Maurizio Donelli per il “Corriere della Sera”
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«Le giro il contatto della team manager, è lei che gestisce il mio calendar». Replica così, via WhatsApp, quando gli chiediamo un appuntamento per l'intervista. In fondo, il Milanese Imbruttito poteva reagire altrimenti (what else?, direbbe lui)? E, un paio di giorni dopo, eccolo Germano Lanzoni, 55 anni, camicia azzurra, giacca blu, sneakers bianche e sorriso da simpatica canaglia.
Chi risponde alle domande? Germano o l'Imbruttito?
«Facciamo che risponde il Gegio».
Prego?
«È il mio soprannome. Mi chiamano tutti così fin da quando ero un ragazzo».
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Il più simpatico della compagnia?
«Ho cominciato tardi a fare il giullare. Nasco come animatore di contatto in un villaggio turistico di Crotone, il Casa Rossa».
L'animatore di contatto sarebbe quello che tormenta i turisti con il gioco aperitivo, la ginnastica in acqua...
«Precisamente. Ma non c'è niente di meglio per imparare a relazionarsi e aprirsi con le persone. Mi sono molto divertito in quegli anni. Pensi che il capo comico del villaggio era Michele Foresta, il mago Forest; e la parte musicale era affidata a Silvano Belfiore, quello che oggi dirige l'orchestra nei programmi di Maurizio Crozza. Detto questo, il mio benchmark artistico è sempre stato papà».
Era un attore?
«Macché, un operaio. Precisamente un giuntista. Un simpaticissimo donnaiolo impenitente. Aveva Tinder inside. Dotato di una specie di gps naturale per individuare le belle ragazze. E naturalmente corteggiarle.
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Se durante un intervento individuava l'appartamento di una signora piacente, le sabotava di proposito il telefono per poter ricevere la chiamata e andare a riparare il "guasto". Purtroppo non c'è più. Pensi che un giorno in ospedale, ormai nelle ultime settimane di vita e molto anziano, mi ha chiesto di accompagnarlo in bagno.
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Camminava a fatica attaccato al sostegno della flebo. A metà corridoio si è fermato di colpo e mi ha detto in dialetto, così, dal niente: "Germano, a mi me piasen i dònn". In realtà ha detto che gli piaceva qualcosa di più specifico, ma il senso è quello... Era figlio di una Milano incredibile e vivissima. Per esempio mi raccontava sempre la storia del conte».
Quale conte?
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«Un suo amico, povero in canna, che si faceva prestare camicie e pantaloni eleganti e poi andava da Cova in via Montenapoleone cercando di accalappiare qualche ricca signora da poter sposare per sistemarsi. E andò proprio così. Più o meno: quella che poi sposò, conosciuta ai tavolini del Cova, era una tipa che si era fatta prestare anche lei i vestiti... Parlo sempre di queste cose nei miei spettacoli».
Quali spettacoli?
«Mi esibisco in due locali milanesi quasi ogni settimana. Il palcoscenico non lo mollo per alcuna ragione. Ho fatto la scuola di recitazione di Marina Spreafico all'Arsenale, un patrimonio di conoscenza che non voglio abbandonare. Conservo ancora incorniciate le 50 mila lire guadagnate (in black) con il primo spettacolo al Derbyno in via dei Missaglia, in coppia con Gianfranco Balestrini. Avevo 25 anni e volevo soprattutto diventare bravo, non famoso».
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E poi?
«Poi ne ho fatte di ogni. Compresa la comparsa a Drive in. Ha presente quelli che stavano in mezzo alle macchine e dovevano ridere alle battute? Ero uno di loro. Ogni tanto qualcuno veniva mandato via perché non rideva abbastanza. Poi un giorno sono stato contattato da radio Deejay per presentare la tappa di un tour itinerante in piazza del Cannone a Milano. Era la vigilia della partenza per le vacanze in Grecia con Paola, la mia fidanzata di allora. Le ho detto; "Tranqui , un paio di serate e ti raggiungo in spiaggia".
Invece non mi sono più fermato per 47 giorni. E Paola, inevitabilmente, mi ha mollato».
La radio, altra grande passione.
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«Devo tanto a RDS».
Spieghi.
«Capodanno del 1999. Quello del passaggio del millennio. Il 31 dicembre sono a Roma. Mi chiamano dalla radio: "Preparati, questa sera devi essere in piazza Duomo a Milano per il countdown. Sarai in diretta su Canale 5. Cominci alle 21". Prendo di corsa un aereo. Non c'era copione, non c'era scaletta. Sono salito su quel palco con 100 mila persone davanti e dovevo improvvisare».
Panico.
«Beh, a quel punto è tornato fuori l'animatore del villaggio turistico che era in me. E ho cominciato: "Potevate essere a casa con i parenti! Potevate essere al ristorante a spendere un botto di soldi per un cocktail di scampi! E invece siete qui! Grazie Milanooooo!". A quel punto il delirio fino a mezzanotte e oltre, tutto improvvisato».
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Praticamente, una prova generale di quello che lei fa oggi a San Siro quando gioca il Milan.
