Estratto dell’articolo di Giacomo Fasola per www.corriere.it
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Diceva Pablo Escobar: «L’unico uomo di cui ho avuto paura nella vita era una donna e si chiamava Griselda Blanco». Soprannominata «la madrina» e «la reina», Blanco ebbe un ruolo di primissimo piano nel gestire il traffico di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti negli anni Settanta e Ottanta. Nello stesso periodo i suoi uomini misero a ferro e fuoco Miami per conquistarsi il controllo dello spaccio di droga in città.
La serie Griselda , da settimane in cima alle preferenze degli utenti di Netflix, ricostruisce la sua parabola prendendosi molte licenze narrative (soprattutto sulla cronologia dei fatti) e dedicando appena qualche secondo a una storia nella storia che ha dell’incredibile: il modo in cui Blanco, con l’aiuto più o meno consapevole del suo sicario di fiducia Jorge «Rivi» Ayala, riuscì a evitare la pena di morte nonostante le decine di omicidi che aveva ordinato. Ecco come andarono davvero le cose.
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Griselda Blanco nasce a Cartagena il 15 febbraio 1943 e si trasferisce a tre anni a Medellín insieme alla madre. La sua infanzia è molto dura: da ragazzina fa la borseggiatrice, a 19 anni scappa di casa per sfuggire agli abusi del patrigno e inizia a prostituirsi.
Un anno dopo conosce Carlos Trujillo: i due si sposano e hanno tre figli, Dixon, Osvaldo e Uber. Trujillo e Blanco iniziano a spacciare marijuana in Colombia. Nel 1964, dopo il divorzio da Trujillo e il secondo matrimonio con il trafficante Alberto Bravo, Blanco entra illegamente negli Stati Uniti con documenti falsi. I due avviano un’attività di spaccio a New York, ma nel 1975 Griselda, braccata dalla polizia, è costretta a tornare in Colombia. Quando rientrerà negli Usa, pochi mesi dopo, sarà per diventare «la madrina». […]
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Il 17 febbraio 1985 «la madrina» viene arrestata nella sua casa di Miami con l’accusa di cospirazione per la produzione, l’importazione e la distribuzione di cocaina, e condannata a scontare 15 anni di carcere. Ma non può finire così. Negli anni successivi lo Stato della Florida, dov’è ancora in vigore la pena di morte, tenterà in tutti i modi di processare Griselda Blanco per tutti i crimini e gli omicidi che aveva ordinato. E qui arriviamo a Jorge Ayala.
[…] Il suo omicidio più famoso è quello di Johnny Castro, un bimbo di appena due anni. Johnny era figlio di Jesus «Chucho» Castro, un altro sicario alle dipendenze di Griselda. Quando «la madrina» decide di punire Chucho, pare per via di uno sgarbo a uno dei suoi figli, invia proprio Rivi Ayala: Jesus si salva, ma nella sparatoria rimane coinvolto il piccolo Johnny, ferito a morte.
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Ayala viene arrestato all’inizio degli anni Novanta perché coinvolto in una rapina a Chicago. Quando la polizia si accorge di avere a che fare con il sicario preferito di Griselda Blanco lo mette davanti a un bivio: collaborare con giustizia oppure affrontare un processo che l’avrebbe portato con ogni probabilità alla pena di morte. Ayala sceglie di collaborare e si trasforma nel grande accusatore della «madrina».
Nel 1993 Jorge «Rivi» Ayala si dichiara colpevole di tre omicidi e viene condannato all’ergastolo, con la possibilità di chiedere la libertà condizionata dopo 25 anni. La mandante di quei tre omicidi, dice Ayala durante il processo, è Griselda Blanco.
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Per cinque anni la Procura lavora per inchiodare «la madrina» e Ayala è un pezzo fondamentale del puzzle accusatorio: in mancanza di Dna, impronte digitali e materiale balistico, il sicario è infatti l ’unico testimone in grado di collegare Griselda Blanco alle decine di omicidi che aveva ordinato negli anni della guerra della droga.
Nel 1998, però, esplode uno scandalo. Si scopre che Rivi Ayala aveva inviato assegni a tre segretarie dell’ufficio del procuratore di Miami-Dade che si occupa del caso, e che queste li avevano riscossi. Non è tutto: viene fuori che dal carcere Ayala intratteneva con loro rapporti sessuali al telefono.
Le tre segreterie sono immediatamente sospese. Una di loro viene poi scagionata, mentre le altre due, Sherry Rossbach e Raquel Navarro, vengono licenziate. Lo scandalo, con tanto di intercettazioni delle telefonate erotiche pubblicate dai giornali, fa perdere ogni credibilità alla Procura, anche perché le protagoniste dello scambio di soldi e delle telefonate avevano accesso a tutte le carte sul caso.
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Una volta tolto di mezzo il testimone chiave, Blanco può sedersi al tavolo e contrattare. Il processo si conclude con un patteggiamento: Blanco si dichiara colpevole di tre capi di imputazione per omicidio di secondo grado e viene condannata a vent’anni. Lo scandalo l’ha salvata dalla pena di morte, mentre rimangono i dubbi sui reali obiettivi di Ayala. Aveva avviato quelle relazioni per puro piacere o per salvare la sua vecchia madrina ? La serie tv Griselda sceglie la seconda strada.
Nel 2004 Griselda Blanco viene scarcerata per motivi di salute e deportata in Colombia. Si è convertita al cristianesimo e cambia vita, ma questo non le permette di salvarsi dai suoi tanti nemici. Nel 2013 viene uccisa davanti a una macelleria di Medellín da un sicario in motocicletta: ironia della sorte, è lo stesso di metodo di uccidere che gli uomini di Blanco utilizzavano durante gli anni della guerra della droga. […]
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Meritano un capitolo a parte i mariti di Griselda Blanco. Carlos Trujillo rimase socio in affari di Griselda anche dopo il divorzio, finché l’ex moglie non decise di farlo uccidere per via di un affare andato male. La stessa sorte capiterà agli altri due mariti, Alberto Bravo e Dario Sepulveda, con cui Blanco aveva avuto il quarto figlio Michael Corleone (chiamato così in onore del personaggio interpretato da Al Pacino nel film Il Padrino).
[…] Dixon, Osvaldo e Uber, i tre figli di avuti da Griselda Blanco con Trujillo, sono stati uccisi negli anni in cui «la madrina» era in carcere. L’unico sopravvissuto è il più giovane, Michael Corleone. Dopo un’infanzia difficile, con la mamma in carcere, il papà fatto assassinare dalla stessa madre e i fratelli uccisi uno dopo l’altro, nel 2012 Michael Corleone Blanco è stato messo ai domiciliari per traffico di cocaina. Oggi, tra le altre cose, gestisce un marchio di abbigliamento: si chiama Pure Blanco. […]
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