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    "PRIMA DELLA PARTITA SOLO CAFFÈ, POCA ACQUA, E QUALCHE FICO SECCO PER LA GLICEMIA. SE SCAPPA DURANTE IL MATCH, TE LA TIENI" - FABIO CARESSA CONFESSIONS: "CON BERGOMI CI CONOSCIAMO COME NESSUNO. IO SO CHE LUI ODIA IL FORMAGGIO E AL RISTORANTE AVVISO IL CAMERIERE, LUI MI TOGLIE LE BRICIOLE DAL MAGLIONE" - "IO RIMORCHIONE? NO, UN PO' PER EVIDENTI LIMITI FISICI, UN PO' PER TIMIDEZZA" - "DOPO LA VITTORIA DEL MONDIALE NEL 2006, MI IMBUCAI A UN PARTY E RUBAVO BOTTIGLIE DI CHAMPAGNE. MI FERMARONO: " CHE CI FA QUI?" RISPOSI...


     
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    Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera”

    fabio caressa fabio caressa

     

    Una figuraccia in diretta l'avrà pur fatta.

    «Urka. Derby Roma-Lazio. Corner per i giallorossi. Rete. Grido come un pazzo nel microfono: "Bà-ptista! Juuulio Baptistaaaa, Baptista goool!". Il guaio è che quel giorno avevo una postazione troppo bassa e dei giocatori, in quel momento vedevo soltanto le gambe. Non era il brasiliano ad aver segnato, ma Mirko Vucinic in calzamaglia nera, volevo sprofondare».

     

    bergomi caressa bergomi caressa

    Però un secondo dopo sarà tornato carico a pallettoni, Fabio Caressa, 55 anni, conduttore e telecronista di punta, insomma «The Voice» di Sky Sport - in coppia di fatto da 23 anni con "Zio" Giuseppe Bergomi - quello della gioia mondiale di Berlino 2006 («Abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene») e delle lacrime piante per l'Italia che con i rigori espugna Wembley a Euro 2020. Domenica 14 agosto, alle 22.45, primo weekend lungo di campionato, torna con il suo Sky Calcio Club . «E dopo un anno di pausa, perché per l'entusiasmo rischi di andare sopra le righe, riprendo le telecronache di Champions o Europa League».

     

    Nel frattempo è sempre più social: 391 mila follower su Instagram, 150 mila iscritti in 7 mesi al canale YouTube, a botte di 10 milioni di visualizzazioni, roba da correre a prendersi un tè caldo (o freddo, semmai), come nel più classico dei suoi tormentoni.

     

    E a volte le si sarà intrecciata la lingua.

    FABIO CARESSA FABIO CARESSA

    «Eh. C'era un giocatore tedesco del Friburgo: tal Schwarzenopfeker, impronunciabile. Mi imballai alle prime sillabe: "SchwazSchwanz Schwap". Ripresi fiato. "Beh, diciamo che quando questo qui smetterà di giocare noi telecronisti saremo più contenti", conclusi».

     

    A 5 anni, sulle spalle di papà, sbirciava dalla finestra di casa, verso lo stadio Olimpico.

    «Per leggere sul tabellone i risultati dei primi tempi. Per Roma e Lazio si capiva già dalle urla».

     

    Prime prove di telecronaca?

    «Ore davanti al Subbuteo, con mio fratello Maurizio e il mio amico Pietro. Il calcio è sempre stata la mia passione. Si giocava per strada, ai giardinetti. A scuola scambiavo le figurine».

     

    Ruolo prescelto in partitella?

    «Laterale alla tedesca. Tecnica scarsa, gran corsa».

     

    caressa caressa

    Prometteva bene?

    «Un pippone. Non posso nemmeno dire che purtroppo mi sono fatto male al ginocchio, perché il ginocchio era sanissimo, non ero proprio bono , manco in eccellenza».

     

    A scuola invece un super-secchione.

    «Ho preso tutti 10, ottimo, poi 60 e 110. Pretendevo il massimo da me stesso».