«Esatto. Solo che la prima volta sotto la curva Sud è stata drammatica. Era il 2000. RDS era partner del Milan e noi conduttori avevamo il compito di intrattenere i tifosi con un po' di musica prima della partita. Fino a quel giorno l'aveva fatto Francesco Pasquali che una domenica, con lo stadio già pieno, ha però deciso di passarmi il microfono. "Vi presento Gegio!", ha urlato. E dalla curva è partito il coro: "Sceeeemo, Sceeeeemo...". C'era un tipo inconfondibile per la sua maglia color puffo che dagli spalti mi faceva gesti irripetibili. Mi ha tormentato tutto il pomeriggio. Non l'ho mai dimenticato e mai lo dimenticherò».
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Oggi con i tifosi il rapporto è ben diverso.
«Ed è bellissimo. Mi emozionano ogni volta che leggo le formazioni (lo faccio dal 2002) finisce sempre che mi tremano le mani. E pensare che non sono mai stato un grande appassionato di calcio, non ci ho mai giocato, amavo il basket».
Da dove guarda la partita?
«Dal campo. E capisco poco di quello che succede. Una volta non mi sono nemmeno accorto che avevano annullato un gol a Theo Hernandez e quando ho visto la palla in rete ho cominciato a gridare: "Cooooon il numero 19 ha segnato...". Poi, subito dopo, ho dovuto scusarmi».
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E con i calciatori che rapporto ha?
«Sono ragazzi troppo giovani rispetto a me e sempre super concentrati. Fuori da San Siro non frequento nessuno di loro. Ricordo però con piacere Clarence Seedorf che durante un riscaldamento pre-partita interruppe la corsa per venire a stringermi la mano. Un bel gesto».
Come nasce l'Imbruttito?
«L'idea è dei tre founders della leggendaria pagina Facebook».
Milanesi?
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«Per niente: Marco De Crescenzio è di Taranto, Tommaso Pozza è di Padova e Federico Marchisio è di Varese. Mi hanno scelto dopo aver visto alcuni sketch del Terzo segreto di Satira. Avevano bisogno di qualcuno che interpretasse il modo di parlare e i tic dei milanesi».
Facciamo qualche esempio di questi tic?
«Certo. L'Imbruttito mentre si lava i denti, con l'altra mano cancella le tracce di dentifricio dal lavabo; mentre chiude la porta di casa, contemporaneamente chiama l'ascensore; al semaforo non aspetta il verde ma scatta quando è rosso per i pedoni; non dice mai no a un invito ma "ti raggiungo dopo". E ovviamente si muove solo in macchina e non con gli spostapoveri: metropolitana, tram, autobus...».
Il suo alter-ego è il Giargiana.
«Precisamente. Giargiana sono tutti coloro che abitano appena fuori dalla circonvalla. E che, rispetto all'Imbruttito, non pensano solo ed esclusivamente alle due «f»: dove la seconda «f» sta per fatturato».
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Nei vostri sketch e nel film «Mollo tutto e apro un chiringuito» il Giargiana è interpretato da Valerio Airò.
«Attore comico incredibile. È stato scoperto perché con il suo accento piacentino si era presentato al provino per un film proponendosi per interpretare la parte di un personaggio lucano. E lì hanno detto: o è un fesso o un genio. Era giusta la seconda».
Ma lei, Germano Lanzoni detto Gegio, è un imbruttito nella vita di tutti i giorni?
«Quando sono in macchina decisamente».
E chissà che macchina...
«Non ci crederà ma ho una Panda. Una volta al semaforo un tipo su una Volvo mi ha riconosciuto e m'ha detto: "Uè, Imbruttito, cosa ci fai sulla Panda?! Un tipo come te deve viaggiare in Cayenne...».
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Ma almeno abita all'interno della «circonvalla»?
«Macché, vivo a Brusuglio di Cormano. In un attico, è vero, ma a Brusuglio...».
Giargianissimo.
«Totale. Con i miei abitavamo a Milano, vicino alla stazione Centrale. Poi papà ha comprato questa casa fuori città e ora ci vivo con la mia compagna Lara Bogni, che è una danzatrice, e le nostre gemelle di 15 anni. Loro vorrebbero che dopo vent'anni ci sposassimo, più che altro per la festa».
E vi sposerete?
«Ho spiegato alle ragazze che 20, 30 K preferisco spenderli per comprarmi un box».
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Risposta che avrebbe potuto dare il Dogui, ovvero il leggendario Guido Nicheli. Si sente il suo erede?
«Era un grandissimo Imbruttito. La differenza con me è che "Alboreto is nothing" lui avrebbe potuto dirlo anche fuori dal set, chiacchierando con gli amici. Perché era così nella vita.
A me piacerebbe essere considerato piuttosto l'erede di Giuseppe Moncalvo, attore che coraggiosamente nel 1800, davanti agli austriaci che sorvegliavano il palcoscenico e spesso lo portavano in galera, interpretava il Meneghino, una maschera storica che non indossa la maschera. Proprio come il milanese Imbruttito».