Lo scandalo delle donne penalizzate se scelgono la maternità. Fa discutere il caso della pallavolista Lara Lugli, che si è vista negare l'ultima mensilità dello stipendio perché incinta. E il club, ora, la cita anche per danni. pic.twitter.com/B1Z2dZQv7H
— Tg3 (@Tg3web) March 9, 2021
Gaia Piccardi per il "Corriere della Sera"
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Nella giungla dello sport dilettantistico, Lara è una pantera. «A 17 anni sono uscita di casa per inseguire la mia passione: il volley. Ho giocato su campi periferici, prevalentemente in serie B1 e A2, ho girato tutta Italia, con una breve parentesi in Svizzera.
Pensavo di averle viste tutte, ma quello che mi è capitato a Pordenone è un' ingiustizia che non potevo tacere».
Lara Lugli, classe 1980, schiacciatrice, non ha la longevità di Francesca Piccinini né il talento di Paola Egonu, le stelle del campionato italiano. Però ha una storia che pesa da raccontare: «Nel marzo 2019 ho comunicato al mio club, il Volley Pordenone, l' impossibilità di proseguire la stagione: ero rimasta incinta. A distanza di due anni, dopo aver subito un aborto spontaneo, in risposta alla mia ingiunzione di pagamento dello stipendio di febbraio, mai corrisposto, ho ricevuto una citazione per danni. Motivo: non aver onorato il contratto».
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Nell' atto di citazione della società, in opposizione al decreto ingiuntivo della giocatrice, una raffica di sgradevolezze assortite: «Mi si accusa di aver taciuto l' intenzione di avere figli, di non aver completato gli ultimi due mesi di campionato mentre stavo attraversando un momento difficilissimo, ma la cosa che più mi ha fatto male - racconta Lara da Carpi - è che abbiano messo in discussione la mia serietà: in 25 anni di volley mi sono sempre comportata da professionista, pur non essendolo giuridicamente, ferirmi tirando in ballo argomenti intimi e delicati mi è sembrata una punizione che non meritavo».
Se persino una fuoriclasse dell' atletica mondiale come la sprinter americana Allyson Felix - in carriera più medaglie olimpiche di Bolt - fu minacciata di licenziamento dallo sponsor dopo la maternità (correva il novembre 2018 e grazie al suo potere mediatico Felix riuscì a mantenere lo stesso compenso facendo promettere a Nike che non avrebbe penalizzato economicamente le atlete durante la gravidanza), immaginiamoci quale terra senza tetto né legge sia il dilettantismo in Italia. «I nostri contratti sono così - conferma Lara -, quando firmi incroci le dita: sai quante volte finisci l' anno e ti mancano un paio di mensilità? E cosa fai, se vuoi giocare anche la stagione successiva? Taci per quieto vivere. Ma adesso basta».
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Il post su Facebook di Lugli, cui il Volley Pordenone ha risposto piccato («Felici per l' avvenimento famigliare però da contratto era prevista l' immediata cessazione in caso di gravidanza; avremmo potuto esercitare le penali e non l' abbiamo fatto, ma ci siamo sentiti traditi dall' atleta e ci siamo difesi») smentendo qualsiasi richiesta di danni, ha sollevato un' onda di solidarietà arrivata anche in Parlamento: «La colpa di Lara è essere rimasta incinta: presenterò un' interrogazione» annuncia la deputata del Pd Laura Boldrini. Ma soprattutto ha risvegliato coscienze a lungo sopite.
«Mi hanno scritto tante ex compagne di squadra a cui è successa la stessa cosa - spiega Lara -: rimaste incinta, sono state lasciate a casa senza tanti complimenti. Spero che il mio esempio le sproni a chiedere ciò di cui hanno diritto». E non è un tema solo al femminile: «Io e il mio ragazzo, Oreste Luppi, pallavolista, tra stipendi non pagati e avvocati abbiamo lasciato in giro qualcosa come 50 mila euro».
I 2500 euro contesi tra Lugli e Pordenone scoperchiano l' antico problema: il dilettantismo senza regole non è più sport. È legge di Darwin.