     

    Dava ripetizioni di latino e greco ai compagni di liceo.

    «Ed ero più piccolo di due anni. "Non vi insegnerò le lingue, ma vi farò prendere dei bei voti", promettevo. Funzionava, alle interrogazioni facevano la loro figura».

    CARESSA CARESSA

     

    Primo lavoretto a 16 anni: collaboratore della rivista «Cioè», un cult tra gli adolescenti.

    «Scrivevo interviste con personaggi famosi, descrivendo l'incontro, che so, con Tony Hadley degli Spandau Ballet o con Simon Le Bon dei Duran Duran, ovviamente tutto inventato, però mi pagavano 50 mila lire, buttale via».

     

    Soldi spesi per...?

    «Per portare le ragazze a cena al ristorante, invece che in pizzeria, spesso con scarsi risultati».

     

    fabio caressa fabio caressa

    Rimorchione?

    «No, sono di tendenza monogamo, un po' per evidenti limiti fisici, un po' per timidezza. Ho avuto solo fidanzamenti lunghi, tranne nel periodo prima di mettermi con Bene».

     

    Benedetta Parodi, l'Angelo dei Fornelli, conosciuta nel 1997 e sposata 23 anni fa, l'11 luglio del 1999. Disse: «Incontrarla è stata la mia più grande fortuna». Lo pensa ancora?

    «Alla grandissima, mi ha cambiato la vita».

     

    Primo impatto?

    «Alla mensa di Sky. Aveva lo smalto blu alle mani, era simpatica, matta quanto basta. Poco tempo dopo la invitai al cinema. Rispose che voleva giusto vedere Romeo e Giulietta con Leonardo DiCaprio, mi sarei ammazzato. Andai, dopo un lungo aperitivo alcolico. All'intervallo volevo già morire, però giurai che era il film più bello che avessi mai visto».

     

    Com' era la sua vita prima di lei?

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    «Io vedevo il buio, Bene mi ha fatto vedere la luce, ero convinto di dover sempre combattere e lottare, invece lei mi ha insegnato a sorridere, a essere persino ottimista».

     

    In cosa invece non è riuscito a cambiarla?

    «Ero e resto l'uomo più disordinato del mondo, vincerei la Champions del caos. In albergo secondo Beppe faccio brillare la valigia al centro della stanza, che diventa invivibile per chiunque tranne che per me. Quasi ogni giorno mi presento da mia moglie disperato: "Bene, aiuto, ho perso il portafoglio". "Tranquillo, l'avrai messo chissà dove". Una volta lo ritrovai nel frigo».

     

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    Su, Benedetta avrà un difetto anche lei .

    «Non sopporta che si tocchino le sue cose. Se le sposti il caricabatterie, si arrabbia da matti».

     

    Su Instagram ballate i Gipsy Kings.

    «Anni fa mi trascinò ad un corso di latino-americano, con esiti così così, perché voleva condurre anche lì, come nella vita».

     

    Disordinato pure sul lavoro?

    «Nooo, precisissimo, svizzero. Mi porto dietro trenta pagine di appunti sui giocatori in doppia copia, poi magari non le leggo. E sono puntuale, una rarità, per un romano».

     

    Qualcosa può sempre andare storto.

    «A una partita di Coppa America in Argentina, due ore prima del fischio di inizio, in postazione non c'erano né cuffie né microfono. Alla fine arriva il tecnico, con una scatola di legno, due pulsanti e un'antenna, collegata a un'altra su un camioncino. Ovviamente non funzionava. Abbiamo fatto la telecronaca con un telefono».

     

    fabio caressa fabio caressa

    O ancora?

    «A volte è saltato il monitor, per cui commentavamo le immagini senza vedere quale replay stavano mostrando».

     

    Debutto in telecronaca?

    «Cesena-Lazio nel 1987 per TeleRoma56. Devo dire sempre grazie a mio padre che mi iscrisse al corso di Michele Plastino».

     

    Prima di andare in onda digiuna sette ore.

