Camilla Conti per “il Giornale”
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Occhio a tenere una parte dei propri risparmi su un conto corrente cointestato a marito e moglie o a madre/padre e figli. La Corte di Cassazione ha infatti deliberato che i soldi (e i titoli) depositati su un conto cointestato non sono di proprietà di entrambi. Cosa significa? La cointestazione permette ai cofirmatari di operare sul conto ma non comporta anche la cessione del relativo credito. Quindi, in caso di morte del titolare o di liti in famiglia i cointestatari non possono appropriarsi delle somme automaticamente.
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Nell' ordinanza 21963 la Cassazione ha accolto il ricorso dei figli di una donna deceduta dopo aver cointestato il proprio conto (ed il dossier titoli) con i nipoti che alla sua scomparsa avevano prelevato l' intero saldo. La terza sezione civile ha precisato che «la cointestazione di un conto corrente, salvo prova di diversa volontà delle parti, è di per sé un atto unilaterale idoneo a trasferire la legittimazione a operare sul conto, ma non anche la titolarità del credito, in quanto il trasferimento della proprietà del contenuto di un conto corrente è una forma, di cessione del credito che il correntista ha verso la banca e, quindi, presuppone un contratto tra cedente e cessionario».
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Traduciamo dal «legalese» ma prima facciamo una premessa. I titolari di un conto cointestato sono due o più soggetti che possono in autonomia prelevare, effettuare pagamenti, versare contante, ricevere bonifici, staccare assegni, gestire i titoli. In questi casi, il conto cointestato è a firma disgiunta ovvero ciascun titolare ha il potere di eseguire queste attività senza il consenso dell' altro. Nel conto cointestato a firma congiunta, invece, alcune operazioni di solito quelle superiori a un certo limite di importo, fissato in anticipo con la banca richiedono la firma di entrambi i correntisti.
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Nella vicenda esaminata, il giudice della Cassazione è partito dal presupposto che l' atto di cointestazione non può essere considerata una donazione di tutto il denaro depositato in banca. Prendiamo il caso esaminato dalla Corte: una persona muore e il suo conto corrente passa in successione ai tre figli, i quali non provvedono a ripartire anche il deposito bancario e i titoli gestiti dalla banca. Uno dei fratelli, però, senza dire nulla agli altri, si appropria del bancomat del padre e preleva una consistente somma di denaro.
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Gli altri gli fanno causa per avere indietro la somma. Il problema si può porre anche in presenza di marito imprenditore e moglie casalinga: il primo versa in banca il proprio stipendio e cointesta anche alla coniuge il conto per consentirle di eseguire prelievi e operare in cassa. Se la donna dovesse prelevare più di quanto il marito ha autorizzato o se, in caso di separazione, la stessa dovesse pretendere la metà del conto, potrebbe farlo?
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Se il marito si oppone e dimostra in un tribunale che i soldi sul conto provengono esclusivamente dal suo stipendio, vince la causa. Se viene fornita una prova, insomma, non è automatico presumere che i titolari del conto cointestato possiedano il 50% ciascuno del denaro depositato in banca. La cointestazione non è quindi una specie di donazione della metà dei soldi presenti sul conto stesso.
Torniamo all' esempio di moglie e marito: se la moglie preleva più della propria metà dovrà restituire all' altro la sua parte o ricostituire il deposito. Non solo. Se il marito dimostra che i soldi sul conto li aveva messi solo lui, la moglie che ha prelevato anche un solo euro dovrà restituirlo. La banca, dal canto suo, non è responsabile se uno dei cointestatari preleva dal conto più della propria quota, né può impedirgli di farlo. Né può porre limiti alle operazioni. A meno che non sia presente la condizione «a firma congiunta».