Estratto dell'articolo di Paola Pollo per www.corriere.it
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Papà Giacomo quando ancora era una ragazzina decise di insegnarle il palermitano, quello del centro, dei mercati di Ballarò e della Vucciria. «Eva devi parlarlo meglio di tutti noi, così non penseranno che sei una turista ma una del posto e ti tratteranno di conseguenza», le diceva. «E così il mio dialetto è il più dialetto della famiglia. E pensate le facce quando facevo la spesa al mercato, alta e bionda e con la erre arrotolata, non appena cominciavi a parlare in siciliano stretto ma stretto, dall’altra parte del banco quasi svenivano».
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Già, chissà. Poi, forse, è da qui che comincia la Eva Riccobono che ride e scherza e stupisce. Quarant’anni tondi tondi, è stata fra le modelle più famose al mondo, ora è attrice e scrittrice. È lei che ci porta per mano nella Palermo in cui è nata e cresciuta, da padre siciliano e mamma tedesca: «Fino a 19 anni non mi sono mai mossa da lì» racconta oggi entusiasta di parlare della città che è il suo cuore.
«Poi ho cominciato a viaggiare, e parecchio, direi. Ma lì sono le mie radici, il mio tutto. Ogni anno ci torno con i bambini e Matteo ( Ceccarini, suo marito, ndr): ci sono la mia famiglia (i genitori e le due sorelle, ndr), gli amici, gli affetti. A Pasqua e a fine agosto. E quando arrivo sono Eva. Eva e basta […]».
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Il luogo del cuore?
«In assoluto è un paesino vicino che si chiama Scopello. Un luogo bellissimo dove io vivevo da giugno fino a settembre, finita la scuola. C’era questa piazza e questa gebbia ( tipica vasca-cisterna usata in campagna, ndr) dove l’acqua era potabile e noi ci divertivamo un sacco. Ci conoscevamo tutti e anche oggi quando vado ritrovo la gelataia di quando ero ragazzina e altri volti amici, mi si apre il cuore. Un posto magico insomma, dove mangiavo, ma in realtà lo mangio ancora, il panino “cunzato” più buono al mondo: pomodoro, primo sale, origano, acciughe, olio buono e pane cotto nel forno a legna. Puoi cercare di replicarlo ovunque, perché la ricetta è semplice, ma come in piazza a Scopello, mai!».
In città?
«I posti più belli di Palermo sono i quartieri del centro storico, quelli che partono dal vero cuore della città, i Quattro Canti, dunque i vecchi mercati cioè Ballarò o la Vucciria. Oggi le nuove generazioni hanno deciso di prenderli in mano e di ri-vitalizzarli. E ora sono quartieri sicuri che la notte si trasformano: i vicoli e le botteghe artigianali che si riempiono dal tramonto in poi di giovani. Con un’offerta di street food incredibile, di cibo e di vino e di birre artigianali. Lì sono proprio cresciuta facendo le serate più belle della mia vita, semplicemente stando in piedi a chiacchierare per le stradine. Un po’ fatiscenti, è vero.
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Ma proprio per questo puoi respirare anche così la storia e la cultura della mia città e la diversità dell’architettura e della gente. Poi c’è una socialità incredibile. Sei con un amico e ne conosci altri cinquanta. Mi succede anche tutt’ora, quando “scendo”. In questi ultimi anni trovi poi molti giovani artisti alternativi stranieri: pittori, scultori, scrittori; tedeschi, inglesi o francesi che stanno lì e ti raccontano le loro storie e del loro innamoramento per Palermo che piace perché autentica. […]».
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[…] C’è una comunità meravigliosa di persone fatta dei nuovi nuclei familiari di palermitani che hanno sposato ragazze venute dall’Africa e viceversa. E l’integrazione è diventata realtà […]».
Imperdibile?
«Il cibo: arancine, caponata, polpo fresco, ostriche e pane con la milza. Cosa te lo dico a fare? Penso sia lo street food di più alta qualità al mondo. C’è questo e quello, semplicità e tradizione. E il gelato, poi! Non c’è gelateria palermitana che non sappia farlo come si deve: su tutti i gusti, la cremolata che sembra una granita ma non lo è».
Il luogo “segreto”?
«Il quartiere Kalza con le sue chiesette e le sue piazze. A 22 anni me lo fece scoprire mio padre. Prendendo la patente a Milano, capii che alla fine non conoscevo così bene la mia di città. […] E poi il quartiere Ballarò, che è il più nominato e conosciuto ma non per questo ogni volta non mi stupisce. C’è sempre una sorpresa dietro l’angolo. Come quella volta che arrivai e mi ritrovai un megaschermo dove si proiettava un film d’autore. O quando mia sorella mi disse “vestiti che usciamo per andare a una festa in verticale pazzesca”».
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Festa in verticale?
«Anche io non sapevo cosa fosse. Me lo spiegò lei: le organizzano le famiglie di uno stesso palazzo. Ad ognuno un compito. Quella volta invitavano gli inquilini di una casa tutta abitata da nordafricani: così trovavi il couscous al primo piano e i dolcetti al miele all’ultimo. Negli altri, musica e bevande e tanta, tantissima accoglienza e calore».
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Un profumo di Palermo?
«Quello del mare che si infrange sulle scogliere. Che è diverso da quello che senti sulla spiaggia. È unico, lo riconosco appena atterro all’aeroporto e percorro la litoranea che mi porta in città».
[…]
La Palermo che non consiglia?
«La mia città ha un solo difetto, cioè che la sia ama così tanto da non vederne le pecche per troppo desiderio di protezione. Penso alla pulizia. Palermo potrebbe competere con qualunque altra meraviglia se solo qualcuno prendesse in mano la situazione. […]».
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La Palermo che gli non si aspettano, ma che c’è?
«Quella che abbiamo visto la scorsa settimana. Che fa parte del carattere dei palermitani: l’unione. Centinaia di persone e famiglie dei dintorni, nelle campagne, che si sono date una mano le une con le altre per spegnere gli incendi. E prima che arrivassero gli aiuti. Questo può succedere anche per strada. Se ti succede qualcosa c’è sempre qualcuno che si offre di aiutarti. Ci sono disponibilità e solidarietà. Noi ci proteggiamo e proteggiamo chi è accanto a noi. […]».
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Uno scrittore per scoprirla ancora meglio?
«Tra i Pirandello e i Camilleri dico anche Goliarda Sapienza, una scrittrice donna che a me piace molto. Il suo L’arte della gioia che mi fu consigliato da una signora armena che era seduta accanto a me a una sfilata mi ha aperto un altro mondo».
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