bronzi di riace il ritrovamento
Giuseppe Smorto per “il Venerdì di Repubblica”
Il guerriero e l'austero, il fiero e il timido, l'eroe e lo stratega, l'ostile e il saggio, il soldato e l'indovino, il giovane e il vecchio: inseparabili eppure diversi, aperti a mille interpretazioni, cinquant' anni dopo i Bronzi di Riace restano fascino e mistero. Cinquant' anni dopo, il sub romano che li scoprì, Stefano Mariottini, ricorda il momento più bello: «Spolverare la sabbia per scoprire a poco a poco come erano fatti, la meraviglia. Prima spuntava una spalla, per un attimo pensai che fosse il cadavere del giornalista siciliano Mauro De Mauro».
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Era il 16 agosto del 1972: un'altra Italia, la rivolta per il Capoluogo e i metalmeccanici che scendono a Reggio Calabria, il terrorismo rosso e nero, una certa distrazione nei confronti del patrimonio artistico, preda di intermediari mafiosi e grandi Musei internazionali. Mariottini arriva a Monasterace, ospite di un amico.
Scopre che - allora come oggi - l'antica Kaulonia offre splendidi fondali dove le cernie passano intorno alle colonne e ai resti del porto. Comincia a esplorare il mare intorno a Punta Stilo, si spinge qualche chilometro più a sud. A trecento metri dalla costa di Riace, in un punto che solo lui sa indicare, trova in apnea le due statue, 6-8 metri sotto. Ma questo è solo l'inizio della storia, seguono polemiche e processi vinti, Mariottini resta il volto della Sovrintendenza.
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Invidiato, bersagliato da accuse e maldicenze, ma sempre lì, con l'aria di chi dice: Io li ho visti, io so, lo ha detto il Tribunale, e io per lo Stato ho continuato a fare il volontario degli abissi.
DOVE NASCE IL MITO
Mostrati per pochi giorni a Firenze dopo il restauro, pubblicizzati da uno scarno dépliant, i Bronzi restano poi in esposizione per sei mesi, dopo manifestazioni e sit-in dei cittadini, è il 1981. Accendono l'interesse del Paese: i giornali pubblicano la foto di una Rossana Rossanda incantata, durante un passaggio delle due statue al Quirinale, voluto dal presidente Pertini.
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Cinquant' anni dopo, restano esemplari unici al mondo in bronzo risalenti al periodo della loro creazione, la metà del quinto secolo avanti Cristo. Un miracolo in tempi di guerre e invasioni, visto che il metallo veniva spesso fuso per costruire armi. Inconfondibili per la loro prestanza, le spalle squadrate, e per particolari incredibilmente precisi: le vene, la caruncola lacrimale rosea, i capezzoli in rame, gli occhi che sembrano truccati, i riccioli.
Richiesti invano da Expo, Olimpiadi, Mondiali di calcio: mai più si muoveranno dalla piattaforma antisismica in marmo di Carrara al pianterreno del Museo di Reggio, che l'architetto Marcello Piacentini volle visibile dal mare, nonostante le indicazioni del Piano di ricostruzione post terremoto del 1908, con la città distrutta al 95 per cento.
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Il direttore del Marc Carmelo Malacrino spiega: «Io che ci dormo dentro, io che ho l'immensa responsabilità di custodire le collezioni, vi dico che i Bronzi sono l'appuntamento finale di un percorso, dove il viaggio è importante quanto il punto d'arrivo. Se pensate alle due statue come un oggetto unico, vi sbagliate: sono profondamente diverse per il modellato e l'espressività, meritano una doppia visita. E io, come un padre di famiglia, non posso scegliere fra Il Bronzo A e il B. I numeri ci fanno sperare in una grande estate: giugno 2021 su 2022, i visitatori del Museo sono quasi triplicati».
