Federico Rampini per ''la Repubblica''
mark zuckerberg nick clegg
Assediato dall'opinione pubblica progressista, contestato da un numero crescente dei suoi dipendenti per la sua "neutralità" verso Donald Trump, il fondatore di Facebook allunga un ramoscello di ulivo verso quel mondo che lo ha considerato un predatore: la stampa. È all'insegna della collaborazione con gli editori, anziché del furto sistematico, che Mark Zuckerberg offre una sezione aggiuntiva del social media dedicata alle notizie. Il nuovo passo verso il giornalismo si chiama "News" ed era già in fase di sperimentazione dallo scorso ottobre.
Punta ad attrarre gli editori promettendo un mercato più ampio ai loro contenuti, per trasmettere informazione di qualità. Facebook News ospita notizie nazionali e locali, un mix che ogni utente può personalizzare. «Abbiamo lavorato con alcune delle migliori testate negli Stati Uniti - spiegano al quartier generale nella Silicon Valley - per ospitare i loro migliori contenuti su Facebook News, report originali di oltre 200 editori su temi generali e di attualità, incluse migliaia di testate locali, giornali specializzati in scienza o finanza, e quelli che seguono gruppi etnici come afroamericani e ispanici». Su Facebook News ci saranno inoltre le notizie del giorno selezionate da un team di giornalisti assunto dalla società.
mark zuckerberg
Zuckerberg lancia quest' operazione fiducia anche per rappacificarsi con i lettori in un periodo teso. Come fonte di notizie Facebook è stata talvolta superata da Twitter, anche grazie all'uso che Donald Trump fa dell'altro social media. Il confronto con Twitter è diventato politicamente scomodo quando Jack Dorsey, a differenza di Zuckerberg, ha osato prendere le distanze da Trump fino a segnalare i suoi tweet controversi o menzogneri con appositi avvisi agli utenti; una decisione che ha scatenato le accuse da destra. Molti dipendenti di Facebook però vorrebbero vedere più attivismo anche da parte del proprio fondatore.
menlo park facebook
La collaborazione che Facebook offre ai media che generano contenuti, come i giornali, è una rottura rispetto a Google dove si continuano a trovare articoli senza pagare il costo della loro produzione. Lo scenario generale rimane quello di una crisi seria per i media americani. Già quattro anni fa, Google raggiunse una soglia simbolicamente potente: un fatturato pubblicitario che è il quadruplo di tutti i quotidiani d'America messi insieme. La tiratura complessiva della carta stampata negli Stati Uniti è scesa dai 62 milioni di copie quotidiane di mezzo secolo fa a meno di 30 milioni.
L'ecatombe dei giornali continua, ne sono scomparsi 1.800 in 15 anni. Il destino di alcuni tra i sopravvissuti è emblematico. The Washington Post è stato rilevato per 250 milioni di dollari dal chief executive di Amazon, Jeff Bezos, che può ripianarne le perdite senza che questo scalfisca il suo patrimonio personale (numero uno mondiale). Così come Rupert Murdoch ripiana le perdite del Wall Street Journal grazie ai profitti di Fox. Il magazine Time è stato comprato per 190 milioni da Marc Benioff, fondatore di una start up.
facebook e le notizie 5
Rimane l'eccezione del New York Times, l'unico che si regge sulla capacità di ampliare il proprio pubblico: ha superato i sei milioni di abbonati e l'aumento degli abbonamenti digitali ha compensato il calo della pubblicità. Anche per il New York Times però la gara con i Padroni della Rete è impari: per incrementare gli abbonati digitali il quotidiano deve venderli a tariffe basse (in media 12 dollari mensili) e l'utile è sotto il 10%. Quello di Facebook sfiora il 40%. Tra le ragioni per cui la gara non è ad armi pari, è fondamentale la disparità normativa. Il Communications Decency Act del 1996 (agli albori di Internet) è la legge che regalò ai giganti della Rete uno scudo legale contro ogni responsabilità per i contenuti che veicolano.
Sia Google che Facebook dovevano ancora nascere ma da allora quella protezione l'hanno sfruttata fino in fondo, aggregando contenuti, senza dover investire sulla loro qualità e affidabilità. A differenza degli editori normali. Per questo Trump nella sua diatriba contro Twitter ha messo il dito sulla piaga: ha firmato un ordine esecutivo per privare i social media di quello scudo legale e renderli perseguibili per i contenuti. Una minaccia politica e un effetto annuncio, ma in realtà per smontare il Communications Decency Act dovrebbe muoversi il Congresso, dove la lobby digitale ha tanti amici e protettori.