Luca Mastrantonio per “Sette - Corriere della Sera”
c'era una volta a hollywood quentin tarantino
Quando Quentin Tarantino inizia a scrivere la storia di C’era una volta a... Hollywood non sa bene se sarà un film o un romanzo. Charles Manson è vivo, in prigione per il massacro di Cielo Drive nel 1969 a Los Angeles, dove alcuni membri della sua comune, The Family, uccisero Sharon Tate, incinta di Roman Polanski, e alcuni amici.
Manson muore nel 2017 e due anni dopo esce il film di Tarantino con Brad Pitt nei panni di Cliff, stuntman e autista di Leonardo DiCaprio, cioè Rick, una star in declino, rilanciata dall’aver sgominato, nella finzione del film, la banda di hippie che puntava la villa di Sharon Tate (Margot Robbie).
Ora C’era una volta a Hollywood esce come romanzo (in Italia per La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi), dove all’immaginazione da cineteca umana e ai dialoghi da funambolo della lingua, noti ai fan, si aggiunge una strategia narrativa da boxeur.
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Tarantino ha dedicato il libro alla moglie, la modella e cantante israeliana Daniella Pick, e al figlio Leo: «Non è un omaggio a DiCaprio», precisa Tarantino, «ma al nonno materno. Ci piaceva il nome da piccolo leone. Leo è uno degli esseri umani più incantevoli che ho incontrato in vita mia». Il regista, che ha casa anche in Israele, è al telefono dalla California: la voce è chiara, elastica, modula pause e accenti dilatando le parole in maniera espressiva. Nelle risposte va lungo quando si appassiona, corto su ciò che lo imbarazza o annoia.
Cliff è un cinefilo onnivoro. E da veterano che ha conosciuto la guerra trova infantili i film di Hollywood e preferisce quelli europei. Ama ‘Ladri di biciclette’ e ‘Roma città aperta’...
«In Europa, dopo l’orrore e la devastazione, si tornò a fare film per un pubblico più maturo, che aveva attraversato un trauma, mentre in America, dove ai civili erano stati risparmiati gli orrori del fronte interno, si è continuato a fare film leggeri, per la famiglia. In Italia l’esempio migliore è I soliti ignoti: una commedia davvero esilarante, girata in mezzo alle rovine della guerra».
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Per Cliff “Riso amaro” è un film sexy, grazie a Silvana Mangano. Qual è per lei l’attrice italiana più affascinante?
«Da ragazzo ho iniziato a guardare al cinema film stranieri con sottotitoli, dalla fine dei Settanta. E rimasi folgorato da Mogliamante con Laura Antonelli e Marcello Mastroianni, ero pazzo di lei, cercai di vedere ogni suo film».
In “C’era una volta a... Hollywood” lei racconta come gli americani vissero, tra scetticismo e ammirazione, la rivoluzione degli spaghetti western.
«Ci sono tre elementi che mi hanno sempre colpito: l’originalità di un genere re-inventato; la “qualità italiana” che trascende l’ordinario con la grandiosità, la teatralità: e la violenza. Il primo libro che ho letto al riguardo era Italian Western: The Opera of Violence: la violenza veniva messa in scena con un tocco umoristico spietato».
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Grandiose anche le musiche. Per “Django Unchained” Ennio Morricone ha partecipato alla colonna sonora. Un certificato di qualità western.
«Per me è meraviglioso essere nella lista dei registi con cui ha collaborato Ennio. Aveva la nomea di un osso duro, ma con me è stato dolce e affettuoso. Lui e sua moglie, per il matrimonio, mi hanno mandato un volume sull’arte italiana: è il pezzo forte del soggiorno».
Lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni ha detto che era stato invitato ad andare a casa di Sharon Tate la sera del massacro, e che lui e Sergio Leone, che lo avrebbe accompagnato, non ci sono andati per caso.
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«Fatico a crederci, a ogni angolo di strada c’è chi dice che quella sera sarebbe dovuto andare lì. Debra Tate, la sorella minore di Sharon, voleva andarci e Sharon le aveva detto: “No, non sono in forma, mi sento un po’ male, fa molto caldo, la gravidanza.... Non venire, mi metto a letto e crollo”. Non c’era nessuna festa, non era stato invitato nessuno. Ma una cena, con amici, persone di casa. Con tutti quelli che a loro dire erano stati invitati e all’ultimo hanno deciso di non presentarsi, non ci sarebbe stato un omicidio ma una festa con decine di persone».
La prima volta che seppe di Manson?
«Attorno al 1970, ero un ragazzino. Durante il processo sentivo alla tv questo nome in continuazione: Manson, Charles Manson, Charlie Manson, Manson, Manson. Chiesi al mio patrigno “Chi è questo Manson?” e lui “Oh Quentin non serve che tu lo sappia”».
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Nel romanzo, rispetto al film, Manson ha più spazio, è umanizzato nei tentativi di avere successo, l’amicizia con Dennis Wilson dei Beach Boys, la frustrazione, le delusioni...