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E perché dite sempre no al trasferimento? «Noi prestiamo tante opere, i Bronzi sono fragilissimi, guardate le loro gambe. Ma non è un no di gelosia o campanilistico. Per esaminare la richiesta dell'Expo di Milano, il Ministero formò una commissione. Che decretò l'inamovibilità dei Bronzi, rischio troppo alto, chi mette la firma su una decisione del genere?».
E così, per i prossimi anni, i Bronzi viaggeranno in modo virtuale, sulle installazioni e sulle maglie di calcio, nei convegni e nei concerti, ai Festival e nelle scuole, in un programma glocal (www.bronzi50.it) che le istituzioni hanno messo insieme, dalla Calabria al mondo.
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SABBIA DEL PELOPONNESO
Da dove vengono, come sono arrivati in quel punto, erano soli? La bronzite - come la chiama il professor Daniele Castrizio - si nutre anche di tesi ardite: i pareri degli archeologi si rimbalzano negli anni, le voci di paese, le inchieste giudiziarie, la possibilità di trovare la verità grazie alle nuove tecnologie. Un cold case artistico che continua ad appassionare i ricercatori.
Vengono da Argo: questo è sicuro, perché sono fatti con la sabbia di fusione del Peloponneso. Viaggiavano da o verso Roma, sotto costa, e un naufragio li affondò. O forse erano statue del tempio dell'antica Kaulonia, che gli abitanti hanno voluto nascondere e proteggere, avvolgendoli nelle vele: l'anno dopo furono trovati 28 anelli, usati per fissarli. E come mai sono apparsi proprio lì, a due passi dalla Statale 106: magari un effetto della fortissima mareggiata che ci fu nell'inverno del 1972? Di sicuro erano altrove, quella spiaggia non è un sito archeologico, è sabbia.
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DUE O PIÙ?
Intorno ad A e B hanno studiato e speso la vita generazioni di studiosi. Per illustrare tutte le ipotesi, ci vorrebbe l'intero Venerdì. Daniele Castrizio, membro del comitato scientifico che curerà le celebrazioni, è per esempio certo che i due Bronzi facessero parte di un complesso di statue: ce n'è almeno una terza, da qualche parte, sopra o sotto il mare. È stato di recente ad Argo, dove stanno facendo analisi su un reperto trovato nel 1991 che è affine ai Bronzi, ha la parte anteriore danneggiata.
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Dice: «La mia ricerca parte dalla testa del Bronzo B. La Statua A ha la capigliatura realizzata su tutta la testa, anche nelle parti che si sarebbero solo intraviste sotto l'elmo corinzio che indossava; la B, invece, ha la testa deformata per poter accogliere l'elmo senza l'ausilio di perni e incastri, ma presenta chiari segni di una sorta di cuffia. Il confronto con migliaia di monete dell'epoca ha mostrato che si trattava di una kynê, che rappresentava l'insegna del comando supremo: una sorta di elmo del Re.
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Il Bronzo B era, quindi, un uomo dotato di autorità regale, ma il Bronzo A aveva un'altra peculiarità: si tratta dell'unica statua di epoca classica che mostra la propria dentatura, in chiaro segno di animosità. I confronti iconografici e le testimonianze letterarie del poeta Papinio Stazio e di Taziano il Siro, hanno portato al riconoscimento del gruppo statuario dei "Fratricìdi" di Pitagora di Reggio, caratterizzato da un guerriero con una smorfia di ostilità dipinta sul volto. In questo modo si è potuto ricostruire il gruppo completo, così come si trovava ad Argo, prima di essere trasportato e restaurato a Roma.
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Quante statue, secondo lei? «All'origine dovevano essere cinque, ritratte come attori di una tragedia greca: alle due estremità Eteocle (Bronzo B) e Polinice (Bronzo A), figli di Edipo e protagonisti dei "Sette a Tebe"; la madre era al centro, raffigurata mentre tenta di scongiurare il duello tra i due figli; Tiresia, l'indovino che aveva previsto la morte dei fratelli, e Antigone, la sorella affettuosa, servivano a completare il gruppo. I due fratricìdi e la madre erano indispensabili per la comprensione del messaggio affidato alle sculture: si tratta di due fratelli che stanno per uccidersi reciprocamente a causa della kynê, il sangue per il potere».
