Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera”
FABIO FAZIO PAPA FRANCESCO
Alle sue spalle c'è una gigantografia del Cervino. Perché?
«Perché è la prossima vetta che vorrei raggiungere. Ma non so se alla mia età...».
Appena 58 anni.
«Ma mi sento un boomer , già è tanto che io sia riuscito ad arrivare, camminando, sul Monte Bianco. Hervé Barmasse, straordinaria guida alpina che mi onora della sua amicizia, mi ha lasciato una dedica di incoraggiamento».
fabio fazio
Non tutti conoscono questa sua passione per la montagna.
«Sono tante le cose che di me non si conoscono. E c'è da dire che mi sento molto a disagio nel parlare di me. Cerco di fare mia la lezione del grande Enzo Biagi: l'intervista perfetta è quella in cui chi fa domande resta un passo indietro, lasciando spazio a chi deve rispondere».
Con Flavio Caroli, suo grande amico e compagno di avventure televisive, ha scritto «Voi siete qui», un libro sull'arte. E lei in questo caso non fa solo domande, vero?
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«Per la maggior parte sì, Flavio è il grande esperto. Io faccio la parte di quello che vuol saperne di più, cosa vera, peraltro. Con esempi, aneddoti e analisi da parte sua, abbiamo cercato di far passare il messaggio che l'arte non è qualcosa di freddo e distante, ma è vicina a noi. È per strada, nella vita, nelle case dove entriamo».
Lei colleziona opere d'arte?
«No, ma colleziono ricordi. In vent' anni di Che tempo che fa ho avuto la fortuna di incontrare artisti, architetti e designer straordinari. Ricordo per esempio Vico Magistretti. O Ettore Sottsass. Quello che più mi ha colpito è stato Julian Schnabel: semplice, rigoroso, umile».
Che cosa voleva fare da ragazzo?
«Il giornalista».
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Ce l'ha fatta, no?
«Più o meno. Nella mia testa il giornalista vero è ancora quello che passa le ore in redazione o per strada a cercare le notizie. A casa mia, a Savona, non mancava mai il Secolo XIX , era una bibbia. Ma anche La Stampa e, ovviamente, il Corriere della Ser . Ho un grande rispetto per i giornalisti, tanto è vero che ho avuto l'onore di conoscere bene Biagi».
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Lei lo invitò in trasmissione nel 2004, in un momento difficile della sua vita.
«Mancava dalla Rai da due anni, da quando era stato ignominiosamente cacciato (la trasmissione Il fatto venne chiusa nel 2002 con una coda di polemiche, ndr ). Fu un rischio per la mia carriera? Certo. Lo rifarei? Ovvio. Ho sopportato per anni l'etichetta di buonista, non è stato facile, mi creda. Non sono un buonista, cerco solo di non essere un professionista dell'aggressività. Anche perché non lo so fare».
Vogliamo chiarire meglio questo punto?
«Ci sono giornaliste e giornalisti che vengono invitati in tv o che scrivono libri solo perché utilizzano l'arma dell'aggressività, dell'intrusione nelle vite degli altri. Ma così si smette di essere giornalista, si diventa qualcosa d'altro. Non dimenticherò mai la lezione che ricevetti da Fernanda Pivano. Mi disse che Hemingway una volta corresse un tema a sua nipote perché la bambina aveva iniziato il componimento con la parola "io". Ci vorrebbe meno "io", secondo me».
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«Io» e «Dio», due termini che il grande Scalfari accostava volentieri con spirito critico. Però lei ha intervistato il Papa. Com' è?
«Incredibile, se posso usare questa parola. Quell'uomo per me è una costante fonte di conforto. Quando mi sembra che tutto vada a rotoli, io rileggo le sue parole, così vere e piene di umanità. Era da tempo che, tramite i suoi bravissimi collaboratori, cercavo di invitarlo in trasmissione. Lui, la prima volta, mi disse: "Fabio, non è ancora il momento, quando arriverà ce ne accorgeremo entrambi, accadrà e basta"».
E poi che cosa avvenne?
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«Poi un giorno mi trovavo in studio a fare il montaggio del programma, quando suonò il telefono. Numero sconosciuto. Di solito non rispondo mai quando non riconosco chi chiama. Però quel giorno, non so perché, risposi. Dall'altra parte arrivò una voce: "Sono il Papa". E io dissi: "Oh, mamma mia". E lui: "No, al massimo può dire oh, Papa mio". Iniziò così una delle avventure più belle della mia vita».
Me ne racconta un'altra?
«In trasmissione da me sono davvero venuti tutti. Posso raccontarle l'emozione di intervistare un grande scrittore come David Grossman, il quale aveva da poco perso un figlio. Non parlammo mai di quella perdita, ma lasciammo che trasparisse dalle sue parole. Spesso è più importante quello che non viene detto. Lo capisco adesso, che sono vicino alla pensione».
La pensione?
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«Eh cara mia, ho quasi sessant' anni, lavoro da 40 e se dovesse passare la cosiddetta "quota 103" io tra due anni lascio. Ho fatto tanto, ho visto tanto, ho una bellissima famiglia. La pensione non mi spaventa».