«All’inizio volevo raccontare la storia dal punto di vista di Sharon Tate, ma dovevo studiare bene il personaggio di Manson, l’espressione, il modo in cui parla, e facevo ricerche, ho letto libri, mi sono documentato più di quanto non avessi mai fatto prima. Poi ho accantonato il lavoro: volevo davvero arrivare a conoscere così a fondo quell’uomo? Farlo entrare nella mia vita per poterne scrivere i dialoghi? Poi molte cose nel film le ho tolte».
polanski sharon tate
Manson lo vediamo all’opera nei suoi fallimenti di musicista e nei suoi successi come manipolatore.
«C’è il Charles Manson prima dell’eccidio. Non descrivo l’orco che tutti conosciamo, ma il ragazzo che voleva sfondare come cantante sulla scena rock di Los Angeles. Però era un dilettante su tutta la linea, un assoluto sognatore. Voleva fare quelle cose ma ci fantasticava sopra. Fare il guru per un mucchio di ragazzi più giovani scappati di casa, in realtà, doveva essere un’attività secondaria: e invece diventa la sua identità. Nel libro non lo dipingo come un mostro, lui appare in modo assolutamente umano. Ha le sue stranezze, ma ha quel qualcosa di... onestamente, qualcosa di patetico e quasi affascinante».
polanski sharon tate
Nel romanzo trova più spazio anche il rapporto tra Polanski e Tate. Sa se il regista ha visto il suo film?
«Da quel che ho saputo, non ha intenzione di guardare il film. Ma, da quel che ho sentito, non è particolarmente arrabbiato con me perché l’ho fatto. Anche quando sua moglie ha criticato il successo del film, lui ha precisato che lei non si riferiva al film in sé, ma a quella che a suo avviso era l’ipocrisia della Hollywood che si arricchiva sulla vicenda del marito e allo stesso tempo lo trattava come un reietto: è una buona moglie, ha difeso il marito».
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Lei ha dedicato il libro a sua moglie e suo figlio. “Grazie per aver creato una casa felice in cui scrivere”.
«Mia moglie mi ha aiutato ad organizzarmi uno studio, dove vado a scrivere la mattina, dopo aver fatto colazione con lei e Leo. Poi mangiamo, poi il pisolino, a volte assieme. Poi vedo film, esco in bici... Il libro è il primo frutto maturo di questo nuovo ambiente».
Vede i cartoni animati con suo figlio?
«Ricordo il primo film che abbiamo visto insieme. La settimana scorsa, prima che partissi per l’America. Lui guarda programmi TV per bambini piccoli, per farli cantare con i personaggi, roba da pochi minuti.
sharon tate e roman polanski
Io ero stanco di guardare e riguardare le stesse cose, cerco qualcosa di nuovo e trovo una cosa che credevo fosse un cartone sui Minions, i personaggi di Cattivissimo me, invece era il film, Cattivissimo me 2. Avevo visto l’1, non il 2, e mi dico “Ma dai! Guarderò i titoli di testa con lui finché non perde interesse”.
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E invece anche se è un prodotto più elaborato degli altri, intenso, lui si è sparato tutta la prima mezz’ora: è tanto per un bambino di 14 mesi. Scendeva dal divano per andare dai giocattoli e continuava a guardare, da un altro punto della stanza. Camminava intorno al divano e guardava sporgendosi da dietro. Poi, ha smesso, mezz’ora è il limite della sua attenzione, e ho stoppato. Il giorno dopo ho ripreso da dove eravamo arrivati, anzi, un po’ prima; e ancora così il giorno dopo. A puntate».
sergio leone tarantino
Lei è stato figlio unico di una ragazza madre. Suo padre, Tony Tarantino, di fatto non l’ha conosciuto.
«Non sono stato cresciuto dalla parte italiana della famiglia. Non mi sentivo dire “i tuoi genitori e i tuoi nonni sono italiani”, anche se qualcosa arrivava dai film. Molti di quelli che frequentavo a Hollywood non sapevano neanche fossi italiano, a parte il cognome, ma una caratteristica che mostra inequivocabilmente la mia italianità è che se un amico mi tradisce, è finita. Nessun ritorno, porta chiusa per sempre».
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Qual è il film preferito di sua moglie?
« Inglourious basterds, perchè ci ha fatti conoscere quando sono andato in Israele a presentarlo».
Facciamo un salto agli Anni 90: il mondo scopre il suo cinema e la musica dei Nirvana. Nell’album In utero Kurt Cobain omaggia Le iene . Il grunge e il pulp, le ultime rivoluzioni.
margot robbie alla conferenza stampa di cannes 1
«È meraviglioso che gli piacesse il mio film. Credo perché è un film da tour in pullman, il tipico film che, se hai la videocassetta, quando ti sposti da un’esibizione all’altra, da uno stato all’altro, la metti anche solo per rivedere le scene che ti piacciono. Voleva incontrarmi, ma stavo finendo Pulp fiction, ci siamo detti di vederci a lavorazione finita, ma lui non ci è mai arrivato, è morto prima».
