LA RISPOSTA DI MIKAELA SHIFFRIN
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“Ci saranno sempre dei tacchini pronti a mettermi ko, ma se non voglio dargliela vinta devo rialzarmi. Ancora, ancora, ancora, ancora, ancora e ancora. Devo rialzarmi perché posso. Perché mi piace quello che faccio. Non è facile, ma fallire non è la fine del mondo. Anche se il fallimento arriva alle Olimpiadi. Tornerò. Sarà ancora più bello tornare a vincere dopo questa sconfitta. Quindi, forza! Domani andrò a fare l’allenamento del Team Event e poi gareggerò nell’ultimo evento di questi giochi invernali“.
LA VALANGA DI INSULTI ALLA SHIFFRIN
Mario Piccirillo per ilnapolista.it
Quando Mikaela Shiffrin ha pubblicato su Twitter un collage di nefandezze che le avevano indirizzato un po’ di sconosciuti sui social, ci siamo sentiti meno soli.
INSULTI A MIKAELA SHIFFRIN
Non avendo mai, noi, vinto un paio di medaglie d’oro alle Olimpiadi, men che meno sei campionati del mondo, abbiamo solo potuto appuntarci che l’idiozia non fa distinguo: la gente ci tiene a rendersi pubblicamente ridicola usando tutto lo spazio a disposizione, in qualsiasi misura, qui, lì, ovunque. Ogni mattino s’alzerà un @priscillo58 e si sentirà in dovere di segnalare a una delle più forti sciatrici di tutti i tempi che è, invero, una perdente. E ci saranno altre centinaia di chiocciole non meglio identificate che vomiteranno tutto il livore di cui sono capaci addosso a una che è bellissima, bionda, talentuosa, affascinante, ironica, e altre mille cose che loro non sono. Producendo un rumore di fondo che è quello delle nostre vite, anche di quelli che questo fenomeno lo osservano senza esserne vittime.
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Shiffrin era andata a Pechino per dominare il medagliere. Con la tranquillità di una che nel suo sport è come Federer, o Valentino Rossi. Una a cui dissero che era come Mozart, quando ancora aveva 14 anni. Ora ne ha 26, ma poiché ha debuttato in Coppa del Mondo a 15 e ha vinto una medaglia d’oro otto anni fa, sembra che stia lì da un’eternità sportiva. Come Nadal, tipo, che vince da un paio di generazioni. Avendo fallito (parole sue) a Pechino come mai nella vita, bucando uno dopo l’altro tutti gli appuntamenti con l’ennesima storia, si sono attaccati tutti alla tastiera spolliciando la fine ingloriosa della carriera. A giudicare dalla gradazione del bollore s’erano segnati questo momento da anni, con un post-it sul frigo: “Dire alla Shiffrin che è una merda as soon as possible”.
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Il vuoto improvviso al centro d’un percorso leggendario non è un inedito, nello sport e nello sci in particolare. Ci sono passati Bode Miller e Lindsey Vonn, per esempio. Non è quello il punto. E infatti lei stessa l’ha presa con tutto il distacco possibile: s’è affranta, ai margini d’una pista inconsolabile, s’è rialzata. Poi ha evidentemente acceso il cellulare, e ha dovuto fare i conti con un’umanità sconosciuta ma sempre più pervasiva. Un popolo stratificato e trasversale che ha seri problemi di continenza: come fai a resistere alla tentazione di rompere le palle ad una così. Ce l’hai lì a portata di mano, ti annoi, è una perversione. Shiffrin, “non vediamo l’ora che ti ritiri così non saremo più costretti a guardare la tua faccia da perdente”.
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I più tendono a non distinguere la realtà dalla dimensione fantastica, a dimenticare quali conversazioni siano pubbliche e quali private. Nel mezzo, in quella incoscienza, si nasconde uno sfacelo.
L’ha detto meglio di tutti Paola Egonu, a proposito di Simone Biles:
«Veniamo considerate macchine, va bene solo fino a che sei superdonna. Se cadi, per forza hai sbagliato atteggiamento o non ci hai messo abbastanza o hai pensato ai fatti tuoi».
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Devi essere molto vicino a chiuderti in una capanna tipo Unabomber per rinfacciare alcunché a Mikaela Shiffrin. Ai tempi, presumiamo, sui social avrebbero vivisezionato ogni passo falso di Maradona. L’hanno fatto con altri mezzi, è vero. Ma la possibilità offerta dai social garantisce ad una moltitudine di svalvolati di sfogarsi, e non è senza prezzo. Consuma energie, pazienza: anche solo il fottersene prevede un impegno.
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E’ l’altra faccia della suscettibilità, siamo ormai all’esasperazione del commento. Una violenza che si compie nel numero, nell’aggregazione. Che prevede, come unico passo successivo della netiquette, la contrizione, l’arrendevolezza. Non puoi battagliare con uno sciame di moscerini, provi solo a defilarti. O a spiegare perché lo fai, con un certo stile. Come ha fatto Shiffrin. L’orgoglio è il meno collettivo dei sentimenti. Ed è uno scudo contro la più sociale delle malattie: l’idiozia.
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