Due figli, Michele e Caterina, un lungo e felice matrimonio con Gioia Selis. Come vi siete conosciuti con sua moglie?
«Devo proprio parlare di me?».
Onoriamo Cesare Zavattini e il suo indimenticabile «Parliamo tanto di me».
«Io e Gioia ci siamo conosciuti durante una recita scolastica, pensi un po'. O, meglio, lei recitava e io ero parte della giuria che doveva dare i voti. Evidentemente quei voti furono buoni perché siamo ancora qui a parlarne».
Le ha mai detto «ti amo»?
«Più di una volta».
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Perché i salviniani detestano così tanto Fabio Fazio?
«E che ne so».
Forse perché lei è assimilato alla sinistra.
«Se così fosse, ogni volta la sinistra dovrebbe difendermi dagli attacchi, non crede? Invece, silenzio. Evidentemente non sono uno inquadrabile, sono un bersaglio facile perché non ho etichette anche se, certo, sono un progressista».
Salvini è stato ospite nella sua trasmissione, ma fuori vi siete mai incontrati?
«Va bene tutto, ma incontrarci anche fuori...».
Troppo, vero?
«Be', quando tu sei a tavola con la famiglia, con la tv accesa e dal telegiornale arrivano attacchi diretti, diciamo che non fa piacere».
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E poi lei è amico di Saviano.
«Un gigante».
Ed è amico di Burioni.
«Era necessario un presidio scientifico in televisione, specie in questa epoca così anti scientifica».
Ed è amico della Littizzetto.
«Non sono solo suo amico, il talento di Luciana è qualcosa di indiscutibile».
Qual è la cosa più cattiva che lei abbia mai detto?
«Non ci casco».
Allora la cosa che più la annoia.
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«Mi annoio da solo, mi creda. Non riesco a stare in mia compagnia per più di un giorno, poi devo avere qualcuno con me».
L'errore più clamoroso nella carriera?
«Quando, a Sanremo, mi ostinai a cantare. Lo feci assieme a Laetitia Casta e fu un disastro. Lì sopravvalutai le mie capacità e fu un errore, perché avrei dovuto avere maggiore consapevolezza dei miei limiti. Penso però che gli errori più grandi siano le occasioni sprecate».
I rapporti con Berlusconi?
«Guardi, ultimamente ogni volta che lo incontro mi raccomanda di tagliarmi la barba. È ossessionato dalla mia barbetta che impunemente sto lasciando crescere anche se in fondo ha ragione, ormai è bianca, sarebbe da tagliare».
Nel libro scritto con Caroli lei dice che il più bel museo d'Italia è Albisola, in Liguria.
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«Lo penso davvero. Una terra in cui la ceramica viene realizzata da quattrocento anni con la stessa tecnica e nelle stesse fornaci. C'è un'antica e straordinaria produzione di ceramiche e non tutti sanno che sia ieri che oggi i grandi artisti internazionali sono venuti qui a farsi fare le opere con questo materiale, compreso il coccodrillo di Lucio Fontana. E Albisola è un museo a cielo aperto. Tutto il libro è concepito come un invito a guardare l'arte con occhi liberi, senza preconcetti. A osservare le sculture che sono nelle nostre città, a entrare in un museo. Il bello è un grande antidoto alle cose più tristi di oggi».
Qual è una cosa triste?
«L'uso irresponsabile delle parole. Posso citare ancora Biagi?».
Certo.
«Mi disse: "Ricordati che le parole che adoperiamo possono fare molto male, bisogna usarle con grande cautela"».
fabio fazio e la moglie
Con alcuni degli intervistati in trasmissione sono nate amicizie, nel tempo?
«Con alcuni sì. Con altri restano cose tangibili. Per esempio, Paul Auster mi consigliò un ristorante ottimo a Parigi dove io adesso vado regolarmente. Di Carlo Fruttero non ho solo un bellissimo ricordo, ma oggi possiedo la sua macchina per scrivere, ce l'ho a casa».
È vero che adesso lei si è lanciato nella produzione di cioccolato?
fazio bonolis
«Con grande incoscienza! È successo che durante le chiusure per la pandemia, una famosa fabbrica di cioccolato, la Lavoratti di Varazze, ha interrotto la produzione. Non per motivi economici, ma perché si fermava tutto quello che non era essenziale, se ricorda. Allora quel luogo, che per me è un ricordo d'infanzia, rischiava di chiudere. Con l'amico Davide Petrini decidemmo di rilevarlo e di rilanciarlo.
Adesso è diventata per me una fabbrica di idee: lavoriamo su progetti culturali, facciamo cioccolata in forma di libro, edizioni speciali. Sono felice».
Come un bambino?
«Esatto, come un bambino. In fondo, io sono rimasto quel bambino che a Savona sognava la grande città. Ricordo quando l'uomo mise piede sulla Luna. La mia generazione ha saputo coltivare dei sogni e forse questo è l'augurio che mi sento di fare ai più giovani. Forza!».
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