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    ERDOGAN E L’IMPERO OTTOMANO – OSPITA I PROFUGHI SIRIANI E PUNTA AD ALLONTANARE IL QATAR DALL’ARABIA SAUDITA. IL 3 LUGLIO SCADE L’ULTIMATUM DI RYAD CHE DOHA NON VUOLE RISPETTARE. SE RESTANO I SOLDATI TURCHI NEL DESERTO QATARINO SI RISCHIA UNA NUOVA GUERRA DEL GOLFO


     
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    1. IL 3 LUGLIO SCADE L' ULTIMATUM CONTRO L' EMIRATO

    Mirko Molteni per Libero Quotidiano

     

    Sempre più critica la situazione nel Golfo Persico, dove si teme il peggio in vista della scadenza, il 3 luglio, dell' ultimatum dell' Arabia Saudita al Qatar. Ieri la presa di posizione ufficiale della Turchia in favore dell' emirato ha incoraggiato Doha a non cedere ai diktat di Riad e dei suoi alleati. I sauditi hanno inoltrato ai qatarioti 13 richieste, fra cui la chiusura di una base militare turca aperta di recente in quel territorio.

    ERDOGAN TAMIM AL THANI EMIRO QATAR ERDOGAN TAMIM AL THANI EMIRO QATAR

     

    Lo stesso presidente turco Recep Tayyp Erdogan ci ha messo la faccia dicendo: «Noi sosteniamo la posizione del Qatar perché consideriamo che la lista delle 13 richieste sia contraria al diritto internazionale. La richiesta specifica sulla nostra base è inoltre una mancanza di rispetto. Dobbiamo ottenere un permesso quando raggiungiamo un accordo di cooperazione nella difesa con un paese?».

     

    Erdogan condivide l' atteggiamento del Qatar, che sostiene di non volersi piegare ai diktat di Riad «perché non si può attaccare o intervenire contro la sovranità di un paese». Lo stesso Qatar, poche ore prima aveva definito «illegali e irragionevoli» le richieste. I turchi al momento hanno in Qatar una forza militare simbolica, poco più di un centinaio di soldati con 5 carri armati, ma Ankara ha già fatto sapere che con un ponte aereo, questa potrebbe aumentare rapidamente fino a 1000 soldati, tenendo conto che l' obiettivo finale di capienza della base, come era stata concepita dagli accordi preliminari col Qatar, sarebbe di almeno 3000 uomini.

    ERDOGAN QATAR ERDOGAN QATAR

     

    È ormai da tre settimane che Arabia Saudita e vari altri stati suoi alleati, in primis Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, hanno rotto le relazioni diplomatiche col Qatar accusandolo di sostegno al terrorismo, soprattutto della Fratellanza Musulmana, e delle sue aperture verso l' Iran, di fatto rompendo il fronte sunnita contro Teheran. Fra i punti dell' ultimatum, considerato irricevibile da Doha, c' è anche la chiusura di quella vera e propria «Cnn araba» che da molti anni è la tv Al Jazeera, con sede proprio nell' emirato.

     

    IL RE DELL ARABIA SAUDITA CON TAMIM AL THANI EMIRO DEL QATAR IL RE DELL ARABIA SAUDITA CON TAMIM AL THANI EMIRO DEL QATAR

    Finora si è dimostrata vana l' opera di mediazione del Kuwait, mentre gli stessi americani, che in Qatar detengono l' importante base aerea di Al Udeid, da cui partono numerose missioni di bombardamento contro l' Isis in Iraq e Siria, si sono chiamati fuori, sostenendo, con le parole del portavoce della Casa Bianca Sean Spicer che «è una questione di famiglia fra di loro». Il presidente Usa Donald Trump, insomma, non si immischierà, almeno per il momento.

     

    IL VECCHIO EMIRO DEL QATAR CON MOHAMMED MORSI IL VECCHIO EMIRO DEL QATAR CON MOHAMMED MORSI

    Di certo, se i sauditi tentassero di invadere il Qatar creerebbero un enorme focolaio di crisi nel Golfo e nello Stretto di Hormuz, da cui passa oltre il 20 per cento del petrolio mondiale, con tutto quel che ne conseguirà sui mercati. Sarebbe un evento paragonabile per certi aspetti all' occupazione del Kuwait da parte dell' Iraq di Saddam Hussein il 2 agosto 1990, che portò il 17 gennaio 1991 alla conseguente guerra di coalizione. Non solo, un conflitto porterebbe definitivamente Turchia e Iran dalla stessa parte della barricata per via della comune amicizia con l' emirato, confermando un' intesa già delineata, per il tramite della Russia, sugli equilibri in Siria. Tutto complicato dal fatto che la Turchia resta uno dei membri chiave della Nato.

