Fabrizio Boschi per “il Giornale”
pier luigi boschi
Proprietà privata. Dopo il vialetto sterrato, all'ingresso di casa Boschi in via Sandro Pertini 13 a Laterina (17 chilometri da Arezzo), da ieri è apparso un cartello rosso e bianco che ha il sapore dell' avvertimento. Nell'abitazione rosa a tre piani, in piena zona industriale, dove vive la famiglia del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, fino a poco tempo fa non esistevano recinzioni. Tutto aperto. Per motivi di sicurezza, a seguito della bufera che ha investito il padre Pier Luigi, e per tenere alla larga i curiosi (leggasi giornalisti), l'immobile si sta trasformando in una specie di fortino, con una siepe altissima e un muro di cinta bianco latte.
lorenzo rosi pier luigi boschi
All'altezza dei due pilastri dove manca ancora il cancello, non c'è il campanello, per cui l'unico modo per suonare è entrare nella proprietà, fino alla porta d'ingresso. «Non vogliamo rilasciare dichiarazioni. Questa è proprietà privata. La invito ad uscire», dice una voce cortese ma scocciata dalla finestra.
Mamma Stefania, ex vice sindaco del paesino e babbo Pier Luigi, ex vice presidente di Banca Etruria, si chiudono a riccio. Motivi per tacere ne ha a mazzi il procacciatore d'affari di Laterina: non solo dopo l' 8 febbraio (giorno in cui si riunirà ad Arezzo il collegio fallimentare) rischia di finire nel registro degli indagati per bancarotta, ma rischia anche un'altra salatissima sanzione dalla Banca d'Italia che gli muove undici contestazioni. Bankitalia che ieri si è beccata la denuncia per danni dalla Fondazione della Cassa di risparmio di Jesi, la più piccola delle tre che controllavano Banca Marche, messa in risoluzione.
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Bocche cucite anche dalla procura di Arezzo. Da giorni il procuratore capo, Roberto Rossi, che sta seguendo le indagini sul crac della banca, sfugge garbatamente alle domande. Ieri non si è nemmeno presentato in ufficio. «È fuori Arezzo per lavoro», dice la segretaria. Il suo sostituto Angela Masiello, che fa parte del pool anti-truffati, assicura: «Stiamo lavorando bene, presto ci saranno novità».
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L'unica mossa che trapela dal tribunale è che la Finanza sta per tornare nella sede di Banca Etruria per acquisire le comunicazioni fra gli ex vertici e le filiali. E scoprire se la vendita delle obbligazioni tarocche sia stata un'iniziativa degli impiegati o se invece sia stata ordinata dall' alto. Forse è per questo che la banca ha assunto uno psicologo per aiutare i dipendenti colpiti dai sensi di colpa.
L'unico che si sbottona siede proprio al secondo piano della sede di via Calamandrei: parla dal suo ufficio a vetri, Roberto Bertola, 68 anni, piemontese di Saluzzo, richiamato dalla pensione per ricoprire il pesante incarico di amministratore delegato di Nuova Banca Etruria, dalla mattina del 22 novembre scorso: «Siamo una delle banche più solide d'Europa, saldi positivi, zero sofferenze». E ha ragione a dirlo visto che il decreto ha fornito all' istituto 700 milioni di liquidità e 442 di capitale.
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«Tutti la vogliono ma nessuno la piglia», è il caso di dire. Ieri sera alle 18 scadeva il termine per le offerte di acquisto, ma ancora non è venuto fuori il nome del corteggiatore più interessato. «Lo spezzatino non sarebbe una bella cosa», dice Bertola. Il suo arrivo oltre ai soldi ha portato soprattutto un' iniezione di ottimismo, per questo tutti lo hanno accolto come una manna dal cielo: «Ho trovato una bella squadra. Riusciremo a salvare la banca e tutti i risparmiatori».
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L'esperienza non gli manca, non fosse altro per essere stato direttore generale del Banco di Sicilia e per averlo tirato fuori dalle pastoie: «Mi hanno dato pure la cittadinanza onoraria di Palermo». Sopra un mobile ha messo una cravatta con dentro un fil di ferro lasciata da qualcuno fuori da una delle filiali: «La guardo ogni giorno, per ricordarmi che non possiamo più sbagliare».