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    EVER GREENE - IL LIBRO “ROULETTE RUSSA” RIPERCORRE L’INCREDIBILE VITA DI GRAHAM GREENE, L’UNICO SCRITTORE DI GIALLI CHE GIÀ IN VITA SI AVVICINÒ ALLO STATUS DI GRANDE AUTORE NONOSTANTE I GIALLISTI FOSSERO CONSIDERATI DI SERIE B – LA SUA VITA DA ROMANZO: GIORNALISTA IN GIRO PER IL MONDO, AGENTE DEI SERVIZI SEGRETI BRITANNICI, TESTIMONE DELLA GUERRA IN VIETNAM E DELLA RIVOLTA DEI MAU-MAU. IL DOPPIO GIOCO DELLA SPIA KIM PHILBY E QUELLA NOTTE CON FIDEL CASTRO IN CUI…


     
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    Enrico Franceschini per “il Venerdì di Repubblica”

     

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    I giallisti d'oggi sono usciti dal ghetto: nessuno li considera più esponenti di un genere minore, se non altro perché è il genere con più lettori. Ma non era così una volta, quando il giallo, noir, thriller, murder mistery, detective story o spy story, a seconda delle diverse classificazioni, veniva catalogato come la serie B della narrativa.

     

    Eppure, i maestri della specialità non appartengono al nostro tempo, in cui nessun intellettuale si vergogna più di avere una libreria piena di gialli, bensì proprio a quella prima èra nella quale non ricevevano piena dignità dalla critica: il belga Georges Simenon, l'americano Raymond Chandler e l'inglese Graham Greene. Dei tre, è quest'ultimo a essersi avvicinato di più, già da vivo, allo status di grande autore: tanto da venire selezionato due volte, nel 1966 e nel 1967, tra i candidati al premio Nobel per la letteratura.

     

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    Fra le sue venticinque opere spiccano titoli diventati dei classici, entrati nel canone della letteratura mondiale: La roccia di Brighton, Il potere e la gloria, Il nocciolo della questione, Fine di una storia, Un americano tranquillo, I commedianti. Senza dimenticare gli entertainments, come li definiva: Una pistola in vendita o Il nostro agente all'Avana.

     

    Il "battesimo" indocinese

    Ciò che differenzia Greene da Simenon e Chandler, oltre che dalla stragrande maggioranza degli scrittori contemporanei, è che i romanzi non si è limitato a scriverli: ne ha vissuto uno lui stesso. È stato giornalista in giro per il mondo, agente dei servizi segreti britannici, viaggiatore inquieto, testimone di molti degli eventi chiave della sua epoca: la guerra in Vietnam, la rivolta dei Mau-Mau, il doppio gioco della spia Kim Philby, l'ascesa di Fidel Castro, le rivoluzioni e i golpe dell'America Centrale. Forse soltanto Ernest Hemingway ha pescato così intensamente dalle esperienze personali per i propri libri. Per questo la biografia che esce il 1° aprile in Italia, Roulette russa. La vita e i tempi di Graham Greene (Sellerio, pp. 876, euro 24, traduzione di Chiara Rizzuto), appropriatamente nel trentennale della morte, si legge davvero come un romanzo: qualcuno, attratto dal bel titolo, a sua volta da giallo, potrebbe addirittura pensare che sia un romanzo autobiografico, ma il Greene che ne è autore si chiama di nome Richard, apprezzato biografo inglese, e non è nemmeno suo parente.

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    L'incipit è folgorante: "Alla metà di dicembre del 1951 le forze coloniali francesi combattevano contro i nazionalisti vietminh per il controllo del Vietnam. Phat Diem era un'enclave strategica sul golfo del Tonchino, circa 120 chilometri a sud di Hanoi, ormai accerchiata dai guerriglieri. Mentre sbarcava da un mezzo che trasportava un reparto speciale francese, il 47enne Graham Greene, un uomo alto e perciò probabilmente facile bersaglio, vide gli edifici distrutti dai bazooka e il mercato in fiamme. La scena gli ricordò il blitz nazista su Londra, ma con molti più cadaveri, alcuni dei quali straripavano da un canale. Subito si imbatté in uno spettacolo che non avrebbe dimenticato: una madre con il minuscolo figlio morti in un fossato. Avevano vagato sotto il fuoco incrociato di francesi e vietminh, abbattuti da due soli colpi, a quanto pare francesi. Notò in particolare la perfetta rotondità delle ferite causate dalle pallottole".