    «Solo caffè zuccherati a bomba. Acqua, poca. E qualche fico secco per la glicemia, come mi consigliò Josè Altafini».

    bergomi caressa bergomi caressa

     

    Non mangia nemmeno all'intervallo?

    «Scherza? La cosa che controlli di più è la posizione del bagno, hai quattro minuti al massimo o sei finito, io e Beppe studiamo logistica e percorsi. Se scappa durante il match, te la tieni».

     

    E se fa freddo?

    «Come un anziano spesso mi metto il plaid di pile sulle gambe, tanto non si vede».

     

    Lei e Bergomi siete inseparabili.

    «Una fratellanza assoluta. Lui molto lombardo, io il tipico romano, eppure tra noi c'è comunanza di anime. Ci conosciamo come nessuno. Io so che lui odia il formaggio e al ristorante avviso il cameriere, lui mi toglie le briciole dal maglione. Quando lavoriamo c'è simbiosi totale, stiamo incollati anche per 40 giorni, ma fuori ci vediamo pochissimo. Beppe è l'uomo migliore al mondo, gli affiderei la mia vita».

     

    Ve ne sono capitate di tutti i colori, tant' è che ci sta scrivendo un libro.

    BERGOMI E CARESSA BERGOMI E CARESSA

    «In Germania, nel 2006, Beppe non so come si ritrovò in un albergaccio. Il tizio alla reception gli chiese: "Lei è davvero Beppe Bergomi? Allora non è possibile che le abbiano prenotato questo posto, lo guardi bene". Lui si girò: c'erano persone che cucinavano con i fornelletti fuori dalla stanza. Scappò via come un razzo».

     

    Ti credo.

     «In Sudafrica, il taxi che ci accompagnava in hotel uscì da Port Elizabeth e imboccò una strada di campagna. Ci lasciò davanti a una catapecchia con la piscina rotta. Salimmo in stanza. La porta sbatteva contro il letto, tanto era piccola, per aprire la finestra occorreva montare sul materasso. E non c'era il bagno. Vidi Beppe che attraversava la sala della colazione: nudo, con l'asciugamano in vita, sacramentando, mentre cercava i bagni comuni per fare la doccia».

     

    caressa caressa

    Che ricorda di quella notte magica del 9 luglio 2006?

    «Tutta la partita, minuto per minuto. Dopo, mentre aspettavamo il pullman per Duisburg, 12 ore di viaggio, mi imbucai a un party e rubavo bottiglie di champagne da portare ai miei amici. Mi fermarono: "Lei che ci fa qui?" Risposi: "Sono campione del Mondo e non mi frega niente"».

     

    Colleziona mug, le tazzone da caffè.

    fabio caressa fabio caressa

    «Oltre 200. Quella che se si rompe faccio una tragedia è di Dart Fener, Guerre Stellari».

     

    Benedetta la lascia cucinare, ogni tanto?

    «Sì, ma mi sorveglia. Sono bravo con amatriciana e carbonara, i dolci invece non mi vengono mai, bisogna essere troppo precisi».

     

     Ha una fissa per i capelli.

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    «Balsamo tanto, sempre, li asciugo all'aria, pure d'inverno, li pettino con cura».

     

    E la passione del cachemire.

    «Mi indottrinò Gianluca Vialli: meglio un capo solo, ma bello, anziché tre modesti».

     

    I suoi veri amici, nel calcio?

    «Lui, Ale Del Piero, Buffon, Allegri, Gattuso, Gasperini, Spalletti, con cui pure ho discusso.

     

    Tre figli, Matilde, Eleonora e Diego.

    FABIO CARESSA FABIO CARESSA

    «Cerco di lasciarli liberi, però mi piace averli intorno. Sono bravi. Gli abbiamo insegnato il bello della famiglia, l'unità, la voglia di aiutarsi, il rispetto per il prossimo, anzi, tante cose le imparo ogni giorno io da loro».

     

    Diego come Maradona?

     «Per me. Per Bene invece come don Diego de la Vega, Zorro».

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