     

    2. CON ERDOGAN FRA I PROFUGHI SIRIANI "L' OCCIDENTE È PRIVO DI UMANITÀ"

    Davide Lerner per La Stampa

     

    TURCHIA - SOSTENITORI DI ERDOGAN TURCHIA - SOSTENITORI DI ERDOGAN

    «Ghelior! Ghelior!», «arriva, arriva per davvero». Nella notte bollente di Harran, una regione rurale al confine fra Siria e Turchia, migliaia di rifugiati attendono il loro idolo: Recep Tayyip Erdogan. Gli elicotteri militari volano bassi e chiassosi nel buio, le forze di sicurezza si agitano attorno ai tavoli dove dovrebbe arrivare per consumare il pasto dell'«Iftar», la chiusura del Ramadan, insieme ai «fratelli siriani». L' urlo elettrizza guardie del corpo e notabili: «Ghelior!».

     

    Il passo elegante, il completo grigio, lo sguardo affabile e la calma con cui stringe forte la mano, mentre attorno a lui in pochi istanti si crea un caos di uomini e donne in estasi pronti a calpestare il vicino pur di rubare una foto, uno sguardo, una parola al «Reis». Lui si butta in mezzo alla gente, come ha fatto per una vita prima che il potere e la fama gli imponessero di limitare i bagni di folla ravvicinati. Il caos si spegne solo quando Erdogan comincia a parlare.

    PUTIN ERDOGAN SAN PIETROBURGO PUTIN ERDOGAN SAN PIETROBURGO

     

    «La guerra in Siria ha svelato la totale mancanza d' umanità dell' Occidente, per loro una goccia di petrolio vale più di un fiume di sangue siriano», dice, alludendo al fatto che la Turchia da sola ospita circa il doppio di rifugiati siriani rispetto all' Europa (sono almeno tre milioni nella Mezzaluna). «Siamo pronti a intervenire nuovamente in Siria se necessario», scandisce mentre un traduttore gli fa eco in arabo, «conosciamo le enormi sofferenze che avete patito».

     

    Dice Omar Kadkoy, un rifugiato siriano di 28 anni: «Ho lasciato Damasco all' inizio della guerra civile, alla volta dell' Egitto. Poi un colpo di stato militare ha fatto cadere il governo islamista di Morsi al Cairo, gettando il paese nel caos: mi sono mosso verso la Turchia. Quando c' è stato il fallito golpe noi siriani ci siamo chiesti: se esplode la guerra anche qui dove cavolo possiamo andare?». Si spiega anche così allora la gratitudine verso il governo che si respira nei campi profughi, 23 strutture all' avanguardia che ospitano circa 270.000 siriani.

     

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    Malgrado all' arrivo provochino un tuffo al cuore - i campi, immersi nel nulla, hanno l' aspetto di un centro di reclusione con tanto di filo spinato e torrette di controllo lungo il muro perimetrale - all' interno la qualità della vita ne fa un «modello mondiale» secondo l' Alto Commissariato Onu per i rifugiati di Ankara. «Sono degli hotel a cinque stelle», scherza Mohammed, un siriano di Al-Bab. «Hai visto che schifo quello di Calais in Francia?».

     

    La grande maggioranza che vive fuori dai campi sopravvive perlopiù grazie all' economia informale (il permesso di lavoro esiste ma è difficile da ottenere), e solo il 10 per cento è in condizioni di grave povertà. Ahmed, un 14enne siriano arrivato da Hama nel campo profughi di Kahramanmara, fa volentieri da guida, visto che si annoia tutto il giorno ciondolando davanti alle gigantografie di Erdogan. «Una questione di coscienza», recitano. «Siamo quasi tutti bambini», racconta mostrando i campi di calcio, la moschea, la scuola e il fornitissimo supermercato della struttura.

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    In effetti sembra di essere in un gigantesco asilo siriano: oltre il 50% dei profughi del campo sono minori. I 25.000 rifugiati occupano oltre 5.000 container, un lusso rispetto alle tende dei campi tradizionali. «I turchi ci hanno accolto perché sono musulmani come noi, al punto che in Europa non ci vogliamo più andare», dice Abdul Alim nel «salotto» del suo container. Secondo una ricerca dell' Università turca Bogazici, l' 85% dei siriani preferisce la Turchia a qualsiasi altro paese (dopo «al watan», la patria, si intende) e il 75% vuole integrarsi imparando il turco.

     

    A cena con Erdogan c' è anche Mehmet Halis Bilden, il capo della protezione civile che lancia una diffida all' Europa. «Siamo ormai vicini al tutto esaurito», dice. I siriani, che hanno accesso a tutti i servizi di welfare malgrado non siano ufficialmente riconosciuti come rifugiati, sarebbero costati alle casse turche 25 miliardi dall' inizio della crisi. «I soldi europei ci arrivano col contagocce, finora hanno sborsato solo 811 milioni di euro, e come se non bastasse i nostri sforzi non vengono apprezzati».

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    I primi segnali di disimpegno turco si fanno sentire: le frontiere non sono più aperte come una volta, anzi c' è un muro di 700 chilometri. E nella Siria settentrionale, nel triangolo liberato dallo stato Islamico che va da Jarablus ad Al-Bab e Azaz, la presenza militare e umanitaria dei turchi è fatta anche per incoraggiare i rimpatri. «Puoi mettere un uccello in una gabbia dorata, ma vorrà sempre volare via», dice il capo della protezione civile, usando una metafora che suona più che altro come un augurio. 

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