non può più difendersi, si oppone e si opporrà questa nobile donna italiana e africana, bizantina e francese, discendente dei re capetingi, di Costantino il Grande e degli imperatori dell' Impero romano d' Oriente. Ma soprattutto una donna innamorata, capace di versare ogni stilla di se stessa per la causa di un uomo con cui ha diviso il letto e il risotto (il lavoro no, lui glielo impedì sempre) per più di quarant' anni.
«Damnatio memoriae» Peggio delle denunce in Tribunale sarebbe l' oblio o la compassione condiscendente.
Se ho imparato a conoscere da queste pagine la signora Giovanna - come presto farete voi, e arriverete in un amen in fondo al libro - la cosa che teme di più è la "damnatio memoriae" del compagno della sua vita.
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In che cosa consiste questa operazione? Si tratta di inquinare per sempre il ricordo di una persona, fino a impedire qualsiasi revisione storica dei fatti e dei giudizi conseguenti.
È una tecnica fatta apposta per togliere la voglia di curiosare nelle vicende su cui è stata scritta la verità ufficiale, al punto che chi si azzarda a formulare un' ipotesi meno conformista, è messo sulla graticola come amico prezzolato dei malfattori. Io, che sono nessuno, e non ho autorevolezza in alcun ramo della scienza e della morale, ho però un difetto: sono curioso, non mi sono mai accontentato delle verità stabilite una volta per tutte e pure con la pretesa di essere inoppugnabili.
Non perché sia virtuoso, figuriamoci, ma perché mi annoio a stare in gruppo. Se non avessi in uggia la noia, avrei passato le serate a giocare a carte con gli altri inviati a Napoli per il processo Tortora, invece di spulciare tra le carte accusatorie giudicate infallibili da (quasi) tutti i miei colleghi.
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Sia chiaro: qui non istituisco nessun paragone tra Riva e Tortora. È diventato stucchevole questa liturgia e giustamente fa arrabbiare la figlia. Ogni ingiustizia è un' ingiustizia unica.
Quella che ha colpito i Riva emerge dal racconto con la forza dell' ingenuità. E volentieri ho accettato di scrivere queste pagine come modesto deterrente ai tentativi di disinnescare questo racconto.
Sia chiaro. Non ho alcuna vocazione a fare lo scudo umano delle cause perse. Ma mi dispiacerebbe perdere questa causa. Mi sono convinto sia autentica e che tutto sia onesto, fin nelle virgole, in questo diario di una vita perché Emilio Riva esce da queste pagine non come un Cavaliere immacolato, ma persino come uno "stronzo" (lo dice la sua signora) ossessionato dal lavoro, al punto da metterlo davanti a qualsiasi cosa, anche agli affetti. È la mania milanese, il vizio lombardo. Che razza di uomo però.
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È tanto più efficace la testimonianza dell' Autrice proprio perché è così personale, piena di elementi di una vita famigliare che la riservatezza dei Riva aveva impedito finora di riferire. Ne esce qualcosa di estremamente sobrio, e insieme tenero. È convinta di denudarsi e di mostrare il marito nella sua verità inerme.
Eppure resta in queste pagine il segno di un pudore e di una discrezione oggi incomprensibili nella pseudo-civiltà del gossip. Giovanna Dussac (non so che titolo darle, forse Principessa, mi perdonerà l' ignoranza se per me è solo una signora, una vera signora) dice molte cose della storia d' amore con Emilio, ma non c' è nessuna civetteria né esibizionismo: è come chi deve esibire le fotografie di una tortura ricevuta perché non si ripeta più per nessuno.
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AL CUORE DELLO STATO Questo diario è dunque un esplosivo a carica multipla, una bomba cluster, che vuole arrivare al cuore dello Stato, nelle viscere della Giustizia e nella mente degli italiani. Allo Stato e al governo dice: Emilio Riva è stato il più grande industriale italiano. Ha illustrato il nome dell' Italia nel mondo. Ha dato lavoro a centinaia di migliaia di persone.
Ha resuscitato la siderurgia, trasformandola in fonte di ricchezza e orgoglio nazionale, dopo che le partecipazioni statali l' avevano ridotta a idrovora di denaro pubblico. Perché non avete impedito con la forza dei decreti e del buon senso di difendere un bene italiano dalle visione corte della magistratura? Alla giustizia dice: che senso ha sbattere agli arresti un signore ampiamente sopra gli ottantacinque anni, malato, e il tutto come custodia cautelare? Che roba è?
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Non vale qui tirare fuori i bambini morti di cancro. Non c' entra nulla. È presunto innocente. Agli italiani dice questo, Giovanna du Lac. Avete in mente la figura stilizzata della Giustizia, incarnata nella dea greca Dike? L' autrice vuole bucare il marmo della sua statua che occupa gli androni delle varie procure e dei relativi tribunali, ma vuole provare a suscitare un senso di vergogna collettiva per il linciaggio cui è stato sottoposto il suo uomo. Il modo per convincerli è una lettera d' amore al proprio uomo di una donna che non sopporta le sia stato ucciso dall' ingiustizia. Secondo me si illude. Ma tifo per lei, cara Giovanna.
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