Lei è un grande fan di Bob Dylan, vi siete mai incontrati?
brad pitt in c'era una volta a hollywood
«A metà anni Novanta era il proprietario della palestra di boxe in cui mi allenavo, l’ho conosciuto lì, ogni tanto parlavamo. Un paio di volte abbiamo incrociato i guantoni per allenamento».
Chi ha vinto?
«Non era un incontro da cui uno dei due sarebbe uscito vincitore, gli facevo da sparring partner. Lui combatteva e io facevo da aiuto, incassavo tutti i suoi pugni e lo colpivo quando abbassava la guardia. Lui doveva colpirmi, io solo quando commetteva qualche errore».
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Ha fatto a pugni con un suo mito...
«Non gliel’ho mai detto, che era un mio eroe, che la sua musica era così importante per me. Molto tempo dopo gli ho accennato, en passant, a una sua canzone che adoro, ma prima non una parola sulla sua carriera. Mai. Parlavamo di musica, questo sì, ma non di lui».
margot robbie nel ruolo di sharon tate in c'era una volta a hollywood
Il regista Spike Lee l’ha accusata di spettacolarizzare lo schiavismo, con Django Unchained, per l’uso reiterato della parola “negro”. Lei ha risposto che uno scrittore ha il diritto di dire la verità ma non ha il diritto di dire falsità e gli schiavisti parlavano così. Vietare di usarla a qualcuno perché è bianco, disse lei, è razzismo.
«Da bambino giocavo con i miei pupazzi G.I. Joe, creavo scene di film d’azione. Capitava che mia mamma mi sentisse dire “Ho capito, figlio di puttana” o “Bastardo, fatti sotto!”. Mi chiedeva perché usassi quel linguaggio. E io: “Non sono io mamma, è il personaggio!”».
Negli Usa dopo l’epoca di Trump è tornato il politicamente corretto.
quentin tarantino 2
« In America i decenni vanno per ondate, il vento tira prima qua poi là. Dopo i Settanta sono arrivati gli Ottanta, periodo nero al cinema per il politically correct, la sua timidezza. Ora pare che stiamo attraversando gli Ottanta 2.0 ma la ruota prima o poi gira dall’altra parte, quindi siccome ora abbiamo gli Ottanta 2.0 arriveranno i Novanta 2.0. Nel 2028 saremo stufi di tutto questo, l’onda farà una bella risacca e si tirerà indietro».
leonardo dicaprio e quentin tarantino a cannes
Nei suoi film Hitler viene ucciso dagli ebrei, gli schiavisti d’America da un pistolero nero e gli hippies di Manson da un precario di Hollywood. Chi merita il trattamento Tarantino oggi: i fanatici della Silicon Valley?
«Ragiono per trilogie e quella storica è finita. Ora solo progetti di scrittura».
Oltre a Elmore Leonard, quali scrittori l’hanno influenzata?
Tarantino, Pitt, Dicaprio
«Pauline Kael, la critica del New Yorker. Con la sua scrittura estetica mi ha influenzato nella scrittura e nei film: mi ha insegnato più cose lei sul cinema che qualsiasi altro regista con i suoi film».
È lei che scritto “Hollywood è il posto dove puoi morire di incoraggiamento” ?
«Sì. La conosce?»
tarantino weinstein
Solo questa frase, colpisce. Nel documentario QT8 , Michael Madsen, suo attore e amico, racconta di una cena a Cannes in cui eravate con Harvey Weinstein, la moglie e la figlia, che voleva dare la sua bambola a Madsen ma Weinstein gliela strappò via. Si ricorda la scena?
«Sì, è una grande storia, e la parte in cui compare Madsen è la migliore del film. Però non mi ricordo altro».
quentin tarantino e daniella pick 1 QUENTIN TARANTINO A ROMA PER PRESENTARE C ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD c era una volta a hollywood tarantino quentin tarantino e margot robbie alla conferenza stampa di cannes margot robbie alla conferenza stampa di cannes sharon tate roman polanski sharon tate 2 sharon tate roman polanski once upon a time in hollywood margot robbie sharon tate uccisa a los angeles nel 1969 da charles manson margot robbie, quentin tarantino, leonardo di caprior e brad pitt margot robbie, quentin tarantino, leoanrdo di caprio brad pitt margot robbie e leo di caprio sharon tate e roman polanski 4 trailer once upon a time in hollywood 2 trailer once upon a time in hollywood 3 trailer once upon a time in hollywood 5 trailer once upon a time in hollywood 1 once upon a time in hollywood 6 once upon a time in hollywood 7 once upon a time in hollywood 4 trailer once upon a time in hollywood 9 SHARON TATE leonardo di caprio, margot robbie e la moglie di tarantino QUENTIN TARANTINO A ROMA PER PRESENTARE C ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD