Estratto dell’articolo di Alberto Anile per “Robinson - la Repubblica”
pedro almodovar - l ultimo sogno
Pedro Almodóvar ha sempre rifiutato di scrivere autobiografie, e pure di farle scrivere ad altri. «Continuo a provare una specie di allergia immaginando un libro che parli interamente di me come persona», sostiene. Perciò la pubblicazione di L’ultimo sogno (Ugo Guanda editore, traduzione di Bruno Arpaia) è una importante, seppur parziale, eccezione. Stuzzicato da una segretaria che aveva ritrovato alcuni suoi vecchi testi, il regista spagnolo li ha riletti e riordinati […].
L’eccezione è parziale perché su dodici pezzi raccolti solo quattro sono esplicitamente autobiografici, gli altri essendo testi narrativi, scritti in epoche e con ambizioni diverse. Ed è parziale anche perché non del tutto nuova; un’operazione analoga era stata effettuata con Patty Diphusa e altre storie, pubblicato da Frassinelli e poi da Einaudi, mentre il testo più sofferto, quello che dà titolo al libro di Guanda, era già apparso in Tutto su di me, un librone di interviste edito da Lindau a cura di Frédéric Strauss.
pedro almodovar penelope cruz
Ma l’antologia regge bene, e pur mettendo insieme testi redatti quando Almodóvar aveva vent’anni con altri concepiti pochi mesi fa mantiene miracolosamente un suo equilibrio e una sua ragion d’essere. Che riguarda più il suo autore che il suo contenuto.
Almodóvar non è uno scrittore indimenticabile, lui stesso lo ammette senza problemi. «A prima vista sembra che l’autore di una buona sceneggiatura sia capace di (e sia chiamato a) scrivere un buon romanzo», spiega nell’ultimo testo. «Scrivere una buona sceneggiatura non è facile, richiede tempo e ore di solitudine (e astuzia narrativa), e di essere un po’ spietati con sé stessi; ma tutto questo non fa sì che una buona sceneggiatura si trasformi in un romanzo».
Ciò che qui il lettore cerca – e trova – sono alcune tessere per comporre meglio il puzzle enigmatico che costituisce la personalità del regista. L’amore per il cinema sbuca sempre, anche nei testi narrativi non autobiografici (si citano Capriccio spagnolo, Se mi lasci ti cancello, Gente di Dublino, I magnifici sette), e questo stupisce poco.
strange way of life di pedro almodovar 12
Né meraviglia lo spazio e l’attenzione per i personaggi femminili, sia che racconti di Patty Diphusa, la spassosa pornostar eroinomane creata nel 1979 (Confessioni di una sex- symbol), sia che riscriva in forma di fiaba distopica la storia della regina Giovanna la pazza, facendone il « simbolo di tutto ciò che c’è di sublime e irrazionale nello spirito spagnolo» (Juana, la bella squilibrata).
Colpisce semmai la quantità di contenuti e riferimenti religiosi, ingredienti a lento rilascio di un’educazione fertile quantomeno a livello di traumi. Fra tutti, il testo più godibile è La redenzione, in cui un Cristo divinamente perplesso fa lega con il rozzo Barabba, e in un finale beffardo finisce per scappare insieme a lui evitando morte e resurrezione; scritto fra 1967 e 1970, prima che Almodóvar venisse inghiottito dalla movida madrilena e da un nuovo vortice creativo, La redenzione ha la sfrontatezza goliardica dell’adolescente ansioso di vendicarsi di superiori ed educatori, ma anche la vitalità e il controllo di un talento sulfureo in rapida maturazione (di questo Almodóvar allegramente blasfemo esiste almeno un altro racconto, che io sappia ancora inedito, in cui la Vergina Maria mandava all’aria l’Annunciazione tagliando con le forbici la corda che teneva sospeso l’Arcangelo).
PEDRO ALMODOVAR A VENEZIA
È della stessa epoca Vita e morte di Miguel, una biografia à rebours che comincia dalla nascita in una bara e finisce con la morte dentro l’utero della madre, scritta senza nulla sapere del Curioso caso di Benjamin Button di Francis Scott Fitzgerald (poi film per la regia di David Fincher), e non indegna di possibili confronti.
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I testi più strettamente autobiografici parlano invece della scomparsa della madre (L’ultimo sogno) e della cantante Chavela Vargas (Addio, vulcano), divagano fra Andy Warhol e Leïla Slimani (Memorie di una giornata vuota) e regalano alcune interessanti riflessioni sulla scrittura (Un brutto romanzo, dove fra l’altro osa criticare Parasite di Bong Joon- ho, la cui terza parte «è un altro film» : e come dargli torto?).
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Più un quinto testo che è l’Introduzione stessa, a inquadrare storicamente i vari racconti («io chiamo tutto racconto, non faccio distinzioni di generi»), e insieme a dichiarare, senza oziose modestie, che questa raccolta «mostra lo stretto rapporto tra ciò che scrivo, ciò che filmo e ciò che vivo». Più autobiografico di così...
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