DAGONOTA
MATTARELLA GENTILONI
Pronti, via: Gentiloni ha fatto subito incazzare Mattarella. Il Capo dello Stato, pur di salvaguardarlo, ha indetto le elezioni senza chiedere le dimissioni del governo. Insomma, ha lasciato il Conte Paolo a palazzo Chigi come se niente fosse. Ed il premier, per ricambiare tante attenzioni, che fa? Si butta nella mischia della campagna elettorale. Proprio lui che, nelle intenzioni del Quirinale, doveva restare super partes.
L’artefice di questa metamorfosi gentiloniana è, manco a dirlo, il Ducetto di Rignano. Dopo aver visto che “Er Moviola” guida tutti i sondaggi, ha deciso di utilizzarlo in campagna elettorale. Il Conte Paolo, che ha la rigidità di un budino, non gli ha saputo dire di no; e si è messo a fare dichiarazioni (poi corrette) tipicamente elettorali. D’altra parte, se la seconda e terza carica dello Stato sono scese nell’agone politico, come può il presidente del Consiglio rinunciare a farlo?
FRANCESCHINI RENZI GENTILONI
Ma sempre col suo stile da mozzarella. Così, il suo entourage sottolinea che a Davos ha fatto una netta distinzione fra Berlusconi (“non è un populista”) e Forza Italia. Proprio fra le nevi svizzere il premier ha ricevuto l’ennesimo input dalla Merkel. Fra i corridoi del World economic Forum, il premier s’è sentito ripetere un mantra europeo: garantire la stabilità per l’euro. Lo stesso applicato come un mantra in Spagna e Germania. E che i Poteri marci vorrebbero ribadire anche in Italia; dove auspicano una alleanza per la governabilità della moneta unica. Patto benedetto da Francoforte proprio da Mario Draghi, che è pur sempre cittadino italiano con diritto di voto.
gentiloni e renzi
E non è un caso che da Palazzo Chigi filtri un’interpretazione “autentica” delle parole di Gentiloni. Il premier ha annunciato che “questo Pd non farà accordi con Berlusconi”. E qui arriva l’interpretazione: dopo le elezioni ci sarà ancora questo Pd?
ANDREA ORLANDO
Per il momento, il Nazareno a trazione renziana è in fibrillazione. Matteo sta giocando in prima persona la partita dei collegi. I sondaggi riservati dicono che i Dem viaggiano intorno al 23,5%; così Matteo vuole garantire seggi sicuri solo ai fedelissimi. Ne sa qualcosa Andrea Orlando che si è visto cassare la propria “quota Panda” di minoranza interna. Ma la partita più importante Renzi se la giocherà fra stasera e domani con Dario Franceschini, quando dovrà trovare posto in lista agli amici del ministro dei Beni Culturali. In caso contrario, la malignità implicita contenuta nelle interpretazioni sulle frasi di Gentiloni potrebbero prendere corpo, a partire dal 5 marzo.
FRANCESCHINI RENZI
Matteo ancora non ha rinunciato ad accalappiare qualche nome ad effetto da mettere in lista. Per il momento, però, sta ricevendo solo “due di picche”. Hanno detto no alla candidatura dem figure come Antonella Manzi, vice presidente Confindustria, Nerio Alessandri di Techogym e Alberto Vacchi, cugino di Gianluca Vacchi e casualmente candidato alla guida di Confindustria.
MATTEO: DATEMI IL LANCIAFIAMME
Pietro Salvatori per www.huffingtonpost.it
"Basta, a questo punto ci vuole il lanciafiamme". Proprio così. A un certo punto della giornata Matteo Renzi, seduto dietro la sua scrivania al Nazareno, scarta, e mette da parte le tabelle con gli intricati incroci fra collegi, correnti e richieste personali, tornando a usare un termine a lui caro: "Qui bisogna usare il lanciafiamme. Se continuiamo a correre dietro il manuale Cencelli non ne usciamo fuori".
nerio alessandri
Le liste elettorali sono lontane dall'essere chiuse. Le richieste riempiono intere cartelle, è appena scoppiato un caso con gli uomini di Andrea Orlando, che si sentono sottostimati ovunque. La quadra sembra impossibile. Ed è lì che il segretario decide il cambio di passo. Sparigliare i calcoli minuziosi di equilibri da considerare e sondaggi da soppesare. E cambiare il paradigma.
Prendiamo la Campania. Oltre a Paolo Siani, ecco altri di due avvocati, celebri per le loro battaglie sulla trasparenza e sull'onestà ma finora estranei alla politica, andare a riempire le caselle contese dai colonnelli locali. Sono Domenico Mimmo Ciruzzi, e il collega Giuseppe Pellegrini, quest'ultimo schierato contro il forzista plurindagato Luigi Cesaro - detto Gigino a Purpetta - in una sfida il cui significato simbolico non ha bisogno di essere spiegato.
ALBERTO E GIANLUCA VACCHI
Un cambiamento di schema che ovviamente ha mandato in fibrillazione la federazione napoletana del Pd, che si ritrova a fare i conti con due candidati che non aveva messo in conto e, di conseguenza, con due posti in meno per soddisfare gli appetiti dei notabili del territorio.
pierferdinando casini e la compagna colombiana 1
Ma Napoli e dintorni sono solo uno degli esempi del cambio di passo. Basta risalire lo Stivale e fermarsi dalle parti di Bologna. Se nel golfo la bussola è quella della legalità, nella cuore rosso d'Italia la scelta è quella di schierare le migliori ali sinistre del partito. A sfidare Pier Luigi Bersani all'uninominale sarà Andrea De Maria, un lungo cursus honorum nel Pds e nei Ds, in tempi più recenti vicino a Gianni Cuperlo.
VASCO ERRANI
Uno che, per capirci, inizia così la sua autobiografia: "A 16 anni ho cominciato a frequentare, nel Pci di Enrico Berlinguer, carico di valori morali e di attaccamento alla democrazia, l'allora Federazione giovanile". E che, giovanissimo, iniziò la sua carriera come sindaco di Marzabotto, tristemente città simbolo della Resistenza italiana al nazifascismo.
Ma non è tutto. Carla Cantone, segretaria di Spi Cgil, storica esponente bersaniana, al proporzionale sarà capolista nel collegio in cui nell'uninominale Pier Ferdinando Casini sfiderà l'amatissimo (da quelle parti) Vasco Errani, per anni presidente della regione Emilia Romagna e candidato con Liberi e Uguali, in una chiara operazione di copertura sul versante "rosso" al candidato centrista che difenderà le insegne della coalizione a guida Pd.
carla cantone
Sono solo i primi smottamenti di un quadro che potrà essere stravolto nei prossimi giorni, se non addirittura nelle prossime ore. Con le liste ancora aperte, la svolta repentina di Renzi potrebbe riservare altre corpose sorprese. Rischiando di terremotare il quadro già fragile degli equilibri all'interno dei Democratici, e fra questi ultimi e gli smaniosi alleati.