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LO SPIRITO DEGLI ANNI 70
Erano gli anni in cui i fondali della Magna Grecia erano preda di pescatori di frodo e dei pochi sub con un'attrezzatura professionale. Nella sala del Museo di Reggio che ospita i Bronzi, ci sono due reperti non meno abbaglianti, altrettanto significativi: La testa del filosofo e La testa di Basilea, trovati in quello che gli archeologi chiamano "il relitto di Porticello", di fronte alla Sicilia.
Peppino Mavilla scava nella memoria per raccontare quel giorno del 1969 in cui individua "il filosofo". Convinto anche oggi che furono i pescatori di frodo, che lo avevano seguito, a recuperare poi la famosa testa di Basilea finita per vie segrete nel Museo della cittadina svizzera, e recuperata dopo una procedura durata vent' anni. Ora si chiama testa di Porticello, nel tentativo di mandare nell'oblìo un piccolo scandalo.
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Il sub ricorda: «Andavo a pescare, da un ammasso di anfore a 38 metri di profondità capii che c'era un relitto. Ogni volta che vado al Museo mi commuovo: vorrei fosse esposto anche il membro del Filosofo, che io consegnai alla Sovrintendenza». Pezzi in bronzo dello stesso periodo, frammenti di valore: ma quello che abbaglia di A e B è la loro integrità.
E QUELLO DEGLI ANNI 2000
Nei primi anni 2000, viene avviato dal Ministero - da Rocco Buttiglione e soprattutto Francesco Rutelli - un valoroso lavoro di recupero dei reperti archeologici finiti all'estero. Il Paul Getty Museum e i suoi rappresentanti sono al centro di una lunga indagine condotta dal giudice Paolo Giorgio Ferri e poi portata a giudizio con una sentenza di 600 pagine dal suo collega Guglielmo Muntoni.
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Daniela Rizzo, l'ex funzionaria che è stata più volte a Malibu, per esempio per la restituzione del Cratere di Assteas, dice: «Oggi non ci sono più magistrati che seguono questi temi». Il Los Angeles Times scrive in un report che il 70 per cento dei reperti esposti al Getty è di provenienza italiana. Nonostante le mille voci in proposito, mai nel corso di queste indagini sono venuti fuori elementi concreti sulla presenza in zone non aperte al pubblico del Museo di un eventuale terzo bronzo e delle parti mancanti: lo scudo, la lancia, l'elmo.
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Troppo tempo è passato, troppo lasche le leggi, troppa confusione nelle fasi di recupero. Secondo Fabio Isman, scrittore e giornalista, il Getty Museum ha ancora 350 opere di provenienza italiana, acquisite con modalità illecite, frutto di scavi clandestini.
Ritorno a Riace, oggi Grazie ai Bronzi e alla politica di accoglienza che Mimmo Lucano inventò, non c'è paese calabro più famoso al mondo.
Nei giorni in cui le statue apparvero, Fulvio Rizzo, oggi magistrato alla Procura di Reggio, era lì con il padre Italo, giudice esperto in beni culturali che aveva indagato sul relitto di Porticello. Rizzo scattò molte foto/diapositive del recupero, poi consegnate ai carabinieri: «Andai giù al mattino in apnea, c'era una tempesta di sabbia, non si vedeva nulla.
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Il pomeriggio tutto cambiò, l'acqua era limpida: riuscii a fotografare la statua A nella posizione in cui era rimasta per chissà quanto tempo, e quel momento lo rivivo ogni giorno. Le mie immagini servirono nelle ricerche successive a localizzare il punto esatto del ritrovamento».
Era già il 23 agosto, la spiaggia di Riace sembrava uno stadio, il Bronzo un bell'uomo che veniva dal mare, luminoso e levigato. Cinquant' anni dopo ci sarà una Notte Bianca per ricordare e un paese amico: la festa è pronta.