     

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    Depressione e bipolarismo

    Come nei romanzi, a questo punto facciamo un passo indietro. Greene nasce nel 1904 in Inghilterra da una famiglia della buona società: sua madre era cugina di Robert Louis Stevenson, lo scrittore scozzese autore dell'Isola del tesoro. Vittima di bullismo a scuola, soffre di depressione e bipolarismo, tenta il suicidio più volte, conosce la psicoanalisi e, dopo avere studiato storia a Oxford (con un altro futuro grande scrittore come compagno di corsi, Evelyn Waugh), trova una cura nella scrittura: giornalismo, poesie, romanzi. Viaggia come inviato speciale, viene reclutato dall'MI6, il servizio di spionaggio (lo stesso del James Bond letterario e cinematografico), rimane affascinato dall'incontro con Castro a Cuba; da cattolico cresciuto in un paese anglicano, già questa una fonte di conflitti interiori, diventa agnostico, non meno intimamente tormentato sul tema della fede. Nel frattempo, si sposa, ha due figli, un'amante, si trasferisce in Costa Azzurra ad Antibes per starle vicino, quindi in Svizzera, a Vevey, sul lago di Ginevra, dove in quel periodo si è ritirato anche Charlie Chaplin, di cui diventa amico, e vi rimane fino alla morte, per leucemia, nel 1991.

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    Al pub con la spia Philby

    Dentro una vita da romanzo, qui c'è spazio per accennare solo a qualche capitolo. Il lavoro con Philby, superiore diretto nello spionaggio britannico, ma segretamente al servizio di Mosca: a Greene piaceva la sua compagnia, facevano lunghi pranzi alcolici la domenica nei pub intorno a St. James. La sua decisione di dimettersi dall'MI6 alla vigilia dello sbarco in Normandia, dopo avere contribuito a disinformare la Germania sui piani degli Alleati, potrebbe essere stata frutto di due fattori, scrive il biografo: o Philby aveva cercato di arruolarlo come spia sovietica, o Greene si era accorto che Philby era una spia e non voleva denunciarlo. "Phil stava servendo una causa e non sé stesso" avrebbe commentato lo scrittore molti anni dopo, "e ciò faceva rinascere la mia simpatia nei suoi confronti".

     

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    Le prime visite a Cuba, subito dopo la rivoluzione, quando cena al Floridita (lo stesso ristorante frequentato da Hemingway), da lui amato per le aragoste e i daiquiri. Le notti in un lebbrosario in Congo, in cui guarda le stelle, ascolta i pipistrelli vampiri che attraversano la foresta e gioca a dadi con i preti. Una sera a teatro a Londra con il suo ex compagno di studi Waugh per vedere Il rinoceronte di Ionesco interpretato da Laurence Olivier. Il mattino dopo sul Times esce una lettera di Greene che denuncia le torture francesi nella guerra d'Algeria ed Evelyn gli invia prontamente questo sarcastico bigliettino: "Vedo che mandi lettere ai giornali sulle torture in Africa. Perché non parli anche della tortura che ci ha inflitto ieri sera Laurence Olivier?".

     

    A Cuba con Fidel e "Gabo"

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    E poi l'ultimo incontro con Fidel, nel 1983: Greene raggiunge Cuba da Panama, su un piccolo aereo privato messogli a disposizione dal generale Torrijos, in precedenza usato dal dittatore Somoza. In quei giorni, all'Avana, c'è anche Gabriel García Márquez.

     

    I due scrittori si conoscevano già, uniti dalla stima reciproca e da simili idee politiche. Nottambulo come sua abitudine, Castro compare all'una di notte. Greene gli porta un messaggio di Torrijos, ma scherza: "Non sono il messaggero, sono io stesso il messaggio". Si accalorano tutti e tre parlando della situazione a Panama e della guerriglia in Salvador. Poi Gabo cambia discorso, chiedendo a Greene se è vero che ha giocato alla roulette russa. Greene risponde di sì e racconta le varie volte che si è puntato una rivoltella alla testa con un solo colpo in canna.

     

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    Fidel rimane colpito. Chiude gli occhi, calcola le probabilità e commenta che Greene non dovrebbe essere più vivo. "Non sono ancora morto, invece", replica lo scrittore. Fidel devia la conversazione sulla salute e gli domanda che regime dietetico e sportivo segua. "Nessuno" replica Greene. "Mangio e bevo quello che mi piace". Vanno avanti a chiacchierare fino all'alba.

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