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LARA LUGLI "ERO INCINTA TRATTATA COME UNA DOPATA E IL CLUB MI CHIEDE I DANNI"
Cosimo Cito per "la Repubblica"
Una gravidanza equiparata a un tradimento, una società che rescinde il contratto, nega anche l' ultima mensilità e adduce motivazioni incredibili: «Hai taciuto sulla tua intenzione di avere figli». Una citazione per danni. E un post, alla vigilia della Festa della Donna, che scatena una valanga di reazioni. La vicenda di Lara Lugli e della sua vertenza contro il Volley Pordenone porta alla luce le storture di un mondo, quello dello sport dilettantistico al femminile, in cui, parole della giocatrice, «restare incinta è considerata una mancanza di professionalità. Come aver assunto cocaina e risultare poi positiva all' antidoping». Ha 38 anni Lara, quando scopre di aspettare un bambino. È il marzo 2019.
Come è andata poi?
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«Lo comunico alla società, e loro, come sempre accade in questi casi, interrompono il contratto. È proprio scritto così, è la prassi, per noi di Serie B1 ma anche per le categorie superiori. Siamo dilettanti e non abbiamo tutele, nessuno strumento giuridico in mano. Se ti infortuni, e dipende anche dalla gravità dell' infortunio, il contratto viene onorato. Se annunci di aspettare un bambino, un minuto dopo c' è la rescissione».
Com' erano i rapporti con la società?
«Buoni, i migliori possibili. Li ho avvertiti subito, mi sembrava giusto farlo, è così che si fa».
Lei però, un mese dopo, perde il bambino. «Sì, ad aprile. Dopo qualche tempo mi rifaccio viva, chiedendo l' ultima mensilità, quella di febbraio, il mese precedente alla scoperta della mia gravidanza, in cui avevo regolarmente giocato e mi ero sempre allenata. Là scatta la loro risposta. Una citazione in opposizione alla mia ingiunzione di pagamento. Con frasi impressionanti per crudezza e arretratezza».
La accusano di aver "venduto" la sua età per avere un contratto più alto e di aver "mentito" sulla sua intenzione di avere figli. E di aver perso, a causa della sua assenza, posizioni in classifica e di conseguenza sponsor per l' anno successivo.
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«La gravidanza non è stata cercata, ma anche se lo fosse stata, ciò non avrebbe fatto alcuna differenza. È incredibile che nel 2021 essere incinta debba essere considerata come una mancanza di professionalità, criminalizzata come l' assunzione di cocaina e la conseguente positività a un controllo antidoping. È incredibile che una donna venga umiliata in questo modo e anche i suoi dolori e dettagli molto privati della sua vicenda personale vengano usati. Il tutto per 2500 euro».
Le hanno anche scritto: "Dopo l' aborto sarebbe potuta tornare in campo, allenarsi e andare almeno in panchina".
«Lasciando da parte le condizioni psicologiche in cui mi trovavo in quel momento, è una frase di un' ineleganza mostruosa. Ho provato vergogna, tristezza. E poi, ora, qualche giorno dopo la richiesta di danni, ho deciso di pubblicare la mia storia».
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È stato un sollievo?
«Ho avuto tanta paura. Paura degli haters, dei leoni da tastiera. C' è stato un caso simile al mio pochi mesi fa, quello di Carli Lloyd a Casalmaggiore, aggredita dai tifosi sul web per aver "danneggiato" la sua squadra. Avevo paura di suscitare reazioni senza senso. Ora sono più serena però».
L' hanno chiamata in tante?
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«In tantissime, anche giocatrici molto importanti di Serie A1, e alcune di loro mi hanno raccontato esperienze di gravidanze evitate o di contratti rescissi brutalmente. Io ho provato, pubblicando la mia storia, ad accendere una luce sulla condizione dello sport dilettantistico in Italia. Mi ha fatto piacere la presa di posizione del sindacato pallavolisti, ora vorrei che si mettesse mano una buona volta a questo enorme problema dello sport al femminile. Si parla tanto di pari opportunità e poi una società ha il coltello dalla parte del manico in questi casi. Di fatto, costringe la donna a una scelta: o mamma, o atleta».
Nella sua carriera ha anche giocato in A1 e ora, a 41 anni, è ancora in campo in C, a Soliera.
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«Sì, non è lontano da Carpi, casa mia. Non più con i ritmi di un tempo, mi alleno due volte a settimana, è un gruppo di amici e io do una mano. La grande pallavolo appartiene al mio passato. Un mondo che mi ha dato tanto. Ma negli ultimi due anni ho sofferto molto».
La vertenza con Pordenone avrà un esito giudiziario, a questo punto?
«Il 18 maggio io e la società ci confronteremo di fronte al Giudice di pace. Ma io sento di aver già vinto. Non è per i soldi che combatto, ma perché casi come il mio non accadano mai più».
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