Giovanni Bianconi per il ''Corriere della Sera''
STEFANO DELLE CHIAIE
Nella sua autobiografia pubblicata nel 2012 (L' aquila e il condor - Memorie di un militante politico , edita da Sperling&Kupfer), Stefano Delle Chiaie commenta così la strage di piazza Fontana: «Quel giorno l' Italia si scontrò con il mistero della violenza nichilista.
Fu l' inizio di anni tormentati che permisero errori, depistaggi, falsificazioni e strumentalizzazioni di parte a danni della verità. Con inimmaginabili conseguenze per molte persone strette nella morsa di quella macchinazione». Lui - il Comandante neofascista morto ieri a Roma tre giorni prima di compiere 83 anni - per la strage del 12 dicembre 1969 fu inquisito, processato e assolto, come per molti altri attentati o progetti aversivi degli anni Sessanta e Settanta; fino alla bomba di Bologna del 2 agosto 1980.
Sospettato, accusato e infine scagionato sul piano della responsabilità penale. Ma la propria appartenenza al mondo nero che fece da sfondo e coltivò la «strategia della tensione», con tanto di protezioni e coperture negli apparati statali, l' ha sempre rivendicata, senza però mai svelarne i misteri. Anzi, spesso negandoli, a cominciare proprio dal disegno complessivo che teneva insieme i diversi episodi.
stefano delle chiaie
«Certamente in quel periodo la tensione era presente nel Paese - sosteneva Delle Chiaie -; non per una strategia studiata a tavolino, ma come conseguenza di una situazione storica obiettiva. La "strategia della tensione" e lo "Stato parallelo" sono formule che hanno istigato una violenza antifascista, che venne poi giustificata con la difesa della democrazia».
Come se le vittime fossero lui e la sua parte; come se le trame che hanno inquinato e deviato la storia del Paese non fossero state tessute anche tramite lui e i movimenti della destra extraparlamentare di cui è stato protagonista: da Ordine nuovo a Avanguardia nazionale, fino a quella sorta di internazionale nera che gli ha garantito diciassette anni di latitanza all' estero, prima nella Spagna franchista e poi nel Sud America dei generali golpisti; Cile, Argentina, Bolivia, infine Venezuela.
A chi gli chiedeva perché non si decidesse a raccontare quello che sapeva rispondeva che era compito degli inquirenti ricostruire la verità. Lui s' è limitato - nelle deposizioni, nelle memorie e nelle interviste - a dire quel che riteneva necessario per essere scagionato dai reati e provare a difendere la genuinità politica delle proprie gesta.
stefano delle chiaie
Per esempio quando raccontò che nel 1964, 14 anni prima che ci pensassero le Brigate rosse, un gruppo di ex repubblichini gli propose di sequestrare il presidente del Consiglio Aldo Moro; richiesta rifiutata con un freddo e sbrigativo saluto, ha precisato il militante all' epoca non ancora trentenne ma già tra i protagonisti più importanti del neofascismo italiano. Dai forti legami con Junio Valerio Borghese, quello del tentato colpo di Stato del 1970, per il quale pure Delle Chiaie è stato chiamato in causa. Lui però diceva che all' epoca era in Spagna, ma ha sempre mostrato di sapere molte cose.
Forse troppe per uno assente.
Come su altre vicende oscure della storia italiana.
Il sedicente anarchico Mario Merlino, accusato insieme a Valpreda per piazza Fontana, era anche un fascista di Avanguardia nazionale a stretto contatto proprio con Delle Chiaie. E per la strage di Bologna il «Caccola» (un soprannome che gli fu affibbiato da ragazzino per la bassa statura) era stato inserito nella catena che da Licio Gelli e la P2 portava agli esecutori materiali; anelli che uno dopo l' altro si sono spezzati, ma senza mai cancellare i sospetti di complicità e connivenze.
stefano delle chiaie
Estradato in Italia nel 1987 e finito il tempo delle inchieste e dei processi, Delle Chiaie ha tentato nuove avventure politiche con scarso successo, che ieri gli sono valse il saluto solidale dell' ex eurodeputato leghista Mario Borghezio a «un alfiere della lotta contro la sovversione comunista». E sono rimasti i legami con i «camerati» di ieri e di oggi.
Fino a Massimo Carminati, che intercettato nel 2014 diceva ai suoi amici: «Io sono un soldato politico... io i soldi li do al Caccola».